
Nel Pdl gli ex An riscoprono la Destra ma nel segno del Cav.

25 Gennaio 2010
Il Pdl c’è, ora c’è da far crescere la generazione Pdl. Che prende forma ad Arezzo nella convention voluta da Gasparri e La Russa, leader dell’ex corrente aennina Destra Protagonista, e benedetta da Matteoli e Alemanno che hanno aderito con le rispettive fondazioni. Una sorta di correntone maggioritario dentro l’ex partito di via della Scrofa, convintamente berlusconiano, nostalgicamente almirantiano, rispettosamente finiano, che vuole mandare in soffitta la sindrome da ex, la logica del bilancino per calibrare equilibri interni, che vuole mescolarsi in un progetto più grande, proiettandosi nel futuro.
Nella due giorni aretina tutti ripetono quasi come un mantra le parole "contaminazione" (La Russa), "confronto di idee senza schematismi di appartenenza" (Gasparri), "comunità" (Matteoli, Sacconi, Scajola, Verdini, Tremonti). Presente e futuro sono le due coordinate attorno alle quali il Pdl ragiona su se stesso, sulla forma partito, sul grado di fusione tra storie diverse, sulla crescita del dibattito interno, sui rapporti con l’alleato di sempre – la Lega – e su quelli con l’alleato di un tempo, l’Udc in chiave elezioni regionali. Un punto quest’ultimo che torna in tutti gli interventi, a rimarcare l’errore della politica dei due forni e il tentativo di affossare il bipolarismo. Intese a livello locale saranno possibili, ma solo se i centristi convergeranno sui candidati e i programmi che il Pdl, autonomamente, ha scelto per la competizione elettorale.
Ma ad Arezzo il dato che si percepisce negli interventi dei big e nei commenti del popolo militante accorso in massa nella città toscana (oltre duemila persone riunite sotto il grande palco dove campeggia la scritta "Generazione Pdl. Protagonisti. Sempre") dice qualcosa di più: il Pdl è un processo irreversibile e lungo questa strada occorre marciare compatti.
Non manca una venatura nostalgica tra gli aennini – specie nella prima giornata – che si riaffaccia quando sul maxi-schermo La Russa "chiama" le immagini di Almirante o quando sottolinea con enfasi l’amore per la patria, l’indentità nazionale, la gratitudine per "i nostri militari". E’ come se in qualche modo il popolo di An, pure convintamente nel Pdl, volesse sentirsi ripetere, almeno un’altra volta, qualcosa di destra, mostrando al tempo stesso una certa riluttanza a compiere il grande salto. E’ come restare in bilico tra una volontà di riaffermare un’identità correntizia e la voglia di destrutturarsi per diventare parte di una cosa più grande. Lo si capisce dal tenore di alcuni interventi (Menia) o dagli applausi che gli aennini riservano ai cavalli di battaglia della destra che fu prima di Almirante, poi di Fini. In tutto questo, Gasparri e La Russa si muovono con fare rassicurante, quasi a voler mostrare che la destra tradizionale che sta nel Pdl troverà in loro i custodi più autentici.
E i berlusconiani? Ad Arezzoci sono tutti, gran parte dei quali con le rispettive fondazioni o associazioni: Cicchitto, Quagliariello, Sacconi, Tremonti, Alfano, Scajola, Verdini, Bonaiuti. Tutti a dire che quel salto è ora di farlo. Non a caso il vicepresidente dei senatori (uno degli interventi più applauditi) insiste su un punto: "Come ci si sta in questo partito? C’è chi lo può interpretare come una parentesi della storia da chiudere quando il grande carisma di Berlusconi verrà meno e allora si immagina come una pluralità di segmenti, oguno con la sua piccola zattera che adesso sta insieme alle altre ma poi è pronta a prendere il largo. Oppure ci si sta congelando il 70 per cento di Fi e il 30 per cento di An pensando che il Pdl non è che la sommatoria di due spezzoni che devono restare tali. E’ un modo sbagliato di pensare e al tempo stesso un grande errore, perché se noi interpretiamo qual è il significato storico di questo partito, non possiamo che starci lavorando per Berlusconi". Le ragioni, ripete il vicepresidente dei senatori, sono chiare: perché ci sia una "generazione che faccia continuare questa esperienza e perché nessuno cancelli la propria storia, ma la storia diventi il punto di partenza, non di arrivo".
La contaminazione, dunque, è il tema di fondo della kermesse. Tutti ribadiscono che il confronto delle idee è la base, e che le idee sono importanti anche quando sono "innovative rispetto alla nostra tradizione" (Gasparri e Matteoli), come ad esempio quelle offerte al dibattito interno dal presidente della Camera su cittadinanza e temi etici, al punto da essere vissute, qui ad Arezzo, come contributo, non più come contrapposizione perché, semmai, "sono la conferma di quel pluralismo" auspicato da tutti, è il ragionamento ricorrente. Certo, alla fine, a prevalere dovrà essere la linea del partito sulla quale tutti devono riconoscersi, avverte Gasparri che proprio sulla cittadinanza conferma di avere idee diverse da Fini, di concordare "pienamente con il testo della presidente Bertolini" (all’esame di Montecitorio dopo le regionali) e sui temi etici rimarca come "al Senato la sera drammatica della morte di Eluana ci trovammo fianco a fianco a difendere tutti insieme le ragioni della vita. Quella sera il Pdl mise un importante tassello".
