Nel Pdl si cerca in fretta un accordo sulle questioni di vita e di morte

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Nel Pdl si cerca in fretta un accordo sulle questioni di vita e di morte

01 Dicembre 2008

Il passato da radicali ce l’hanno tutti e due e dei radicali gli è rimasto certamente anche lo spirito. La volontà di portare avanti una campagna civile oltre che politica non cedendo all’avversario l’onore delle armi ma anzi ognuno difendendo il diritto all’ultima parola. Benedetto della Vedova e Eugenia Roccella, entrambi Pdl, sono solo due delle voci che in questi mesi si sono levate in difesa di Eluana. Lo hanno fatto ciascuno secondo le proprie convinzioni, ciascuno col suo ruolo politico – Della Vedova attraverso l’iniziativa parlamentare, la Roccella come sottosegretario al welfare –senza mai sottrarsi al confronto, ma anzi, quando necessario, anche alzando i toni della contrapposizione.

Messi uno di fronte all’altro si capisce subito che ruolo dovrebbero svolgere se la politica fosse un palcoscenico e non il luogo della contrattazione: il laico lo fa della Vedova, la cattolica la Roccella. Punto e basta. Eppure a guardar bene, che vuol dire guardare anche secondo un principio di obiettività, quando si tratta di questi temi sarebbe bene tener fuori dalla porta le appartenenze religiose e ragionare da laici più o meno moderati. Del Resto la Roccella ci tiene a ribadirlo: “Su questo tema non si può parlare di divisione netta tra laici e cattolici: sia Ignazio Marino che Daniele Bosone, per esempio, sono cattolici e del Pd, eppure le loro proposte di legge sono molto diverse”.

In effetti delle dieci leggi presentate in parlamento e di cui proprio tra oggi e domani dovrebbero discutere i parlamentari del Pdl che lavorano nelle Commissioni Sanità di Camera e Senato, la gamma delle posizioni è amplissima e include ai due estremi naturalmente i guelfi e i ghibellini. Eppure vi è anche una zona d’ombra che sfuma verso il centro e consente di pensare che in fondo alla fine un accordo si farà. Del resto, in questa guerra dei fronti che si è scatenata dopo il caso Englaro sono ormai tutti convinti di una cosa: non ci saranno né vincitori né vinti se non verrà raggiunto il compromesso della legge.

Sul metodo sia della Vedova sia la Roccella sono d’accordo: l’iter da seguire è quello parlamentare. Il governo non vuole mettere alcun paletto che incardini l’azione del parlamento. “Proprio perché sono convinta che il governo non debba entrare nel discorso sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento – dice la Roccella – quello che mi è sembrato utile fare era proporre un comune terreno d’intesa, il più istituzionale possibile, e quel terreno può essere rappresentato da un documento approvato dal Comitato nazionale di Bioetica nel 2003”.

Ricostruiamo il retroscena: il Cnb, che è l’organo istituzionale di consulenza del governo sui temi etici, nel 2003 votò all’unanimità – nelle sue componenti laiche di destra e sinistra e cattoliche di destra e sinistra – e prima delle lacerazioni dei casi di Welby ed Englaro, un documento sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento. A questo seguì due anni dopo un documento più specifico su alimentazione e idratazione approvato, stavolta, a maggioranza.

In quel documento venivano definiti i contenuti di una legge sul fine vita che, secondo la Roccella, potrebbero essere possibile terreno di intesa politica in Parlamento e vi si dichiarava che alimentazione e idratazione non possano essere assimilate a terapie e non rientrano quindi tra le cure di cui un paziente può richiedere la sospensione.

“So – puntualizza il sottosegretario al welfare –che nel Pdl ci sono posizioni diverse, penso che sia bene che su una legge di questo genere più ampia condivisione possibile, una condivisione trasversale che non sia solo di schieramento e penso che quel parere potesse essere una base di mediazione”. Nessuna distinzione quindi tra laici e cattolici e neanche tra destra e sinistra. E, sostiene Della Vedova, “cerchiamo per quanto possibile di tener fuori dalla porta le posizioni più ideologizzate”. Ma quando si entra nei contenuti già si capisce che la concordia della prima ora fa intravvedere tutti i suoi limiti. E allora Della Vedova ci va giù pesante: “E’ vero però che su molti aspetti ci sono valutazioni differenti. E mi viene da dire che se quelli del Cnb fossero i punti chiavi di una legge sul testamento biologico, la mia personale convinzione è che forse sarebbe meglio non farla, perché porterebbe con sé un contenzioso infinito”. E allora scendiamo nello specifico.

