Nella vita marginale di “Suttree” c’è il cinismo compassionevole di McCarthy

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Nella vita marginale di “Suttree” c’è il cinismo compassionevole di McCarthy

30 Dicembre 2010

Quando si parla di "Suttree", il romanzo semiautobiografico che Cormac McCarthy inizia a scrivere negli anni Cinquanta e conclude pubblicandolo venti anni dopo, vengono naturali i nomi dei maestri Faulkner e ancor prima Twain. C’è il fiume da risalire (Suttree fa il pescatore), c’è una città, Knoxville, che porta le cicatrici della Grande Depressione, ci sono gruppi di giovani bianchi e neri sbandati e disoccupati, che bevono alcool di bassa qualità e sbarcano il lunario nei modi più strambi. Un’allegra e disperata brigata con cui Suttree si ubriaca fino a svenire, risvegliandosi ogni volta in posti sconosciuti.

Cornelius Suttree era destinato a un futuro diverso, era stato allevato ed educato in una famiglia cattolica per studiare e andare all’università, ma tradisce le speranze dei suoi e della sua comunità, viene ripudiato, diventa un homeless, un beat prima dei beat, un individuo che si trova a vivere esperienze al limite della ragionevolezza, carcere compreso, trascorrendo folli vacanze emersoniane nelle valli e nei boschi americani, dove lo scambiano per un pazzo o per un animale selvaggio.

Suttree non perde mai la sua umanità. E’ lui l’unico a soccorrere il povero Harrogate, un delinquentello di mezza tacca, quando il suo giovane usa la dinamite provocando un piccolo terremoto nei sotterranei della città; è l’unico, costretto dagli eventi, e malvolentieri, ad accompagnare uno dei suoi compagni – costui deve liberarsi del cadavere del padre dopo averlo conservato intere settimane per continuare a percepire la pensione –  sul fiume, pregando per quel cadavere che affonda tra le onde gelide.

Suttree dà una mano alla famiglia dei cercatori di perle, all’indiano che cucina le rane, all’amico negro che ha paura di farsi predire il futuro dalla fattucchiera del paese. Quella di Suttree è una solidarietà minima e un riflesso del suo spirito di sopravvivenza. Il "cinismo compassionevole"  dei solitari che vivono senza essere perseguitati dalla solitudine, che si prendono cura di se stessi e proteggono gli amici, i deboli e i matti. Nell’epica agra ma sorprendentemente ironica di McCarthy c’è la storia dei salvati e dei dimenticati, un altro capitolo di storia sociale americana.