La Russa avverte che su questioni "sensibili" come quelle della cittadinanza o dell’immigrazione occorre usare il metro della prudenza perché, altrimenti, si rischia di "regalare consensi alla Lega" con la quale c’è una sana competizione come si conviene tra alleati leali, ma specie alla vigilia della campagna elettorale è bene non esagerare, per non lasciare troppo campo al Carroccio. Da questo punto di vista, il ragionamento di Matteoli fa chiarezza: ricorda che Fini le sue idee le aveva già espresse al congresso fondativo "peraltro appaluditissimo" e i primi ad avere perplessità "sono stati gli ex An, molti di noi glielo hanno detto chiaramente di non essere d’accordo, ma il merito di Fini è quello di avere gettato un sasso nello stagno" della discussione, cioè aver sollecitato quel confronto che "ci ha portato all’ultimo ufficio di presidenza di qualche giorno fa nel quale tutti hanno espresso le loro posizioni senza gli schematismi delle appartenenze, ma come parte integrante di un progetto comune ".
Quanto alle idee innovative, l’ex colonnello di An le accoglie come elemento di riflessione costruttiva anche se – spiega – "dopo la discussione dentro gli organismi del partito se non si trovano soluzioni si ha il dovere di delegare al leader le scelte finali, come del resto è sempre accaduto in ogni partito". Pure in "An abbiamo fatto questo delegando a Fini la decisione finale", ricorda. Se c’è una cosa venuta fuori in maniera chiara da questa convention – chiosa Matteoli – è proprio "il fatto che nel Pdl non c’è una monarca e l’entusiasmo della gente che è qui conferma la scelta del Pdl che tutti noi due anni dopo, rinnoviamo senza se e senza ma".
E se l’evento aretino, qualche mese fa, pareva dover essere una sorta di "resa dei conti" interna, questo rischio non c’è più, soprattutto adesso che, come osserva il finiano Italo Bocchino, il rapporto tra premier e presidente della Camera vive "il suo momento migliore". Gasparri e La Russa sottolineano lo stesso concetto quasi fino alla noia e il taglio della due-giorni, in effetti, lo conferma. Andrea Ronchi (finiano) taglia corto: "Pensare che dietro il disegno di Fini ci sia un disegno personale o un intento di rottura significa essere in malafede. Il Pdl non può essere il partito del pensiero unico". Adolfo Urso, segretario generale della Fondazione finiana, osserva che "Farefuturo non ha aderito alla convention ma ci siamo con le nostre idee" rilanciando la proposta (finiana) di "costruire un country party, un partito della nazione".
Forse il "patto del branzino" siglato la settimana scorsa da Fini e Berlusconi all’Hotel de Russie ha messo la sordina a certi malumori che pure si sono palesati nei ranghi di partito, specie durante la lunga fase di gelo tra i due co-fondatori del Pdl che ha caratterizzato i mesi scorsi. Ma è chiaro a tutti, aennini e forzisti, che una rottura contribuirebbe soltanto a piantare ostacoli lungo il cammino di un partito che non vuole tornare indietro, ma proiettarsi nel futuro politico dei prossimi decenni, anche dopo l’era Berlusconi e Fini. E’ anche per questo che Bocchino rilancia la necessità di consolidare il Pdl "perché l’incidente di Sarajevo è sempre dietro l’angolo", di procedere con le riforme che servono al paese. Sulla giustizia dice che bisogna andare avanti col legittimo impedimento e fa una sostanziale apertura alla reintroduzione dell’immunità parlamentare.
Non mancano tuttavia punzecchiature, come quella che Cicchitto rivolge al professor Campi (ideologo di Farefuturo) quando lo invita a riflettere sul fatto che "a volte Campi prescinde dal quadro generale e il quadro generale è che non stiamo in una democrazia normale, come l’ennesimo avviso di garanzia a Berlusconi conferma". Ma in questa due-giorni appaiono come dettagli.
La sostanza è che si deve discutere, pure litigare come è naturale che sia in un grande partito, ma la "comunità" del Pdl si costruisce condividendo i valori fondanti del progetto, come osserva Cicchitto per il quale "la discussione interna è utile purchè non sia lacerante. Discutiamo pure, ma guai a noi se fossimo così cretini da dividerci mentre siamo al governo”. Le differenze rispetto alla Lega le puntualizza Alemanno quando dice che il Pdl "è garante dell’unità nazionale" e questo lo distingue dal Carroccio di cui non sono condivisibili certe posizioni, anche se invita a vigilare affinchè al Nord come al Sud movimenti come quelli di Bossi non possano trovare spazi di radicamento.
Alla fine ciò che resta agli atti della convention aretina è la consapevolezza di proseguire il cammino di un partito che "rappresenta modernità e riformismo". La generazione Pdl torna a casa con una nuova mission. Il fermo-immagine forse più significativo, sta nelle parole di un parlamentare che viene dal Msi e ha attraversato tutta la storia della destra. Spiega che per la prima volta Matteoli e Alemanno partecipano a una iniziativa della ex corrente di Gasparri e La Russa e chiosa: "La generazione Pdl nasce anche da qui".