Nella “Milano nuova” di Shaari c’è solo la solita retorica anti-Occidentale
10 Dicembre 2010
Per le prossime amministrative di Milano c’è tutta una lista di volti nuovi, tra immigrati e italiani. Tutto farebbe pensare a una svolta positiva verso una vera integrazione. La lista infatti c’è ed è stata denominata “Milano nuova”. Nel proprio simbolo, c’è raffigurato addirittura il Duomo di Milano. Poteva essere la novità che tutti attendevano ma purtroppo non è andata proprio così.
La scelta del capolista è un’indicazione molto, anzi, troppo chiara e non fa ben sperare. Il candidato sindaco per “Milano nuova” è un personaggio ormai noto, e non solo ai milanesi. Si tratta di Abdel Hamid Shaari, direttore del Centro islamico di viale Jenner. I dubbi, le paure sorgono non tanto perché Shaari è musulmano, ma perché è collegato a una “moschea” che diffonde un’ideologia tutt’altro che moderata.
E’ facile dichiarare, come ha fatto ultimamente Shaari, che si tratta di “una lista laica, pluralista, aperta agli immigrati e agli italiani che vogliono cambiare questa città e farla diventare più aperta e rispettosa dei diritti di tutti”. Tuttavia non credo personalmente che il candidato sindaco possa incarnare con spirito sincero questi ideali. Non sono convinta che il rappresentante di un centro islamico che per anni ha occupato il suolo pubblico milanese per la preghiera del venerdì, possa parlare di diritti rispettati. Non sono sicura neanche che la stessa persona che nel gennaio 2009 a Milano ha partecipato alla manifestazione anti-Israele, durante la quale si sono bruciate bandiere con la stella di David e che si è conclusa con centinaia di musulmani a pregare, senza autorizzazione, davanti al Duomo, simbolo della cristianità milanese, possa parlare di apertura e rispetto reciproco.
Anche all’epoca Shaari aveva assicurato di avere il “massimo rispetto dei simboli cattolici”. In un’intervista al Corriere della Sera aveva anche aggiunto: “Nessuna provocazione o mancanza di rispetto. Era semplicemente giunta l’ora della preghiera e si trovavano lì. Fossero stati in un’altra piazza, l’avrebbero fatta dove si trovavano. Abbiamo la più alta considerazione per la figura dell’arcivescovo Tettamanzi, che rappresenta la coscienza morale ed etica di Milano. Abbiamo un grande rispetto per chi ha sempre parlato di dialogo”. Quest’ultima dichiarazione del direttore del Centro islamico conferma quanto la sua idea di integrazione e di diritti sia sfuocata, ma soprattutto quanto la sua interpretazione dell’islam sia integralista e radicale.
L’occupazione del suolo pubblico in massa non è consentita nemmeno nel mondo islamico stesso. Sfido chiunque a trovare un esempio simile di occupazione in Egitto, Marocco o in Arabia Saudita. Inoltre l’islam prevede, soprattutto per chi si trova in un paese che non è a maggioranza islamica, la possibilità di rimandare la preghiera. Questo vale per l’orazione ma addirittura anche per il digiuno del mese di ramadan in base al dettame coranico: “Dio non pone su nessun’anima un fardello più grave di quel che possa sopportare” (sura II, 286). Quindi, se un musulmano è impossibilitato a pregare per validi motivi di lavoro, salute o ragioni contingenti può rinviare anche l’obbligo della preghiera.
E’ per questa ragione che lo scorso gennaio non ho avuto alcun dubbio nel giudicare una provocazione la preghiera in piazza Duomo a Milano, tra l’altro preceduta pochi giorni prima dalla preghiera di centinaia di musulmani in Piazza Maggiore a Bologna. Purtroppo tutto questo non mi porta a pensare alla buona fede di Shaari quando parla di laicità della “nuova lista” milanese. Mi dispiace per gli altri candidati di buona volontà e desiderosi di un cambiamento per la loro città, ma la scelta del direttore del Centro islamico di viale Jenner come candidato sindaco non è certo un buon biglietto da visita.
C’è da dire che le autorità milanesi, sia civili che religiose, ormai da anni fanno finta di non sapere che cosa accade e quali sono le idee diffuse in viale Jenner. Nel luglio 2008 la comunità islamica di Milano che fa capo al Centro culturale ha tenuto la preghiera settimanale all’interno del velodromo Vigorelli. Il tutto era stato il frutto dell’incontro, avvenuto in Prefettura, tra Abdel Hamid Shaari e il prefetto Gian Valerio Lombardi, con relativa fotografia e stretta di mano.
