Nel Pdl non c’è una cultura unificante bensì principi validi per tutti

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Nel Pdl non c’è una cultura unificante bensì principi validi per tutti

11 Giugno 2010

Rilanciare la politica come passione, contenuti, programma. Il tentativo è riaffermare una dimensione della politica non ideologica, non intellettuale ma comunque ancorata a grandi sfide di principi. Soprattutto nel tempo che stiamo vivendo. La prospettiva è tendere a una laicità “sana” che diventa terreno di incontro, di impegno teso al bene comune, tra credenti e non credenti e capace di guidare le classi politiche, di oggi e di domani. La mission è quella che Gaetano Quagliariello vicepresidente dei senatori Pdl, propone e argomenta nel libro “La persona, il popolo e la libertà. Per una nuova generazione di politici cristiani” (edito da Cantagalli), presentato a Roma nella Sala Zuccari del Senato dal presidente Renato Schifani, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, Massimo D’Alema (presidente del Copasir) e dal fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi.

E il dibattito, moderato dal direttore de Il Tempo Mario Sechi, è diventato subito occasione per una riflessione più ampia, con tanto di schermaglie in punta di fioretto tra D’Alema e Quagliariello. Nella sua analisi la seconda carica dello Stato evidenzia il ruolo del pensiero cristiano nel nostro paese e rilanciato la necessità di un sano protagonismo della politica “per chiudere definitivamente il tempo dell’ideologia, comprese le ideologie economiche, e scandire il tempo nuovo delle idealità”.

La cifra di questa visione, sta in una cultura politica basata sul rispetto autentico dell’altro, non ristretta alla logica della semplice tolleranza, sottolinea Schifani per il quale la crisi economica internazionale “è stata subita e non efficacemente prevenuta” perché poteri “più incisivi della politica si sono imposti sui processi democratici di composizione dei conflitti. Poteri occulti e talvolta anche palesi che hanno fatto prevalere l’interesse finanziario sull’equità, la giustizia e anche sulla solidarietà”. Per questo una buona politica deve muovere dalla consapevolezza che “non ci può essere democrazia senza valori”.  Riccardi coglie nel libro di Quagliariello “un appello in cui il dialogo tra laici e cristiani sia creatore di idee e cultura. Oggi rispondere alle emozioni diventa un modo di far politica ed è l’evoluzione della politica negli ultimi trent’anni. E’ proprio qui il punto su cui lavorare per una nuova generazione di politici, affinché il divorzio tra cultura e politica sia colmato. Su questo Quagliariello lavora ed è il segno della necessità di una politica più ragionata. Ed il suo merito è l’aver agganciato il dibattito politico a una riflessione culturale”.  

Lo sguardo Lo sul ruolo del Pdl lo apre Sacconi quando rileva che il partito deve assumere come principio di base quello di una laicità che “riconosce la verità della regione”. Se la fede è un dato personale, la religione è un dato culturale più importante dell’appartenenza ecclesiale. “Noi dobbiamo parafrasare al contrario la definizione di Prodi di ‘cattolici adulti’ in favore di un’altra, quella di una laicità adulta che non può non riconoscere una verità, quella della religione che è parte fondante della società italiana”. In quest’ottica la laicità adulta comporta riconoscere che i valori cristiani sono presenti nella Costituzione, a cominciare dalla persona e dalla famiglia. E infatti “nella nostra Carta non c’è né il collettivismo comunista né l’individualismo liberista”, osserva il ministro del Welfare . Che poi torna sul dibattito interno al Pdl con un messaggio indirizzato alla corrente finiana. Nel partito “i dissenzienti potranno avere spazio ma non potranno avere una posizione paritetica a livello di valori  secondo il quale nel Pdl chi dissente potrà avere spazio ma “non potrà avere una  posizione paritetica a livello di valori fondativi, specie quando ci sarà occasione di un voto, ma saranno delle legittime minoranze”.

Tema ripreso da Quagliariello (anche come messaggio ai finiani) per il quale il Popolo delle Libertà è “un tentativo parallelo a quello del Pd, di dar vita a un partito più moderno in cui si riconoscano tutti i moderati. E’ un tentativo imperfetto che porta dalla coalizione ai partiti e i partiti non possono essere monoculturali ma non può essere privo di passione e di principi comuni a tutti”. Ma è nel botta e risposta tra D’Alema e Quagliariello che il dibattito mette a confronto due modelli culturali prima che politici, due visioni antitetiche. A Palazzo Giustiniani l’ex premier si presenta come “discussant di parte avversa” annunciando di voler “problematizzare”.