I punti più critici sono tre: come considerare alimentazione e idratazione, che tipo di dichiarazioni anticipate di trattamento prevedere e quale ruolo lasciare al medico e al paziente nella decisione finale.

Il punto più controverso sembra proprio essere quello che riguarda alimentazione e idratazione. “Non capisco come si possano assimilare a terapie, alimentazione e idratazione”, insorge la Roccella. “Il confine col diritto a morire è molto sottile, ma idratazione e alimentazione non possono essere considerate terapie. Sono piuttosto gesti di cura, in qualunque modo vengano somministrate. Esiste una semplice controprova: se io ho una malattia, mettiamo un’infezione, e sospendo una terapia antibiotica, morirò della mia patologia. Ma se, con la stessa patologia, sospendo alimentazione e idratazione morirò di fame e di sete”.  E quindi, detto in altri termini, in questo caso il problema dell’accanimento terapeutico non esiste perché alimentazione e idratazione rientrerebbero nel diritto alla cura.

Ma Della Vedova non ci sta e riafferma: “Quello su Eluana è accanimento terapeutico. E le sue volontà sono state pienamente rispettate con la sentenza della Cassazione. Si dice mangiare e bere, ma io credo che siano iperboli. Perché l’alimentazione e l’idratazione di cui si parla per Eluana si pratica con un sondino e non è nutrizione naturale ma una tecnica nata per essere usata per brevi periodi, dopo le operazioni chirurgiche. Poi grazie ai miglioramenti tecnologici ha finito per essere usata per prolungare artificialmente la vita delle persone. E’ inammissibile che non si rimoduli il novero dei trattamenti sanitari anche in relazione alle evoluzioni della scienza e della tecnica. Così come è inammissibile pensare che se un padre sospende l’alimentazione e l’idratazione alla figlia in stato vegetativo da 16 anni commette un omicidio. Su questo la discussione potrebbe andare avanti all’infinito. ”

Nessun compromesso, dunque? “Non si può imporre un’etica di stato su questi temi, va fatta valere la sensibilità delle persone. E, tenendo conto che andiamo incontro a un progresso straordinario, qualsiasi mezzo mantenga la vita biologica (alimentazione, respirazione artificiale, idratazione artificiale) viene sottratto alla scelta anche preventiva di ciascuno di noi sarà difficile trovare un punto di compromesso”.

E la Roccella del compromesso che pensa? “Un compromesso si può trovare solo su un terreno di garanzia perché parliamo della vita e della morte di una persona. E dirò di più. Proprio i non credenti, che credono che la vita è tutto ciò di cui disponiamo, devono utilizzare il criterio della garanzia e usare un principio di precauzione. Se si usa questo allora è possibile trovare una mediazione. Pensiamo ad Eluana. Il suo è un caso a rischio e mi meraviglio che persone di cultura e convinzioni liberali, soprattutto i radicali, non abbiano sottolineato questo aspetto e cioè che accertare ex post le volontà della persona senza nulla di scritto, di certificato, ma solo sulla base di una sorta di processo indiziario, fondato sulla ricostruzione degli “stili di vita”, è molto rischioso. Lo sarebbe già se fosse in gioco la libertà personale; lo è molto di con la vita delle persone”.

E qui si apre la seconda questione spinosa, quella che riguarda le dichiarazioni. La Roccella ha le idee chiare: “Le Dichiarazioni devono essere scritte e certificate. Non standardizzate, l’esito di un colloquio personalizzato con un medico. Non, come succede in molti paesi, frutto di un modulo prestampato ma di un reale consenso informato, che non può ridursi a un’idea generale sulla vita e sulla morte ma deve consistere in un’ampia informazione sulla malattia e le terapie possibili. Questa legge deve essere una specificazione dell’articolo 32 della Costituzione sulla libertà di cura”.

Si tratta, in sostanza, di essere in grado di scegliere o rifiutare una terapia. “Il fatto che io possa scegliere ovviamente implica anche la possibilità che rifiutando una terapia io vada incontro alla morte. Però è molto diverso dire questo o affermare invece di avere il diritto a morire”. E nel caso di incoscienza del paziente? “Il curatore opererà di concerto col medico, che deve mantenere comunque il suo ruolo professionale. Del resto, pensateci bene, chi adotterebbe questo metodo di ricostruzione delle volontà per un bene materiale? Nessun giudice accetterebbe di trasmettere un bene materiale non agli eredi naturali, ma a qualcun altro, in base agli “stili di vita” senza un testamento scritto. E allora perché dovrebbe essere consentito quando è in gioco la vita umana?”

