Nell’esordio di Nick Harkaway anche la fantapolitica diventa “pulp”
21 Febbraio 2010
Farsa? Fantascienza? Fantapolitica? Chissà. Dopo aver chiuso l’ultima pagina di “Il mondo dopo la fine del mondo” (The Gone-Away World) di Nick Harkaway non riusciamo a inserirlo in un genere preciso. Il che è un bene, perché il testo sfugge le categorizzazioni canoniche e si lancia nella sperimentazione, tanto testuale quanto linguistica, di nuovi modi per comunicare. Il risultato è spiazzante, anche per chi è abituato a trame bizzarre e personaggi originali.
L’autore, Nick Harkaway, qui al suo esordio letterario, è il quarto figlio di John le Carré, uno dei maestri della spy-story mondiale. Come ci ricorda la quarta di copertina, Nick ha scritto “altre opere destinate all’immortalità come i testi di un sito web di una casa di lingerie estremamente glamour, diversi assegni postdatati e un opuscolo per un’azienda svizzera produttrice di macchine tappatrici (quelle che mettono i tappi alle bottiglie). Ha praticato scherma, aikido, jujitsu e kickboxing con risultati modestissimi”.
La trama è più difficile da raccontare che da apprezzare. Alla fine di una guerra mondiale scatenata per il controllo della regione dell’Addeh Katir (una sorta di Svizzera odierna, indipendente e ricca) il mondo viene distrutto da armi di distruzione di massa chiamate "Bombe Svuotanti". Due amici per la pelle, soldati in carriera, affronteranno mille peripezie per salvare la "Zona Abitabile". Si troveranno invischiati in una improbabile relazione amorosa, che dalla coppia vira verso il triangolo, per finire con un incredibile quadrato. Viaggiando per il globo incontreranno dei compagni d’avventura, finendo per essere a loro volta protagonisti di un epilogo inaspettato quanto comico.
Una carrellata di presentazione la meritano tutti i personaggi, secondari e non, partoriti dalla mente di Harkaway; veri concentrati di istrionismo, cinismo e satira. A partire dai protagonisti, Gonzo Lubitsch e il suo inseparabile amico senza nome, che vivono in simbiosi tutte le 600 e rotte pagine del testo. Ben tratteggiati anche i burberi genitori dei due, che tra un’imprecazione incomprensibile e l’altra renderanno più facili alcune scelte dei nostri eroi. Infinita e variegata è pure la lista dei caratteristi. Da Ronnie Cheung, addestratore militare integerrimo ed estremamente volgare, al maestro Wu del Drago Senzavoce, esperto di arti marziali e convinto ammiratore dei tupperware. Senza contare il matahuxee Mime Combine di Ike Thermite, un team di mimi specializzato in spettacolari esibizioni a sorpresa.
Come già accennato è ben difficile catalogare questo libro poiché tutte le sue parti concorrono a formare un puzzle che alla fine si ricompone, in maniera un po’ prolissa, nell’inevitabile battaglia finale. Ogni racconto o ricordo del protagonista è in realtà un racconto a sé stante, che può essere letto indipendentemente dalla trama. L’ironia – che è parte integrante del modo di scrivere di Harkaway – e una saggia scelta di colpi di scena e intrigo fantapolitico che rendono la miscela strana e affascinante, sempre in bilico tra onirico e surreale.
Il tutto in chiave politica. Senza sforzarsi di leggere tra le righe si percepisce una critica alle guerre e alle motivazioni stesse che portano ad un conflitto. D’altra parte diatribe generate da debiti internazionali e sfruttamento di terreni considerati ricchi non sono una novità nel panorama mondiale. In particolare, il vivido ricordo del Vietnam e dell’inferno che si scatenò sembra ispirare tutta la parte bellica. Ma non solo: ci sono continui richiami alla cultura “leggera”, come il cinema. Il primo riferimento, che pervade tutta l’atmosfera e galleggia nell’immaginario del lettore, è per Quentin Tarantino. I dialoghi sembrano scritti dall’autore di Pulp fiction in persona. Così per l’ironia, il cinismo e la cruda aderenza alla realtà, tutti elementi "tarantineschi", che sembrano suggerire un possibile transfer sul grande schermo.
Sfogliata anche l’ultima pagina del libro è impossibile mettere ordine e stilare un giudizio oggettivo. Il romanzo, per come è stato scritto e costruito, si ama o si odia. Tutti quelli che cercano una rottura con i romanzi dalla struttura “classica” avranno pane per i loro denti. Chi invece ama Clive Cussler con il suo Dirk Pitt oppure la Kay Scarpetta di Patricia Cornwell è fortemente sconsigliato all’acquisto. (Personalmente appartengo alla prima categoria, e sono stato ben felice di aver letto l’esordio di un autore di cui sentiremo parlare ancora).
Post scriptum. Per avere un’idea del bailamme di idee e follia racchiuso tra le due copertine rigide del volume basta cercare il titolo su internet. Buon divertimento.