Nel Pdl se le suonano. Il Cav. vuole federare i moderati per spiazzare Casini
09 Maggio 2012
Dicono di un Cav. furibondo, tentato dall’idea di staccare la spina a Monti. Per le parole che Monti ha usato sulla crisi e sul dramma dei suicidi per la crisi. Lì per lì, i ‘falchi’ hanno esultato, poi hanno prevalso le ‘colombe’. In tempo reale, è arrivata la correzione del premier (della serie: non ce l’avevo con Berlusconi) ma il clima resta teso. E a quanto pare di capire il partito è pronto a cambiare rotta: lealtà ma non a tutti i cosi. Ovvero: votare solo i provvedimenti condivisi. Intanto nel Pdl va in scena un dejà vu.
Palazzo Grazioli, vertice notturno: sul tavolo dati elettorali e fibrillazioni. Su come e quanto stare in maggioranza d’ora in poi e su come rilanciare il Pdl, con l’idea sempre più insistente, di accelerare sul versante dei moderati. Idea però che non piace agli ex An, più interessati semmai, a un modello federativo tra partiti che potrebbe riportare perfino in auge il partito sciolto da Fini nel 2007. In mezzo, la legge elettorale.
Il punto per Berlusconi è riportare al Pdl quel 33 per cento di elettori di centrodestra che non hanno votato. In altre parole, rimotivare i moderati con una nuova opzione politica: non più come si immaginava all’inizio, con la formula del partito unico, piuttosto con l’idea di una federazione per ridare un punto di riferimento a quell’area elettorale consistente che da questo voto conferma delusione e distanza dal sistema dei partiti tradizionali. Potrebbe essere questa la novità da mettere in campo subito dopo i ballottaggi alle amministrative e di cui Alfano ha dato in campagna elettorale solo un breve quanto enigmatico accenno.
Un modo per uscire dal guado, anticipare le mosse di Casini che nell’istante di un “tweet” (140 caratteri) ha affossato il Terzo Polo e con lui Fini e Rutelli, ma anche per non lasciare troppo a lungo scoperto il nervo delle fibrillazioni interne. Lo stesso Casini che – il voto lo ha dimostrato – non può più ritenersi ago della bilancia a prescindere e che ora più che mai è costretto a guardare all’area di centrodestra, più che a Bersani&C.
Fibrillazioni pidielline che anche ieri sui giornali, le agenzie, i social impazzavano con dichiarazioni a tutto campo su Monti, il partito, Berlusconi e Alfano che devono staccare la spina al governo, la fronda dei ‘rottamatori’ che puntano il dito contro il segretario e i coordinatori. E che dire del ‘tweet’ della discordia che per alcune ore ha tenuto banco nelle polemiche incrociate tra i pidiellini del Lazio? “Noi stiamo con Giorgia Meloni e il ritorno alle preferenze ‘rottamiamocicchitto’”. Lo ha vergato sul social più in voga del momento una consigliera regionale eletta nel listino bloccato della presidente Polverini. Motivo del contendere le preferenze che il capogruppo del Pdl a Montecitorio aveva precedentemente bocciato affermando di non condividere “nè l’ipotesi di un sistema a due turni, nè la proposta di modificare la legge attuale introducendo le preferenze”. La via è portare al progetto in discussione le “modifiche proposte da Quagliariello e La Russa”. Il riferimento alle preferenze sta nella proposta di legge depositata alla Camera da un gruppo di deputati pidiellini – prima firmataria Giorgia Meloni – che prevede un correzione del Porcellum con il ritorno al sistema di scelta dei rappresentanti e l’attribuzione del premio di maggioranza al Senato su base nazionale e non più regionale.
Lo stato maggiore ha fatto quadrato attorno a Cicchitto (dalla Meloni alla Polverini ai maggiorenti del partito regionale) il quale ha risposto al tweet così: “’Quanto a coloro che su twitter esprimono l’intenzione di ‘rottamarmi’ non mi ero accorto di essere diventato un’auto. In ogni caso le imitazioni lessicali, non funzionano: di Renzi ce n’è uno solo. Neanche uno sforzo di fantasia nell’invettiva e nell’insulto”. C’è poi la mozione di una quarantina di pidiellini (in gran parte aennini) che chiamano Monti a chiarire il senso delle dichiarazioni sulle ragioni e le responsabilità della crisi (nuovo scivolone del Prof. di Varese che ha sollevato un vespaio di polemiche, seguita dalla correzione). Di tutto, di più.
Questi i nodi (e non sono da poco) attorno ai quali il Pdl rischia di avvitarsi, in una spirale pericolosa di rivendicazioni che l’esito del voto non ha fatto altro che amplificare.
L’idea di un partito unico dei moderati non trova grande seguito nel versante degli aennini più oltranzisti (non tutti però), tanto che secondo i rumors di Palazzo c’è chi non esclude l’idea di lasciare il Pdl se questa sarà la direzione, per ricostituire una sorta di An o Fi allargata. In questo schema si potrebbero incastrare anche i desiderata di alcuni ex forzisti (vedi Crosetto) e tra questi di chi come Galan (ma non solo) va ripetendo da sempre che occorre tornare allo spirito del ’94, a maggior ragione dopo l’esito del voto amministrativo, per ricostruire un progetto politico che torni a vincere nel paese. In questo senso – è il convincimento di alcuni deputati pidiellini – l’idea di una federazione di centro potrebbe rivelarsi la giusta sintesi e il modo migliore per stoppare sul nascere tentazioni di fuoriuscite dal partito.
Altra questione: i ‘falchi’ spingono per il voto anticipato ma la componente moderata fa muro e lo stesso Berlusconi non è intenzionato ad accollarsi la responsabilità di una crisi di governo nel bel mezzo della crisi che sta investendo il paese. Se la musica è cambiata e dunque si valuteranno i singoli provvedimenti non votando quelli ritenuti inadeguati, resta comunque l’impegno a restare in maggioranza (a meno di clamorose scelte dei Prof.). Lo ribadisce Gaetano Quagliariello quando a L’Avvenire dice che “il Pdl è una grande forza nazionale, non può cedere all’egoismo e nemmeno gli converrebbe. Chi infatti stacca la spina a Monti guadagna nell’immediato ma è destinato ad assumersi la responsabilità dell’acuirsi della crisi, della perdita definitiva di fiducia a livello internazionale e della difficoltà a piazzare il debito”. Per il vicepresidente dei senatori Pdl “la priorità non è rincorrere i partiti ma unire gli elettori moderati. Altrimenti accadrà come in Francia, dove la sinistra vince anche se è minoranza nel Paese”.
E se questo mai accadesse, per un centrodestra in cerca di se stesso, sarebbe per davvero puro ‘tafazzismo’.