Nelle parole di Schifani c’è un monito al Cav., ad Alfano e ai “grillini” di destra

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Nelle parole di Schifani c’è un monito al Cav., ad Alfano e ai “grillini” di destra

07 Giugno 2012

di L. B.

Cominciamo dalla fine: oggi lo stato maggiore del partito riflette e decide. Almeno questo è l’auspicio dei più. L’inizio è la lettera al Foglio del presidente del Senato Schifani. O meglio, la conseguenza forse più netta e per questo dirompente, dell’inizio di una fase molto complicata per il Pdl che non deriva solo dalla caduta del governo Berlusconi o dalla debàcle elettorale di maggio. Viene da più lontano e oggi, pare di capire, è arrivata al punto di svolta: o si riparte o si muore.

Le parole, garbate ma ferme della seconda carica dello Stato che abbandona la veste istituzionale per irrompere nel dibattito di un partito in crisi (di consensi e di identità) quanto e come tutti gli altri partiti cosiddetti ‘tradizionali’ – perché la crisi riguarda il sistema politico nel suo complesso – dicono molte cose: sul passato, sul presente e sul futuro del Pdl.

Parole che Alfano definisce “serie, dolorose ma vere” al punto che “occorrerà agire ed anche per questo abbiamo convocato l’Ufficio di presidenza”. Agire, dunque, come ha inteso fare Schifani per non assistere dalle ovattate stanze del Palazzo alla disgregazione di un partito che è e resta l’architrave dell’area moderata e liberale; per dire cosa non va e quale direzione prendere. Direzione chiara, una volta per tutte. Perché il male del Pdl è che quella parte di elettori saliti sull’Aventino dell’astensionismo, non solo non comprende qual è la linea del partito ma – soprattutto – non ne percepisce “l’affidabilità e la coerenza”. E’ un monito al Cav. affinchè – come scrive il Foglio – non continui a giocare col caos, sia nei confronti del governo che dentro il partito (e qui il riferimento è alle liste civiche o al listone di cui si parla molto in questi giorni nonostante le smentite ufficiali); ad Alfano perché guidi il partito con la necessaria autonomia e ai “grillini” di destra convinti che mettersi in scia produca risultati.

“L’operazione verità” va fatta ora. Per Schifani significa dirsi le cose come stanno sugli errori del passato e dirsele altrettanto chiare su come si vuole stare nel presente e in che modo si intende costruire il futuro. Il punto vero è che “senza un’autocritica profonda sarà difficile per tutti – vecchie e nuove generazioni – restituire al Pdl autorevolezza, fierezza e combattività”.

A dirlo chiaro, per parte sua e senza infingimenti, ci pensa il presidente del Senato. Ravvisa le ragioni del declino del governo Berlusconi nelle divisioni interne alla coalizione (vedi Lega) che hanno impedito di fare le riforme chieste dai partner europei, ma anche nella dualità tra il Cav. e Tremonti sulla linea economica tenuta dall’esecutivo, specie nell’ultimo anno. Quanto a Fini, la seconda carica dello Stato non ci gira intorno considerando quella frattura un “punto di debolezza” della coalizione e deleteria la campagna mediatica di alcuni giornali d’area che ha finito per trasformare una divergenza politica in un divorzio definitivo.

Non è tenero nemmeno sul presente. E ciò che dice riflette il pensiero di molti parlamentari che più o meno apertamente ripetono il concetto nei capannelli in Transatlantico. La preoccupazione comune che le parole di Schifani sembrano raccogliere è su una linea a tratti ondivaga. Da questo punto di vista cita esempi palesi: che senso ha – si interroga – sostenere l’Imu in parlamento e il giorno dopo la parte più oltranzista degli esponenti pidiellini invita a scendere in piazza contro l’Imu; che senso ha  approvare in Aula provvedimenti anche duri del governo Monti e il giorno dopo la parte più populista del partito tifa per la rivolta fiscale; o ancora pensare che imitando Grillo da destra si siano risolti tutti i problemi. O, infine, sostenere come ha fatto Berlusconi l’esecutivo dei Prof. e poi magari dall’ala pasdaran si soffia sul fuoco del ‘stacchiamo la spina a Monti’.

Così gli elettori delusi non tornano, così il partito rischia la disgregazione. Così il paese non riparte.

Chiarezza. La stessa che la seconda carica dello Stato invoca per costruire il futuro. Con la sollecitazione – affatto velata – a tirare una riga pure con Casini perché il Pdl non può stare come “nel deserto dei Tartari” ad aspettare chi ripete di non voler venire. Ma è soprattutto al partito che Schifani parla quando offre alla riflessione la necessità e l’urgenza di una scelta politica. Tradotto in soldoni: o la strada di un grillismo di imitazione, o quella della responsabilità che “eviti al paese il dissesto di bilancio e alla politica di trascinarci in una ingovernabilità come la Grecia”.

Coro di condivisione pressoché unanime nei ranghi pidiellini. Il presidente dei senatori Gasparri ha già accolto e calendarizzato la richiesta di alcuni senatori di riunirsi per approfondire le riflessioni di Schifani. Non mancano però alcuni distinguo, come quelli dei malpancisti convinti che domani non accadrà nulla di significativo, ma anche di alcuni autorevoli esponenti ex An. Matteoli liquida la pratica constatando che un tempo i presidenti del Senato stavano zitti e non prendevano carta e penna, mentre La Russa condivide molto dell’analisi di Schifani, dice che è arrivato il momento di decidere ma rifiuta la strigliata su accenti a volte troppo estremi sull’operato del governo.

Oggi si saprà se ‘l’operazione verità’ ci sarà e, soprattutto, cosa produrrà. Tuttavia la sensazione della vigilia è che, stavolta, il Pdl non potrà non decidere da che parte andare.