 Già, perché D’Alema mostra subito di non gradire il passaggio del vicepresidente dei senatori Pdl sulla fine delle ideologie del Novecento che derubrica a “roba vecchia di vent’anni” e si concentra sul dopo, puntando dritto sul capitalismo globalizzato e senza regole che “Tremonti chiama mercatismo e non so perché”. Ed è a questo punto che offre alla platea della Sala Zuccari il racconto dell’incontro con Giovanni Paolo II: “Aveva uno stile diretto, senza mediazioni. Eravamo divisi da un tavolo, lui mi prese le mani e mi interrogò : l’oggetto della sua preoccupazione di combattente del comunismo, di uno che aveva contribuito alla sua crisi e che ora denunciava le ingiustizie del capitalismo globalizzato, era il vuoto provocato dalla caduta delle grandi narrazioni ideologiche del Novecento” con la conseguente caduta delle speranze di emancipazione di cui la Chiesa restava unica portatrice. Racconto che D’Alema usa come premessa per ammettere di non riconoscersi nella “categoria” di “laico neo-illuminista che espunge la Chiesa dallo spazio pubblico e la costringe alla dimensione privata”; tendenza che invece individua nel Pdl dove “convivono l’individualismo nichilista fondato sull’Io desiderante e amorale e il recupero dell’uso politico della religione, come se si potesse compensare questa carica di individualismo amorale facendosi portatori di leggi gradite alla autorità ecclesiastica. Ma è uno scambio su cui non può esserci un fondamento etico condiviso”.

Passaggio felpato ma polemico rivolto a Quagliariello che, invece, imputa alla sinistra l’errore di aver fondato una nuova identità sulla tematizzazione politica di questioni eticamente sensibili come il confine tra la vita e la morte o le coppie di fatto.  Lo evidenzia quando dice che in realtà, D’Alema ha “un vizio illuminista” che porta lui e la sinistra “a prendersela con il destino cinico e baro quando il Pdl vince le elezioni: c’è sempre un’entità esterna a renderlo possibile, magari il doppio Stato, o l’anti-Stato. In realtà, c’è una tendenza a ignorare la natura del Pdl come movimento in via di definizione e consolidamento”.

Condivide l’analisi o su Papa Woytila, convinto che “la rinascita spirituale potesse partire dall’Europa e contaminare gli Stati Uniti. Ma negli ultimi anni della sua vita, dopo il 2001, ci fu un ripensamento. In Europa Giovanni Paolo II vide la diffusione del secolarismo e la rinascita di un sentimento religioso anche dal punto di vista civile laddove non se lo aspettava, negli Stati Uniti appunto, la patria di quel consumismo indifferentista che tanto lo preoccupava”.

Il concetto di fondo che torna nel libro di Quagliariello è che la fine delle ideologie, consegnate alla storia del secolo scorso, non vuol dire la morte della politica perché se la politica entra in una sorta di corto circuito, tutto diventa gioco di interesse.  E di fronte al crollo delle ideologie – è la tesi –  ciò che si misura sono due idee diverse e antagoniste di libertà: da una parte la libertà intesa come autodeterminazione, come decisione in qualsiasi istante e in proprio di tutto ciò che riguarda la sfera dell’individuo in una prospettiva nella quale tutto può essere deciso e programmato. Ciò si compie attraverso “un nuovo costruttivismo, non più sociale ma antropologico per il quale le decisioni della propria esistenza sono interamente nelle mani dell’individuo. Questa visione determina la fine della verità e della passione che sostiene la verità. Dall’altra parte, invece, c’è l’idea di libertà intesa come responsabilità. Il che implica una maggiore concentrazione dell’impegno sulla persona anzichè sul diritto e sulla necessità di una ipertrofia legislativa. Non solo: alla base c’è una valorizzazione della tradizione non come limite, ma come sedimento di esperienza della quale tenere conto. Una sfida che si riflette su tutte le grandi questioni di questo tempo:  giustizia, economia, scuola, università del ruolo della scienza”.

E’ su questo terreno che, per Quagliariello, si innesta “di nuovo la competizione tra una dimensione "progressista" e una dimensione liberale”. Il senso del libro è proprio questo: rilanciare la politica come passione e come adesione a dei principi e, sopratutto, come contributo a precetti di un bene comune che vengono fissati prima.