Nella crisi in Campidoglio Alemanno si gioca il suo futuro politico
13 Gennaio 2011
Una crisi al buio, consensi in picchiata e rapporti con il partito ai minimi termini. Per il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il 2011 non è iniziato proprio nel migliore dei modi. A vederla con gli occhi di oggi (ma chi lo conosce bene s’aspetta un improvviso colpo d’ala) Alemanno ha commesso più di un passo falso.
Nei giorni scorsi, dopo l’azzeramento degli assessori, la convinzione generale era di trovarsi davanti alla più classica delle crisi pilotate o, al limite, ad un rimpasto. Una prassi abituale nella Prima Repubblica. Si rimuoveva il vecchio passando una mano di vernice fresca, rimpiazzando qualche ministro o magari mandando via l’intero governo. Spesso, se non sempre, però, le mosse erano studiate prima. E proprio qui sta la differenza tra ieri e oggi. Quella di Alemanno non è stata una crisi pilotata. O forse lo è stata solo nel senso mediatico del termine. Dopo il ciclone parentopoli, il primo cittadino della Capitale ha voluto mandare un segnale forte. Una sorta di “ricomincio da zero” o, per dirla alla Troisi, “ricomincio da tre” visto che tanti sembrano essere gli assessori destinati al sacrificio (per gli altri è probabile un “semplice” ritiro di deleghe).
La questione però, come si suole dire, è assai più complessa. Per chi conosce il sindaco di Roma solo come uomo pubblico sono necessarie un paio di note caratteriali. Tra i segni distintivi della sua personalità c’è la testardaggine. Quando una cosa gli entra in testa è difficile, spesso impossibile, fargli cambiare idea. Voleva a tutti i costi vedere sfrecciare i bolidi di Formula 1 all’Eur ed al progetto, nonostante le perplessità dei suoi consiglieri più accorti, s’è dedicato anima e corpo facendo un passo indietro solo dopo l’aut aut – “o Roma o Monza” – di Bernie Ecclestone.
Allo stesso modo, ancora prima di parentopoli, s’era convinto che fosse necessario un riassetto della giunta. Ai vani tentativi di dissuaderlo, per tutta risposta, Alemanno s’è invece imbarcato nella pericolosa avventura dell’azzeramento. Una mossa rischiosa, non c’è dubbio, che per il momento ha sortito solo due effetti: mettere, o meglio rimettere, in fibrillazione i delicatissimi equilibri della destra capitolina, dominata dalle correnti dell’ex An, e fare agitare lo stesso premier, Silvio Berlusconi, che probabilmente tutto voleva tranne che trovarsi per le mani una spinosa “questione romana”.
Un altro tratto caratteristico della complessa personalità alemanniana è la capacità d’analisi e strategia politica. Come pochi altri, Gianni è in grado di fiutare il vento. Una dote che gli è servita spesso, sia nei tumultuosi anni del Movimento sociale che in quelli di An. Fu tra i primi, ad esempio, a capire che Gianfranco Fini sarebbe stato un leader solo per l’organigramma. Che il popolo di destra voleva un capo “vero”, uno di strada. Uno come lui, insomma. E infatti, nel corso del tempo, Alemanno è riuscito a imporsi sospinto dai “ragazzi” della base. Gli stessi che gli hanno dato una grande mano nella conquista del Campidoglio e sui quali conta per il futuro, non si sa quanto, ritorno sulla scena nazionale. Perché è qui il vero nocciolo della questione. Ad Alemanno il Campidoglio sta stretto. L’esperienza da sindaco gli piace ma ritiene d’avere consenso, capacità e carisma tali da permettergli ben altre mire. Paradossalmente il nodo-giunta potrebbe giovargli.
Per la sua carriera politica questi, saranno giorni decisivi. Se riuscirà, sfoggiando le doti di cui sopra, a uscire dalla secca in cui s’è infilato – con buona pace di chi lo sta accusando di sventatezza – il significato sarà uno solo: che è pronto a spiccare il grande salto.