Nella guerra delle fake news nessuno è innocente

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Nella guerra delle fake news nessuno è innocente

01 Aprile 2017

La rivista Newsweek in un articolo dedicato alle elezioni in Francia e in Germania ridà fuoco alle polveri della battaglia contro le “fake news”, le notizie bufala in Rete. O presunte tali. Newsweek, convinta del complotto russo per inquinare il voto americano che ha portato alla vittoria di Donald Trump, scrive che bisogna evitare una nuova incursione degli hacker teleguidati da Putin in grado di spianare la strada alla vittoria di Marine Le Pen in Francia e della destra tedesca.

Eppure davanti alla commissione del Congresso Usa, il capo della FBI, Comey, nelle scorse settimane ha ammesso che, se pure quelle incursioni ci furono, i russi non hanno influenzato il voto che ha incoronato Trump. Gli elettori americano votarono liberamente. Incurante di questo dato di fatto, Newsweek riassume come se niente fosse una situazione che al contrario sta diventando sempre più preoccupante: i padroni del web, Google e Facebook, intensificano la collaborazione con i giornali europei, e con siti di “debunking” (dei cacciatori di bufale), per segnalare le fake news sul voto francese e tedesco agli utenti.

Addirittura, in uno di questi accordi, balena l’ipotesi che le notizie “fake”, o sempre presunte tali, sanzionate dai cacciatori di bufale gemellati con Big Web, finiscano nelle ultime posizioni della nostra bacheca Facebook, e non ci sorprenderebbe che vengano retrocesse e penalizzate nella indicizzazione sui motori di ricerca. Certo quella di papa Francesco che faceva endorsement per Trump era una bufala grande così ma non ci voleva il bollino blu per capirlo, bastava il buonsenso. Più difficile provare che gli hacker russi stiano tramando con Le Pen e l’Afd, nonostante Newsweek dia la notizia come se fosse cosa fatta.

La domanda è in ogni caso come reagiranno Facebook, Google e i loro partner a notizie come quelle provenienti dalla Svezia, sulle enclave musulmane dove non entra la polizia, alle donne viene suggerito di non vestire in modo “provocante”, e scoppiano episodi di guerriglia urbana con tanto di feriti e auto incendiate. Nel 2015, subito dopo la strage di Charlie Hebdo a Parigi, un’altra corazzata del giornalismo americano, il New York Times, negò l’esistenza delle no-go-zones. Ma anche in questo caso una miriade di video pubblicati da utenti e reporter nei canali YouTube hanno dimostrato chiaramente che in Svezia accadono cose che invece di scandalizzare vengono ridimensionate e accettate per quieto vivere o per paura. Le notizie sulle zone islamizzate in Europa finiranno agli ultimi posti della nostra bacheca Facebook come la più stupida delle fake news?