Nelle proteste di ieri c’è un’errata concezione della dialettica democratica

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Nelle proteste di ieri c’è un’errata concezione della dialettica democratica

23 Dicembre 2010

Li vedo brandire bottiglie di birra, sventolare bandiere con la falce e il martello, alzare cori di odio per il governo e indossare la kefiah. Sfilano lungo la mia strada, la Prenestina, una delle principali arterie della Capitale, congestionando il traffico e impedendo il servizio tranviario. Si dirigono fieri verso la tangenziale, prossima tappa della loro occupazione di suolo pubblico non autorizzata quanto impunita. Oggi Roma è tenuta sotto scacco, come Parigi alla presa della Bastiglia.

Oggi regnano sovrani i nullafacenti mentre le autorità restano a guardare impotenti e i cittadini che vogliono usufruire del servizio delle strade e dei mezzi pubblici si vedono costretti a rimanere in casa, in molti casi perdendo una giornata di lavoro che nessun manifestante potrà mai rimborsare. Osservarli sfilare come i barbudos cubani è raccapricciante; nessuno, se non fosse a conoscenza delle ragioni della rimostranza, li crederebbe mai degli studenti, piuttosto attivisti dei centri sociali in marcia per la legalizzazione della marijuana.

L’ingenuità politica di questi ragazzi è disarmante: sembrano credere che il pacifismo unito a un’ampia adesione alla loro causa possa giustificare qualsiasi sopruso nei confronti della libertà altrui. Il diritto a manifestare, concetto tanto abusato quanto travisato, non significa in alcun modo diritto a disporre di una città da congestionare. L’atteggiamento pacifico e moderato è sicuramente apprezzabile, ma di certo non sufficiente a legittimare l’occupazione sistematica del suolo pubblico. Quelle che il 14 Dicembre erano violenze fisiche contro i beni e le persone si sono trasformate oggi in soprusi contro la libertà di circolare di tutta la cittadinanza. I reati di occupazione di suolo pubblico e d’interruzione del servizio pubblico sono perseguibili dalla legge, non importa se a perpetrarli siano un singolo individuo o migliaia di persone.

Gli avvenimenti di stamani sono sintomo di un’erronea concezione della dialettica democratica, che vorrebbe delegare ai tanti il potere di imporsi brutalmente sui pochi. In una democrazia liberale non è concepibile la rivendicazione da parte di una maggioranza di una pratica che calpesti la libertà di una qualsiasi minoranza, per quanto la maggioranza possa essere folta e la minoranza sparuta.

Per rimanere in tema proviamo a immaginare il diritto di parola in una scuola: tutti gli studenti hanno diritto a esprimere la loro opinione nel corso di un dibattito e non possono essere discriminati per le loro posizioni, ma quanti prendono la parola senza essere autorizzati durante una lezione incombono in provvedimenti disciplinari poiché interrompono il servizio svolto dall’insegnante, nonché il diritto degli altri ad assistere indisturbati alla lezione. Lo stesso criterio si applica al diritto di manifestare: questi non avrà limiti finché non ne causerà ai diritti altrui. Non vi è buon sentimento, per quanto nobile, che possa permettere alla mentalità della massa di sostituirsi a quella del buon senso.