Nel Pd tra paure e vendette Veltroni è sotto assedio

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Nel Pd tra paure e vendette Veltroni è sotto assedio

26 Gennaio 2008

E ora la paura corre sul filo. Caduto il bunker di Romano Prodi i parlamentari del Partito Democratico iniziano a preoccuparsi del loro futuro e attendono con ansia la telefonata che dovrà svelare loro se saranno o meno ripresentati. Ci sono i sondaggi, non certo esaltanti, con cui fare i conti e il conseguente restringimento della pattuglia degli eletti. Ci sono i “newcomers” che la neonata formazione dovrà forzosamente imbarcare per testimoniare visivamente il segno della discontinuità rispetto al passato. Ma soprattutto c’è l’ulteriore rafforzamento del ruolo di Walter Veltroni, il “segretarissimo”, l’uomo alla guida di un partito non ancora strutturato, destinato nell’emergenza a trasformarsi in una sorta di commissario straordinario con poteri pressoché assoluti.

Dentro il Pd conoscono perfettamente i rischi di questa situazione. E le correnti dalemanian-mariniane stanno disperatamente affilando le unghie in modo da spostare la data delle elezioni il più lontano possibile. Il rischio di una sorta di putch veltroniano sulle candidature c’è tutto. Allo stato dei fatti, senza organi politici realmente operativi, il sindaco di Roma potrebbe usare il pugno di ferro e smontare con un colpo solo tutto l’establishment del partito, aumentando esponenzialmente la truppa dei suoi fedelissimi. Un rafforzamento del potere veltroniano, naturalmente, era già stato messo in conto dai “colonnelli” ma certo nessuno aveva previsto fino in fondo questo mutamento di scenario e questa improvvisa accelerazione. E così tra i Democratici è tempo di battaglia, di tensioni a lungo nascoste sotto le polveri dell’attività di governo ma ora pronte a deflagrare, nonostante la mossa veltroniana che venerdì nel loft del Pd ha convocato una sorta di “unità di crisi” allargata a tutti i dirigenti di primo piano del partito, facendo mostra di buona volontà.

A questo punto l’obiettivo dei dalemiani è quello di puntare a tutti i costi su una legge elettorale di impianto tedesco. Il sistema elettorale attuale – con i listini bloccati stilati dal segretario – consentirebbe, infatti, a Veltroni di costruire gruppi parlamentari e dirigenziali scolpiti a sua immagine e somiglianza. Un nucleo di fedelissimi su cui il leader, già incoronato dalle primarie, si appoggerebbe per il progetto di costruzione di un partito che ancora non c’è, visto che la fase costituente non è ancora decollata.

Un altro fuoco che cova sotto la cenere è quella della rabbia di Romano Prodi. Il Professore, attraverso la sua strategia di contrapposizione frontale con il centrodestra, ha già bruciato molti dei ponti pronti ad essere lanciati verso l’opposizione. Un’ostinazione che certo non ha seminato entusiasmi né tra i dirigenti del Pd, né dalle parti del Colle. Ora Prodi fa un passo ulteriore. Rifiuta di guidare un governo tecnico e piuttosto valuta se mettersi alla guida dei piccoli del centrosinistra oltre che di un drappello di fedelissimi tentati dalla scissione dal Partito Democratico a favore dell’Ulivo. D’altra parte a tutti è apparso chiaro che la replica pronunciata in Senato un paio d’ore prima che la mannaia dei numeri decapitasse il suo governo, non assomigliava affatto a un testamento politico quanto piuttosto a un piccolo manifesto su cui costruire un’alternativa di tipo personale.

La sfida del Professore per il dopo-Prodi è, naturalmente, ancora tutta da scrivere. Nella sfida senza rete dei prossimi tre-quattro mesi il premier uscente potrebbe puntare a indossare le vesti del front-man per una sorta di “coalizione personale” alla quale parteciperebbero il Pdci e i Verdi, passando per il gruppo della Sinistra Democratica. Una sorta di “Unione radicale” che metterebbe insieme quelle forze che meglio delle altre incarnano l’unica missione con la quale Prodi è tornato a Palazzo Chigi nel 2006: l’abbattimento del berlusconismo. Una crociata così virulenta da giustificare l’utilizzo di qualsiasi mezzo, comprese quelle leggi “anti-personam” ora franate sotto i colpi della crisi di governo. L’antiberlusconismo, insomma, come valore etico-morale oltre che come sistema di rifrazione dell’odio, agli occhi di Prodi e di una parte del centrosinistra, resta ancora una forza motrice, sicuramente invecchiata e logora, ma non del tutto estinta e quindi riciclabile e riutilizzabile. Da questo passepartout arrugginito, e dal rapporto preferenziale con la sinistra radicale, il kamikaze Prodi potrebbe tentare l’ennesima resurrezione. Mettendo definitivamente da parte il sogno impossibile di far convivere i riformisti e i trotzkisti sotto lo stesso tetto. Ma, al contempo, attirando a sé coloro che, in questo momento, cercano soprattutto di creare pesi e contrappesi all’ascesa solitaria di Walter Veltroni.