Nel primo round tv la spunta Zapatero

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Nel primo round tv la spunta Zapatero

Nel primo round tv la spunta Zapatero

26 Febbraio 2008

Sebbene
i vertici di entrambi i partiti avessero dichiarato ufficialmente che il
confronto televisivo non avrebbe influenzato, 
in termini rilevanti, le intenzioni di voto degli spagnoli,  popolari e socialisti hanno costituito due comitati
per l’evento e  lavorato alla
preparazione del dibattito da più di mese.

Nell’era
della spettacolarizzazione della politica e con una differenza in termini
percentuali di preferenza a favore del PSOE di circa il 3%, i leader dei due
maggiori partiti hanno dimostrato di essere assolutamente consapevoli che l’appello
alla sfera emozionale degli elettori, l’identificazione e lo schieramento a
favore dell’uno o dell’altro, nel corso del confronto poteva giocare un ruolo
determinante.

Puntare
sull’effetto “presidenzialista” e mobilitare l’elettorato è l’obiettivo di
fondo dei socialisti (l’affluenza alle urne deve superare il 70% secondo le
loro stime per la rielezione del premier uscente), mentre i popolari puntano su
una campagna denigratoria  dell’operato
del governo e fanno leva sulla forza di rinnovamento dell’offerta complessiva
del PP e non sull’effetto traino della sua leadership.

Queste
caratteristiche sono emerse pienamente nel corso del dibattito televisivo.
Quattro blocchi tematici, economia e lavoro, politiche sociali, politica
estera, questioni istituzionali, accompagnati da una breve introduzione sulla
situazione complessiva del paese e da un epilogo sulle sfide per il futuro.

Tocca
a Rajoy iniziare e a Zapatero ribattere. Il leader dei popolari, in linea di
continuità con la strategia messa in campo già nelle settimane precedenti, si
scaglia in primissima istanza contro l’ottimismo dei socialisti, che, secondo
lui, non fanno altro che offuscare i reali  problemi del paese, per poi accusare Zapatero  di avere stravolto la struttura dello Stato,
di aver considerato l’Eta un interlocutore politico, di essersi occupato di progetti
antioccidentali come “l’Alleanza delle Civiltà” e di aver promosso leggi dalla
valenza meramente simbolica, quali quella sulla memoria storica.

Per
quanto riguarda la sfera economica il leader dei popolari non chiede dati
macroeconomici, ma spiegazioni sull’ingente aumento dei prezzi dei generi
alimentari, e rimarca la necessità del recupero del potere d’acquisto dei
salari dei lavoratori. Nel campo delle politiche sociali, Rajoy concentra tutto
il suo intervento sulla necessità di una nuova regolamentazione dell’immigrazione
e cita le recenti proposte del suo partito, il visto a punti e il contratto per
gli immigrati, misure da mettere in campo, secondo i popolari, per gestire i
flussi d’ingresso nel paese, attualmente tra i più alti d’Europa, e per
favorire una reale integrazione di quanti decidono di emigrare in Spagna.

Per
quanto riguarda la politica estera, curiosamente Rajoy non accenna alle scelte
internazionali della Spagna nel corso degli ultimi quattro anni, ma si concentra
sulla critica del negoziato con l’organizzazione del terrorismo basco,
considerandolo come il più sonoro fallimento dell’intera legislatura.

Zapatero
risponde punto per punto, tranne che sull’immigrazione dove vacilla, mostrandosi
pragmatico e meno demagogico, e usando toni moderati, cita i risultati del suo
governo. Gli statuti d’autonomia catalano e andaluso non hanno alimentato
progetti secessionisti ma al contrario hanno accontentato esigenze locali senza
disattendere un rafforzamento del dialogo e dei contatti con il governo
centrale; per quanto riguarda l’Eta – pur non offrendo una spiegazione sulla
scelta del suo governo di negoziare – il premier uscente lancia le sue accuse
contro la mancanza di senso dello Stato dimostrata dal PP, che ha preferito
utilizzare in modo strumentale il dibattito sul terrorismo per fini elettorali,
invece di appoggiare “senza condizioni le scelte dell’esecutivo”, come fecero i
socialisti sotto il governo Aznar.

Nell’ambito
delle politiche economiche, attribuisce gli aumenti dei prezzi a un ciclo
economico recessivo, ma cita la creazione di tre milioni di posti di lavoro
realizzata nel corso della legislatura, così come nell’ambito della politica
sociale accenna appena all’immigrazione e si concentra invece sugli aumenti dei
salari e delle pensioni minime, oltre che all’istituzione di un bonus bebè,
assente dal programma dei popolari.

Per
la politica estera cita il miglioramento dei rapporti con i paesi europei e il
rafforzamento dei programmi di cooperazione e sviluppo con l’America Latina.

In
generale il leader socialista trasmette una immagine di maggiore sicurezza.
Parla dei risultati raggiunti con successo, 
come  quelli relativi al lavoro e
alle pensioni e alle politiche di aiuto per i meno abbienti. Tace sui punti più
controversi del suo operato, come il varo della legge sul matrimonio
omosessuale e il peggioramento del rapporto con la Chiesa cattolica. La scelta
di tenere fuori dal dibattito gli ambiti più controversi non ci appare
naturalmente come una casualità ma come una scelta ben ponderata mirata a
recuperare i consensi  di un elettorato
centrista e moderato.

Così
come nel nostro paese il sistema politico tende anche in Spagna verso un
bipolarismo orientato verso il centro. Zapatero sembra averlo capito, proprio
alla fine del suo mandato, vedremo se manterrà questa stessa impostazione nel
corso delle ultime due settimane di campagna elettorale e soprattutto vedremo
come ribatterà Rajoy a questo cambiamento di strategia politica nel secondo e
ultimo confronto televisivo che si terrà la prossima settimana.