Quando lo scorso settembre l’arcivescovo di Milano Tettamanzi ha dichiarato in un’intervista a Repubblica che “i musulmani hanno diritto a praticare la loro fede nel rispetto della legalità” e che “spesso la politica rischia di strumentalizzare il tema della moschea e finisce per rimandare la soluzione del problema, aumentando il livello di scontro” (e ancora: “Le autorità locali devono cercare di trovare una soluzione in tempi brevi: rimandare il momento in cui la questione sarà affrontata può solo incancrenire la situazione e aumentare la tensione”), Abdel Hamid Shaari non ha perso tempo e ha replicato: “Il Cardinale Dionigi Tettamanzi è l’unica coscienza morale ed etica rimasta a Milano.
Non a caso riusciamo ad avere un dialogo con lui, attraverso i giornali o cordiali scambi di lettere. L’unico ad avere una dialettica normale fatta di tolleranza verso chi la pensa diversamente. Non è così per la politica di questo paese, che non è affatto normale, non dialoga, è di parte, non rispetta la Costituzione e la Carta dei diritti umani, in un clima di intolleranza condita da razzismo e xenofobia, fomentando la paura verso chiunque è ‘diverso’”.
Ebbene, anche questo scambio di opinioni dovrebbe farci riflettere. Credo che il cardinale sappia perfettamente che a Milano esistono moschee e che se il problema dello spazio insufficiente alla preghiera si pone, si pone in occasione delle grandi festività islamiche quali la fine del digiuno del mese di Ramadan. Nessuno nega la costruzione di una grande moschea a Milano, ma prima che ciò avvenga bisognerebbe essere certi della gestione.
Ribadisco, i miei dubbi su Shaari non sorgono dal semplice fatto che sia un musulmano. Lungi da me dall’essere islamofoba. Avrei visto di buon occhio la scelta di un candidato di “sensibilità”, di religione o di cultura musulmana, ma che si sentisse in primo luogo un cittadino con tanto di diritti e doveri, e che fosse disposto a sottoscrivere senza se e senza ma la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Purtroppo non credo sia il caso di Shaari.
Non credo che la maggioranza dei musulmani milanesi si recherebbe in una moschea da lui gestita. Quanto alla fedeltà alla Carta dei diritti umani, vorrei che il futuro candidato sindaco di Milano rispondesse alle seguenti domande:
1. Giustifica o condanna i palestinesi, i ceceni e gli abitanti del Kashmir che si suicidano per uccidere i civili nemici? Condanna in quanto gruppi terroristici organizzazioni quali la Gamaa al-islamiyya, GIA, Hamas, Harakat ul-mujahidin, Jihad islamica, Lashkar-e tayyiba e al-Qaeda?
2. Le donne musulmane devono godere degli stessi diritti degli uomini? Il jihad, inteso come una forma di guerra, è oggi ammissibile? Accetta la validità delle altre religioni? I musulmani possono imparare qualcosa dall’Occidente?
3. I non musulmani possono godere degli stessi diritti dei musulmani? I musulmani si possono convertire ad altre religioni? Le donne musulmane possono sposare non musulmani? Quando le usanze islamiche entrano in conflitto con le leggi laiche, quale dei due sistemi prevale?
4. I mistici e gli sciiti sono musulmani a pieno titolo? Crede che i musulmani che non sono in accordo con voi siano dei miscredenti? Condannare di apostasia un vostro correligionario è una pratica accettabile?
5. Accetta la legittimità della ricerca scientifica che si occupa delle origini dell’islam? Chi è responsabile degli attentati dell’11 settembre?
6. Accetta maggiori misure di sicurezza per combattere l’islam militante, anche se ciò comporta un maggiore controllo nei suoi riguardi?
7. Accetta che le nazioni occidentali siano a maggioranza cristiana e laica oppure cerca di trasformarle in nazioni a maggioranza musulmana governate dalla legge islamica?
Ebbene solo dopo avere ascoltato le risposte del futuro sindaco di Milano potrei decidere se credere alla sua presunta laicità e alla sua presunta fedeltà alla carta dei diritti umani universale.
Intanto, però, le autorità civili e religiose, italiane ed europee, dovrebbero in ogni caso tenere alla larga chi, nel mondo islamico, vuole usare le loro dichiarazioni o le leggi dello Stato a proprio favore e invece avvicinare quei musulmani che si sentono in primo luogo cittadini. Dovrebbero tenere alla larga i “musulmani europei”, seguaci di Tariq Ramadan, e avvicinare gli “europei musulmani” che hanno come priorità una corretta integrazione e la volontà di diventare veri cittadini europei, pur non abbandonando la loro tradizione religiosa e culturale. Solo così potremmo sperare nella partecipazione leale e sincera alla cosa pubblica di tutti i cittadini a prescindere dal loro credo religioso.