Nell’inferno di Rotherham si è perso il conto di vittime e carnefici. E i condannati gridano “Allah Akbar”
07 Febbraio 2017
Giovedì scorso in Gran Bretagna è arrivata la terza sentenza per i fatti di Rotherham, la cittadina inglese dove nel corso degli anni almeno 1400 ragazze minorenni sono state aggredite sessualmente, molestate o violentate da gang di maschi islamici in prevalenza di etnia kashmiri. Fino adesso, ci sono state 18 condanne per un totale di 280 anni di carcere. Abbiamo già raccontato questa storia, nel silenzio della stampa e dei media italiani su una vicenda così eclatante, drammatica e brutale, ma non è finita qui.
Andiamo con ordine. La storia di Rotherham mette i brividi. “Ci sono stati anche momenti in cui ragazzine prese singolarmente venivano chiuse in un solo appartamente per ore senza cibo, acqua o eletticità”, alla mercé dei loro aguzzini, hanno detto i giudici nell’aula di tribunale, condannando gli ultimi sei arrestati a 81 anni di reclusione. “Sono state tutte sottoposte ad abusi terribili per mano di questi uomini”. Ma dopo la lettura della sentenza, come titolano il Mirror e il Sun, un paio dei condannati ha lasciato l’aula di tribunale gridando “Allah Akbar!”, senza mostrare alcun segno di pentimento ma rivendicando le violenze. Una doppia firma sotto gli atti bestiali commessi.
Per sedici anni i fatti sono stati taciuti da istituzioni negligenti e timorose di essere accusate di “razzismo” o “islamofobia”. E’ stato grazie al coraggio e alla costanza di un giornalista, Andrew Norfolk, se poi i fatti sono venuti a galla, nonostante le autorità avessero cercato di dissuadere il cronista dal fare il suo mestiere. E’ stato Norfolk a risalire alla storia dei tre fratelli Hussain, uno dei primi nuclei di seviziatori individuati. Ma a quanto pare sarebbe stata proprio la polizia locale a provare a dissuadere una delle povere ragazze a cui è stata distrutta la vita, dal raccontare cosa era successo alla stampa. Norfolk e i giornali che per primi si sono occupati del caso all’inizio furono bollati di razzismo.
Un ruolo importante in questa storia lo ha giocato Alexis Jay, responsabile nazionale dei servizi sociali incaricata dal consiglio comunale di Rotherham di avviare delle indagini indipendenti. E’ il rapporto di Jay ad aver fatto emergere un quadro terrificante: alcune delle persone ascoltate “pensavano che si trattasse di casi eccezionali, e secondo loro le violenze non si sarebbero ripetute”. “Altri erano preoccupati dal fatto di dover riferire a chi investigava quali fossero le origini etniche dei responsabili, per paura di essere considerati razzisti”, “altri ancora hanno spiegato di aver ricevuto istruzioni chiare dai propri superiori sul fatto di non lasciar trapelare la cosa”.
Mohammed Shafiq, a capo di una organizzazione giovanile musulmana, la Ramadhan Foundation, ha confidato al Daily Mail che “gli asiatici non tendono ad andare con ragazze delle loro comunità, perché qualcuno potrebbe venire a bussare alla loro porta. Non vogliono padri o fratelli, o leader delle comunità che si scaglino contro di loro”. Le ragazze bianche vengono considerate dai molestatori come più “disponibili”, ma soprattutto, mai si troverebbero gruppi come la British Muslim Youth a coprirgli le spalle. Che, nel 2015, un anno dopo la pubblicazione del rapporto di Jay, in un messaggio su Internet ancora ordinava ai giovani musulmani di boicottare le indagini delle forze dell’ordine, magari facendo scoppiare qualche bella rivolta contro gli “islamofobi”. Perché quell’indagine li aveva fatti demonizzare agli occhi delle comunità.
Quale pressione violenta devono aver subito quanti si sono rifiutati, in passato, di raccontare questa storia?
Sta di fatto che per anni le autorità di competenza hanno chiuso gli occhi e si sono tappati le orecchie, soprassedendo a leggi e deontologia professionale, perché pietrificate dall’idea di trovare fuori i propri uffici il marchio infame e indelebile di “islamofobia”. Abbiamo deciso di continuare a raccontare questa storia perché, come dicevamo all’inizio, non è finita qui. Secondo una inchiesta del Daily Express dell’agosto scorso, violenze e abusi potrebbero avere una dimensione ben più ampia, mentre fonti della sicurezza inglese mandate a indagare sul caso a Rotherham, secondo BBC, parlando di centinaia di colpevoli ancora a piede libero.
Questo silenzio complice della comunità e di chi sulla comunità doveva vigilare ha probabilmente incoraggiato altre molestie e stupri di bambine e ragazzine in diverse città inglesi. Si parla di undici differenti città del Regno Unito, di violenze su giovani donne bianche, di almeno un’altra sessantina di arresti. Secondo la parlamentare laburista Sarah Champion, che si è occupata del caso Rotherham, sarebbero “centinaia di migliaia” i casi di abusi e la Champion ritiene che possa esserci “un milione di vittime” in Gran Bretagna, in quello che l’esponente politico inglese descrive come un “disastro nazionale”.
Si potrebbe scrivere, e molto, dei frutti marci del multiculturalismo, delle belle illusioni su integrazione e tolleranza, del nostro Occidente dove in nome del politicamente corretto si accetta supinamente di far prevalere usi e costumi barbarici e violenti sulla legge e l’ordine costituito. Dovremmo anche chiederci perché le piazze delle nostre città non si riempiono con grandi manifestazioni di protesta e indignazione per quanto avvenuto in Gran Bretagna e dove sono le paladine dei diritti che marciano contro Trump. Ma la domanda vera in fondo sono altre: quanti sono esattamente gli stupratori di Rotherham? Quante le ragazze molestate o stuprate? E quanti altri processi dovranno essere istruiti prima che almeno da un punto di vista giudiziario si metta la parola fine a questa storia tragica targata islam?