Nel Pdl ben vengano le idee di Fini. Se ci sono

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Nel Pdl ben vengano le idee di Fini. Se ci sono

10 Settembre 2009

Gianfranco Fini ha ragione: il Pdl non può essere un partito militarizzato. Un luogo in cui dover “rientrare nei ranghi” quando si prova a dissentire dalla posizione del capo. Il luogo in cui il pluralismo è di facciata, perché alla fine conta solo la decisione monocratica e talora pure un po’ autoritaria del leader.

Fini, che è uomo dall’alto profilo politico, avrebbe ragioni da vendere se a fronte di un tale deficit democratico decidesse di non voler far parte di un partito così. Poiché neanche in nome di un sistema politico bipolare, che assicura stabilità (o almeno più stabilità rispetto al passato) alle nostre istituzioni si può consentire la censura delle idee di una minoranza. Ancor più se poi riguardo a molti temi, come il biotestamento, la sicurezza, o la cittadinanza agli immigrati si è fermamente convinti di non trovarsi nemmeno in minoranza. Meglio sarebbe guardare altrove, costruire un partito in proprio e tornare, senza che i politologi versino troppe lacrime, ad una partitocrazia da prima repubblica, quella in cui tutte le istanze vengono rappresentate, e contate attraverso il voto degli elettori.

Ora, non pensiamo che sia questo il caso. Che le scaramucce tra il premier e il presidente della Camera inducano quest’ultimo a fare come Veronica, e chiedere il divorzio da Berlusconi. Non è né il momento né il caso di farlo. E non si tratterebbe di una personalissima strategia politica, ma di realismo e alto senso delle istituzioni. Eppure il problema sollevato dall’ex leader di An è una questione di natura politica che Berlusconi non può permettersi di sottovalutare. Perché se nel Pdl c’è un problema di democrazia interna, il futuro del nuovo partito è già segnato.

Ma – e qui ci interroghiamo – siamo proprio sicuri che il Popolo delle libertà sia una specie di caserma di militari, in cui alla fine conta solo l’ordine del più alto comandante in grado? Ci sorge qualche dubbio. Soprattutto se andiamo a leggere nello specifico delle idee le posizioni che il Presidente della Camera non ha lesinato di divulgare negli ultimi mesi. Il caso del testamento biologico è forse il più eloquente.

Sul biotestamento Gianfranco Fini ha recentissimamente detto: "Ogni cittadino e ogni parlamentare deve rispondere alla sua personale coscienza. Su questioni relative alla vita e alla morte non ci può essere un vincolo di maggioranza o di partito”.

E ancora: “Credo che non si tratti di favorire la morte ma di prendere atto dell’impossibilità di impedirla, affidando all’affetto dei familiari e alla scienza dei medici la decisione”. E per questo – aggiunge Fini – farò "il possibile per correggere alla Camera un testo che difetta nel rispetto di questo principio".

“Se un giorno ci sarà modo di discutere, il che vuol dire anche con eventuali emendamenti, con cose non collimanti con il testo del Senato, non ci sarà nulla di male se si metteranno a confronto delle posizioni, magari anche votando: sarà un momento in cui il Pdl non avrà fatto un passo indietro ma un passo in avanti o forse il primo momento in cui si sarà comportato da partito del 35-40% dei voti”. E non si tratta di fare una “crociata contro i cattolici, per i quali ho il massimo rispetto”  ma “chi dice che su queste questioni decide la Chiesa e non il Parlamento per me è un clericale. Per me spetta al Parlamento decidere".

"Sul testamento biologico credo che non si sia fatto tutto il possibile per trovare un punto di equilibrio". Il "rispetto della volontà della persona, della famiglia, e del parere scientifico del consiglio medico" sono i punti che secondo il presidente della Camera andrebbero inseriti nella legge. «Prescindendo da essi – ha detto – non si fa una buona legge".

Se il presidente Fini avesse approfondito la lettura del testo della legge che è attualmente in discussione alla Camera – testo su cui ogni volta che è possibile dice la sua –, si sarebbe accorto che quando parla di “decisione finale” da affidare all’affetto dei familiari e alla scelta dei medici e di "rispetto della volontà della persona, della famiglia, e del parere scientifico del consiglio medico" parla lo stesso linguaggio della legge licenziata dal Senato. Poiché, fermo restando il rifiuto di ogni forma di eutanasia e di accanimento terapeutico, la tutela della volontà del malato e la professionalità del medico curante, attualizzata in base ai progressi della scienza, è esattamente il principio a cui la legge si è ispirata.

Se poi il presidente della Camera si fosse preso la briga si paragonare il testo base presentato all’inizio dell’iter parlamentare con il testo finale approvato in Aula probabilmente si sarebbe accorto che l’approvazione della legge sul testamento biologico è stata il frutto di mesi di dibattito, di mediazione e di una discussione sempre attenta alle posizioni di tutti, fino a raggiungere un punto di equilibrio, quello che lui stesso auspica, senza soggezioni né condizionamenti provenienti d’Oltretevere nei confronti della libertà dei senatori, ma anche senza cedimenti aprioristici ad un laicismo politicamente corretto. E altrettanto probabilmente avrebbe pensato un attimo prima di sostenere che nell’approvazione di quella legge non sono state rispettate le prerogative del Parlamento.

 E allora – almeno in questo caso – a noi non sembra affatto che in ballo ci sia lo scarso livello di democraticità di un partito dal 30-40 per cento, che ci si possa appellare alla limitazione della libertà di scelta personale e politica o si possa evocare la violazione delle prerogative parlamentari. Non ci sembra, in altre parole, che nel Pdl vi sia una mancanza di rispetto per le idee. Forse, molto più semplicemente, nel Pdl le idee ci sono, e sono molte, ma ancora aspettano di esprimersi appieno.