Nella baruffa tra Krugman e Bernanke il convitato di pietra è il taglio alla spesa

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Nella baruffa tra Krugman e Bernanke il convitato di pietra è il taglio alla spesa

09 Maggio 2012

In un editoriale dell’altro ieri sul Financial Times, Raghuram Rajan, l’economista indiano intervistato da l’Occidentale che aveva previsto la bolla del credito del 2007 (uno dei pochissimi), ha spezzato una lancia in favore di ‘poor Ben’, del povero Ben Bernanke, il governatore della Banca centrale statunitense attaccato da tutte le parti negli Stati Uniti.

I Repubblicani e i conservatori gli rimproverano l’alleggerimento quantitativo, la debolezza del dollaro e una troppo marcata propensione ad assecondare le politiche pro-deficit e pro-debito della Casa Bianca di Barack Obama; i progressisti lo accusano invece d’essere troppo cauto sul fronte nel controllo dell’inflazione, una politica che è duramente contestata dal gotha neo-keynesiano statunitense, in testa Paul Krugman, premio Nobel per l’economia e firma di punta del New York Times.

Una tenzone quella tra Krugman e Bernanke, che il Washington Post ha ribattezzato la “Battaglia delle barbe”. Secondo Rajan il problema alla base della tenzone tra i due è il seguente: da una parte c’è un uomo come Bernanke che in quattro anni di crisi, con una recessione alle spalle e una all’orizzonte, ha usato (e usa) la leva monetaria per mettere in campo politiche che hanno permesso allo stato federale di salvare imprese ‘strategiche’ e di prestare centinaia di miliardi di dollari alle banche americane  –  e si dica pure europee  – in funzione anti-ciclica. Il tutto mantenendo l’inflazione attorno al 2% annuo, in difesa anche dello status di moneta globale del dollaro.

Dal canto suo, Paul Krugman attacca da mesi questa politica monetaria, accusandola d’essere troppo conservativa sul fronte inflazione e in fin dei conti pro-ciclica. Questa è appunto la ricetta che Paul Krugman va suggerendo da mesi. Per l’economista qualche anno d’inflazione al 3-4% è il prezzo da pagare per far ripartire la locomotiva economica dell’America (e permettere anche la rielezione di Obama). L’aumento dell’inflazione renderebbe negativo il tasso d’interesse reale (dato dal tasso d’interesse nominale meno l’inflazione) e ciò da una parte permetterebbe agli indebitati di ripagare più in fretta i propri debiti e dall’altra incentiverebbe i detentori di risparmio a spendere, spingendo di nuovo in su i consumi, fenomeno che incentiverebbe le imprese a riassumere personale, abbassando così il tasso di disoccupazione. "Et c’est parti!", direbbero in Francia.

Ovviamente, la visione krugmaniana delle cose non tiene conto di un dato abnorme: alla base della crisi statunitense del 2007 v’era proprio un problema di bassa propensione al risparmio delle famiglie americane (oggi il risparmio privato delle famiglie americane è pari solo al 4% del Pil statunitense), le quali erano state spinte a spendere – magari comprando una casa che avrebbero potuto acquistare – e a indebitarsi anche in virtù del laissez-fairismo della politica monetaria di Alan Greenspan. L’idea di riproporre una ricetta anti-ciclica che di fatto promuoverebbe di nuovo uno degli squilibri del pre-crisi è per Bernanke del tutto “sconsiderato” (queste le sue parole).

Ovviamente nulla negli Stati Uniti cambierà, almeno fino alle elezioni presidenziali del Novembre prossimo. In Europa invece le cose cambiaranno in fretta con l’insediamento il prossimo 15 Maggio di François Hollande all’Eliseo e il dibattito su crescita e austerità s’intensifica. E la vulgata ‘crescita’ s’è impadronita di molti: in casa nostra addirittura pezzi della soi-disant Destra che si dicono soddisfatti dell’elezione di François Hollande, un socialista (!), per le sue posizioni anti-rigoriste e pro-crescita (gioca anche un po’ d’esprit de revanche nei confronti della Germania di Angela Merkel).

Nessuno però evoca la questione nodale: ovvero che fare crescita con spesa pubblica a deficit, da affiancare a una politica monetaria espansiva della Bce (che la Germania non consentirà mai!) è molto rischioso e non è in vero la soluzione. Hollande ha negato di voler intraprendee questa via, ma non si capisce come un socialista non riformato come lui pensi di fare crescita se non spendendo denaro pubblico.

Ora, se la crisi del debito sovrano di questi ultimi mesi dice qualcosa alla classe dirigente europea, è che il modello ‘spesa pubblica per consenso’ è saltato e che è giunto il momento di disabituare le persone a chiedere allo Stato. Serve meno mano pubblica, e con lo smobilizzo delle risorse si deve andare a finanziare l’abbattimento del debito pubblico e seri abbattimenti della pressione fiscale su lavoro, imprese e famiglie. Questo è l’unico modo per rilanciare le economie Occidentali: far uscire lo Stato dall’economia dei servizi pubblici secondari. Con buona pace di Krugman e del partito della spesa continentale europea.