Nella Roma veltroniana Berlusconi pensa alla federazione

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Nella Roma veltroniana Berlusconi pensa alla federazione

21 Aprile 2007

Ci fosse stato un Mussi di
destra, non avrebbe sentito il bisogno di alzarsi e andar via. Di annunciare ai
compagni di viaggio d’una vita che “noi ci fermiamo qui”. Di affrontare la
diaspora pur di non entrare in nome del potere nel girone dei rinnegati, o
piuttosto dei “rinneganti”. Già, perché fra le mura dell’Auditorium romano di
via della Conciliazione, dove Silvio Berlusconi ha rilanciato la federazione
dei partiti del centrodestra e ha dato la sveglia ai forzisti romani (reduci da
diverse defezioni e da una flessione percentuale non indifferente fra le
politiche e le amministrative del 2006), di radici e di riferimenti ideali ce
n’erano da vendere. C’era tutto ciò che il nascituro Partito democratico
avrebbe invano voluto essere, eccezion fatta per la torta di compleanno, che il
Cavaliere e i suoi hanno (idealmente) dedicato alla città di Roma, e Piero
Fassino (materialmente) al genetliaco di Massimo D’Alema.

C’era il “Pantheon”, con
Alcide De Gasperi e Bettino Craxi. C’era il saldo ancoraggio alla tradizione, nella
fattispecie quella cristiana, con i grandi Pontefici del Novecento. C’era la
rivendicazione di quanto fatto negli anni di governo, collante che all’Unione
manca del tutto, vuoi perché l’esecutivo in carica ancora non si è capito cosa
sia, vuoi perché quel poco che si è capito non somiglia affatto al riformismo cui
gli ostetrici del Pd dicono di ispirarsi. C’era l’orgoglio di sentirsi parte
dell’Occidente, della sua storia e delle sue istituzioni, di aderire ai suoi
valori e ai suoi principi, gli stessi che hanno portato i soldati americani a
morire per liberare l’Europa dai tiranni figli dell’ideologia, e poi alla
caduta del muro di Berlino. C’era questo e tanto altro, nell’album di famiglia
di un partito che rivendica le sue radici ideali nelle stesse ore in cui a
Firenze si abbattono le querce in nome di una fusione fra apparati, lasciando che
sia Sarkozy ad invocare Gramsci e il primato delle idee nella conquista del
potere.

Insomma, se Veltroni si
lancia nella corsa per la leadership del futuro Pd e in ragione di tale
ambizione calibra ogni mossa, Berlusconi non perde tempo, e la sfida gliela
porta direttamente in casa. A Roma, a due passi dal Cupolone, all’insegna
dell’identità. Se il sindaco prova a sminuire le stridenti contraddizioni dell’ibrido
in gestazione identificando la sinistra con l’amore per il prossimo, l’ex
premier gli ribatte che “esclusiva della sinistra non è l’amore, ma l’odio
politico e sociale”. Il leader azzurro ha ripetuto fin quasi alla noia che “non
si può progettare il futuro se si dimentica il passato”, che “la memoria della
nostra storia è un dovere morale”, che “mai, dal ’94, abbiamo dovuto cambiare o
aggiornare le nostre idee, ancorate agli antichi ed eterni valori della nostra
civiltà”. I cosiddetti “valori fondamentali”, che mentre nel centrodestra
costituiscono denominator comune, a sinistra finiranno per sgretolare quel che
resta dell’Unione. Ds e Margherita da una parte, “ideologicamente smemorati –
dice Berlusconi – perché non hanno più ideali, si sono trasformati in un
comitato di gestione del potere e non credono in null’altro”. Eppoi “l’altra
sinistra”, legata ancora “a quell’ideologia” che fa del partito “il padrone
dello Stato”, e pone il cittadino “al servizio” di quest’ultimo. Cosa preferire
fra i primi e la seconda, il Cavaliere non l’ha esplicitato. Di certo, delle
affermazioni di questi ultimi giorni s’è limitato a ribadire l’apprezzamento
per la dichiarazione d’intenti a firma Ds-Dl di far sì che gli avversari
politici non siano più “nemici”, ma solo, per l’appunto, avversari. E qui s’è
fermato.