Nella manovra c’è più Pdl. Il patto di Arcore ridimensiona Tremonti e Bossi
30 Agosto 2011
Più che sui contenuti che pure contano, specie se si tratta di ‘lacrime e sangue’ cioè soldi e tasse, la chiusura del cerchio sulla manovra mette in luce dati politici da non sottovalutare. Che per la prima volta, rivelano, l’avvio di una nuova fase. Almeno così pare. Uno su tutti: si è andati oltre ‘l’asse di comando’ Bossi-Berlusconi-Tremonti.
Se la versione rivista e corretta della manovra può sembrare più debole economicamente rispetto all’originale, sul piano politico si ricolloca nell’alveo valoriale del centrodestra. Insomma da manovra ‘socialista’ come molti nel Pdl avevano bocciato la creatura ‘tremontiana’ minacciando di non votarla a scatola chiusa in Aula e che poco piaceva pure al Cav., si è tornati alla ‘casa madre’ tanto per dirla con un berlusconiano doc per il quale “se la coalizione si fonda sui veti anziché su contenuti e obiettivi politici, allora vuol dire che è morta”. Così non è stato e da questa full immersion di mediazione agostana emergono elementi interessanti: da un lato, il ‘peso’ dei gruppi parlamentari del Pdl e dello stesso partito – quindi del segretario Alfano -, dall’altro una sorta di ridimensionamento del ruolo (non solo politico) del ministro dell’Economia che si è visto cancellare d’un colpo la ‘tassa di solidarietà’ (resta però per deputati e senatori) invisa a Berlusconi, praticamente a tutto il partito, ma anche a larga parte dell’opinione pubblica.
Il Prof di Sondrio, dunque, ha dovuto cedere ottenendo in cambio il fatto che l’Iva non sarà ritoccata, ma è indubbio che il suo cavallo di battaglia (appunto la ‘tassa di solidarietà, prima sopra i 90mila euro poi prevista per i redditi superiori ai 200mila), alla fine sia rimasto per strada. Senza acqua né foraggio. Nel senso che ha dovuto abbandonare la linea del diktat e confrontarsi in primis col Pdl e con tutta la coalizione.
E non è un caso se oggi Berlusconi se n’è uscito sulle agenzie soddisfatto, ricordando che “la manovra è stata migliorata senza modificarne i saldi”, ma soprattutto vantando il fatto che “non sono state messe le mani nelle tasche degli italiani”. Cosa che fino a qualche giorno fa non era, con annesso livello di fibrillazione – ma forse anche qualcosa di più se si rimettono in fila le dichiarazioni ultimative delle ultime due settimane – nei ranghi pidiellini con la cosiddetta pattuglia dei ‘frondisti’ (Crosetto in testa) scatenati contro la manovra e il suo padre putativo. Richieste, proposte, comprese nel piatto della mediazione – anche quella interna al Pdl – che ha avuto per protagonisti i gruppi parlamentari di Camera e Senato e, appunto, Angelino Alfano. Il quale alla Berghem Fest leghista era sembrato come uno scolaretto attento e diligente alla ‘lezioncina’ di Maroni e Calderoli, almeno questa era stata la percezione tra numerosi parlamentari pidiellini. Tattica? Può darsi di sì, fatto sta che nel vertice decisivo – quello di Arcore – è stato proprio Alfano a tenere il punto, insieme ai vertici dei gruppi parlamentari pidiellini. E non solo nei confronti del ministro dell’Economia ma soprattutto con Bossi e i suoi colonnelli.
Già, la Lega. Dalla partita della mediazione è uscita dovendo rivedere alcune posizioni intransigenti che pure dentro il Carroccio avevano destato distinguo: a cominciare dai Maroni ad esempio sui piccoli Comuni, sembrato sempre più in rotta di collisione col Senatur e, inizialmente pure con Calderoli (il quale non aveva risparmiato stoccate di fiele sulle proposte del ministro dell’Interno). Poi tra i due, è tornato il sereno (apparente?), sulle modifiche al decreto. E Bossi? Il suo niet su pensioni e province, si è tradotto in un ‘si può fare’ e il risultato è che per intanto si lavora ad un sistema di accorpamento degli enti locali di secondo livello e delle funzioni dei piccoli comuni, tuttavia già da adesso l’obiettivo dell’abolizione è fissato: sarà per via costituzionale, insieme al dimezzamento del numero dei parlamentari (ma la cura dimagrante sulle poltrone è già nel pacchetto-manovra). Quanto alle pensioni non verranno toccate quelle per chi ha maturato quarant’anni di anzianità. Domani, faccia a faccia Sacconi-Calderoli.
Ora si è già aperta la fase degli emendamenti al decreto che la prossima settimana sarà discusso a Palazzo Madama e successivamente a Montecitorio, ma c’è un fatto nuovo che il vertice di Arcore segna: la fine del ‘ l’Iva a me e l’Irpef a te’, cioè il taglia e cuci su singole voci spesso confezionato a seconda del livello di consenso – e di ritorno – elettorale, e invece il ritorno a un ragionamento organico sui provvedimenti in linea con al primo posto l’obiettivo politico e la strategia della coalizione, dove i partiti giocano sì la loro parte, ma cercando di mettere da parte la logica dei veti incrociati. Se l’intesa o quello che qualcuno a via dell’Umiltà ha già ribattezzato il ‘modello Arcore’, darà frutti strutturali lo si vedrà nelle prossime settimane in Parlamento. Intanto è una ripartenza. Appunto, politica. Anche se l’autunno della manovra si preannuncia ‘caldissimo’.