Ma Della Vedova non accetta paletti così stretti – forse non considerando fino in fondo che tra i dieci disegni di legge al vaglio della Commissione sanità del Senato ce n’è qualcuno che addirittura prevede la possibilità di sottoscrivere un documento sul fine vita solo per i già malati – e rivendica il diritto a decidere della propria vita, e quindi della propria morte. “Il documento scritto? Un’esagerazione. Basta poter ricostruire dalle dichiarazioni espresse in diversi contesti, dalle convinzioni notorie, dallo stile di vita le idee della persona in stato di incapacità”. E allora scendiamo su un piano concreto: “Va bene. Io, Benedetto, oggi faccio il testamento biologico, domani mi pento e dico ai miei cari di aver cambiato idea”. Quale dichiarazione deve essere accettata dal medico? “Certamente l’ultima volontà, in questo caso quella non scritta. Ma certo ogni caso è diverso”.

E allora che cosa e fino a che punto è vincolante la volontà del paziente? Della Vedova è deciso: il medico è vincolato nella sua decisione all’ultima volontà del paziente (o del suo curatore). Ma la Roccella, anche mettendo in evidenza che sul piano della vincolatività le due posizioni non sono poi così distanti, specifica: “Ogni caso è una situazione a sé, soggetta a mille varianti, che il medico deve poter tenere in considerazione. Il medico può dire di no scrivendo sulla cartella clinica i motivi per cui in scienza e coscienza decide di non dare seguito alle volontà del paziente sulla base della valutazione di due elementi: la situazione clinica del paziente e gli sviluppi della medicina”. E se si presenta il caso che il curatore non sia d’accordo con la decisione del medico? “Uno può sempre cambiare medico. Se il curatore decide che quel medico non ha valutato in maniera onesta le condizioni  cliniche del paziente e le dichiarazioni di trattamento può decidere di rivolgersi a qualcun altro”. Quindi secondo la Roccella il principio di autodeterminazione di Della Vedova va bene fino al limite in cui viene lasciato un margine di valutazione clinica, di professionalità, di autonomia deontologica al medico. E non si tratta dell’obiezione di coscienza di cui parla Veronesi ma del riconoscimento di un valore professionale. “Io voglio semplicemente che il medico possa continuare a fare il medico. L’alleanza terapeutica, cioè quel particolare rapporto che si crea fra medico e paziente, non può essere ridotto a quello che esiste fra un commerciante e un consumatore. Io voglio tutelare la libertà delle persone. Ma è solo lasciando al medico la sua libertà di essere medico che si tutela anche il paziente e la sua libertà”. La parola d’ordine dunque è: alleanza terapeutica. “Un medico – continua la Roccella – deve considerare quello che chiede il paziente anche alla luce dei progressi scientifici e della propria valutazione clinica. Ma se l’autodeterminazione è il principio ispiratore ultimo allora si arriva al  suicidio assistito”.

Ma Della Vedova non crede che le cose possano essere portate ad un livello così estremo. E poi nei casi come quello di Eluana ritiene di avere a che fare con una persona che non ha nessuna chance di tornare ad avere una vita “normale”. “Non voglio passare per uno che non vuol garantire la vita umana dal punto di vista normativo”, sostiene il parlamentare del PDL. “Io credo alla vita umana, alla dignità della vita umana e al fatto che i progressi della tecnoscienza debbano prevedere delle procedure che in alcun modo limitino la tutela delle persone. La situazione va valutata caso per caso”. Il cerchio sembra chiudersi. La scienza progredisce, i medici si aggiornano e non è detto che i pazienti nell’espressione delle loro volontà possano tenerne conto. Quindi il principio dell’autodeterminazione è valido ma fino a un certo punto. E vale il caso per caso. Rimane da stabilire come vengono valutati alcuni stati, come quello vegetativo di Eluana. E qui la questione si riapre, su stati vegetativi e ripresa, abilità e disabilità, trapianti e morte cerebrale. Ma è meglio sospenderla qui perché su questi temi si rischia davvero di non trovare alcun terreno di intesa.