Nella Russia di Putin cresce il sentimento antiamericano
16 Novembre 2007
di redazione
Negli ultimi anni in Russia l’antiamericanismo è cresciuto in maniera costante e inesorabilmente un po’ come il prezzo del petrolio. A differenza della Germania e della Francia, dove l’antiamericanismo è stato messo da parte dopo l’elezione della Merkel e di Sarkozy, la Russia di Putin si sta muovendo nella direzione opposta.
Come dimostrano i dati raccolti dal Levada-Center di Mosca, il più conosciuto Istituto per gli Studi sull’Opinione Pubblica, la fetta di popolazione russa che mostra un’attitudine anti-americana forte o molto forte è cresciuta da una media del 31% del 2005, al 38% del 2006, fino al 43% del 2007, mentre nello stesso periodo la percentuale di persone che nutrono sentimenti mediamente positivi o positivi nei confronti degli americani è declinata dal 62% fino al 46% odierno.
I mass media controllati dal governo e dal Cremlino hanno raggiunto questi risultati mediante una politica a due fasi: una costante sviolinata del passato dell’Unione Sovietica, che durante il tempo di Stalin ha conseguito lo status di super potenza militare dello stesso rango se non superiore agli Usa; la corsa al rafforzamento del controllo russo, e qualche volta anche della presenza militare, su varie parti del vecchio impero sovietico.
Il decreto di Putin che ha conferito dopo la morte il massimo grado militare a Yuri Koval, una delle migliori spie russe sul nucleare, recentemente scomparsa a Mosca all’età di 93 anni, rappresenta il tipico esempio di glorificazione del passato stalinista. Il suo nome era ben noto all’Intelligence americana fin dai primi anni ’50, dopo la fuga di Koval in Unione Sovietica.
Lo stesso nome è poi circolato tra gli storici del progetto atomico americano, anche se il contributo di Koval alla creazione della bomba nucleare di Stalin rimane sempre poco chiaro. Koval nacque nel 1913 da una famiglia di ebrei emigrati dalla Russia zarista in America prima della Prima Guerra Mondiale. Ha vissuto nello Iowa fino al 1932 quando, durante la Grande Depressione, la sua famiglia decise di far ritorno in Unione Sovietica. A quei tempi, il fatto che Stalin stesse perseguendo la sua teoria, secondo la quale ogni nazione doveva avere il suo territorio, aveva in pratica creato una regione autonoma ebrea nell’est del paese.
Fu anche organizzato un movimento migratorio, di breve durata in verità, per popolare di ebrei quello spazio vuoto ai confini con la Cina. Il padre di Koval era tra gli attivisti di questo gruppo. Yuri Koval arrivò a Birobidzhan, la capitale della nuova regione giudea, ma si trasferì quasi immediatamente a Mosca dove si iscrisse all’Istituto Mendeleev di Tecnologia Chimica. A laurea conseguita, venne arruolato nel GRU, l’ala militare del formidabile servizio d’intelligence di Stalin.
Nel 1940, durante il patto Molotov-Ribbentrop, completato il suo addestramento, Koval fu rispedito negli Usa per incaricarsi di spionaggio industriale. Più in là è stato chiamato nell’esercito americano da dove poi è stato mandato in un’università di New York per studiare ingegneria elettronica e in seguito assegnato a centrali atomiche top-secret.
Se da una parte i progetti segreti della bomba nucleare sono stati svelati dai fisici sovietici con l’aiuto di certi simpatizzanti comunisti, come il gruppo di Rosenberg, Klaus Fuchs o Bruno Pontecorvo, la fabbricazione è rimasta un grosso problema risolto presumibilmente con il contributo cruciale di Koval.
Fin dall’inizio del novembre 2007 e dopo la pubblicazione del decreto che ha reso Koval un eroe postumo della Federazione Russa, i mass media hanno presentato in continuazione storie che glorificavano i servizi segreti sovietici e Koval, in particolare, come l’unica spia riuscita a penetrare all’interno del “Manhattan project”.
Un altro casus belli tra la Russia e gli Usa è la decisione americana di piazzare diverse basi anti-missilistiche in territorio polacco e di costruire una nuova stazione radar in Repubblica Ceca. A Mosca questo piano è considerato una minaccia all’integrità territoriale russa e, rendendo la disputa ancora più aspra, ha avuto l’effetto di fomentare i sentimenti antiamericani. Il fatto che il progetto americano non abbia niente a che fare con una possibile minaccia all’integrità territoriale russa, ma che rappresenti piuttosto un tentativo di proteggere l’Est europeo dalle pressioni russe, dovrebbe essere chiaro.
Non è un caso infatti se la decisione americana è stata accolta con grande entusiasmo dal governo polacco e da quello Ceco, né tanto meno dalla maggioranza delle loro popolazioni.
Per comprendere le preoccupazioni dell’Europa dell’Est sarebbe sufficiente dare un’occhiata alla politica russa nei riguardi dell’indipendente Georgia, dove Mosca sta provocando, e in tutta probabilità anche sovvenzionando, manifestazioni contro il Presidente pro-occidentale Saakashvili, incoraggiando allo stesso tempo movimenti separatisti nelle regioni autonome dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale.
La Russia non ha solo mantenuto per anni le sue truppe in Abkhazia come forza di pace ma ha anche garantito la cittadinanza russa alla maggior parte della popolazione del posto. Il governo georgiano ha recentemente denunciato il continuo incremento della presenza militare in Abkhazia e ha contestualmente invocato un’inchiesta internazionale.
Il problema del sistema antimissilistico americano e dell’installazione del radar è brandito abilmente da Mosca per far rivivere le vecchie e popolari paure tipiche della Guerra Fredda. Putin ha menzionato in più di un’occasione una frase attribuita a Madeleine Albright, l’ex-Segretario di Stato Usa dell’era Clinton, la quale affermava che le risorse naturali russe non dovrebbero appartenere soltanto alla Russia ma dovrebbero rappresentare un patrimonio dell’umanità intera.
Il che ha consentito ai mass media di Mosca di orchestrare una campagna propagandistica per capitalizzare le presunte minacce all’integrità territoriale della Russia. Mosca sta ora contemplando l’ipotesi di una “risposta asimmetrica” alla sfida americana.
Per la prima volta dal collasso del regime sovietico, nel corso del 2007, aerei da guerra russi contenenti armi nucleari sono rimasti in volo per 24 ore. In più, il comando militare russo ha annunciato che provvederà a fornire alla Bielorussia basi missilistiche tecnologicamente avanzate conosciute col nome di “Iskander-E”.
Come il Presidente bielorusso Lukashenko ha dichiarato, senza nascondere una certa soddisfazione, “la Russia non può fare a meno della Bielorussia”. Ovviamente intendeva dire che, avendo lasciato alla Russia la facoltà di dislocare i suoi missili sul suo territorio, la Bielorussia può ora contare sul continuo rifornimento di gas e petrolio russo a prezzi decisamente favorevoli.
La comunità democratica russa mette in guardia da anni la popolazione sul fatto che gli unici beneficiari di questo crescente antiamericanismo sono le vecchie istituzioni come i complessi militari ed i servizi segreti che hanno già portato lo stato sovietico alla bancarotta, ma la sua debole voce non è ancora ascoltata dal popolo russo.
Traduzione di Andrea Holzer