Nell’islam radicale Ragione e Democrazia sono inconciliabili
03 Gennaio 2011
di Barry Cooper
Recensione di Barry Cooper al libro di Robert R. Reilly “The Closing of the Muslim Mind: How Intellectual Suicide Created the Modern Islamist Crisis”. Introduzione di Roger Scruton. Wilmington: Intercollegiate Studies Institute Books, 2010. 244 pp. Hardcover, $17.79, Kindel Edition, $12.99.
Nel 2002 Bernard Lewis pubblicò “What Went Wrong? Western Impact and Middle Eastern Response” (“Che cosa è andato storto? L’impatto occidentale e la risposta mediorientale”, ndt) un libro particolarmente degno di nota. In questa nuova opera, Robert Reilly non si domanda cosa è andato storto e neppure com’è accaduto. L’autore si domanda invece il perché. In altre parole, egli propone un’interpretazione esplicativa e non una narrazione degli eventi. Si tratta di un obiettivo filosoficamente più difficile ed è destinato ad essere anche più controverso non solo nel mondo musulmano, che è diventato straordinariamente sensibile in questo tipo di questioni.
La tesi di Reilly è semplice e disarmante: “Gran parte della tradizione islamica sunnita, la principale espressione della fede, ha chiuso la porta alla realtà in maniera profonda”. L’autore attribuisce questa mancanza di ricognizione della realtà alla “de-ellenizzazione” (assenza del processo di mutamento culturale mediante il quale alcune componenti proprie dei popoli venuti a contatto con la civiltà greca si combinarono in varie forme e gradi con quelli tipicamente ellenici, ndt) dell’Islam, una condizione resa ancora più acuta, accurata ed efficace dal fatto che “sono pochi coloro che sono consapevoli dell’esistenza di un processo di Ellenizzazione che ha preceduto l’Islam”. Secondo Reilly e altri studiosi occidentali della storia dell’Islam, fino al IX secolo era ancora possibile discutere questioni che erano familiari in Occidente, come per esempio la relazione tra la ragione e la rivelazione o il rapporto tra l’esperienza noetica e pneumatica con la simbolizzazione, o persino la capacità della ragione nei confronti della verità. Questo tipo di domande sono, o meglio detto erano, comuni in tutte le religioni monoteistiche.
Le due principali forme di chiusura mentale, che sia musulmana, greca o americana, erano conosciute anche ai tempi di Platone e sono state brillantemente spiegate da Allan Bloom nel 1987: (1) la ragione non può sapere tutto; (2) la realtà non è inconoscibile. Reilly parte da una posizione platonica di base secondo cui chiudere la mente o rifiutare il concetto di essere consapevole di poter percepire la realtà è una possibilità umana costante. Quindi, l’autore offre una breve storia dell’incontro originale tra l’Islam e la filosofia praticata nei territori bizantini e sasanidi conquistati durante i primi secoli dell’Islam. Il risultato più interessante emerso è la così detta Scuola di teologia mutazila. Così come fece Socrate nell’Euthyphro, in questa Scuola si discutevano e si decidevano questioni come, per esempio, se Dio proibisce l’omicidio perché è sbagliato o se è sbagliato perché Dio lo proibisce.
L’influenza iniziale del pensiero greco
I mutazili sarebbero stati d’accordo con San Tommaso sul fatto che gli uomini sono capaci di comprendere le cose create nella loro mente perché erano state prima pensate da Dio. In altre parole, è l’intelligibilità di Dio che rende intelligibile la sua creazione. Entrambe le scuole di pensiero sostengono che Dio non può né essere irragionevole né ingiusto perché la sua ragionevolezza e giustizia sono obbligatorie (wajib) o parte della sua stessa natura.
L’apice dell’influenza mutazila fu nella prima metà del IX secolo. Al centro dei suoi insegnamenti c’era la nozione che il Corano era un documento storico e non un’entità coesistita con Dio dalla sua eternità. Questa stessa questione è stata recentemente oggetto di discussione, al meno tra gli studiosi, musulmani e non musulmani, fuori dal mondo musulmano. Per i mutazili, un Corano non creato violava la natura fondamentale di Dio, la sua unità (tawhid). Secondo questa Scuola, infatti, un Corano non creato sarebbe come un secondo Dio, un’eventualità impossibile.
Un dibattito religioso esteso è stato affrontato quando il califfo al-Ma’mun richiese ai giudici religiosi e ai testimoni di giurare che la dottrina mutazila era vera. Tale accertamento (minah, prova) era più di un dibattito e forse poco meno di una costrizione. In ogni caso, come sostiene Reilly, non c’è nulla di intrinsecamente irrazionale nell’uso della forza per difendere la ragione: “I nemici della ragione non possono combattere solo contro la ragione”. Altrimenti, come potrebbe essere difesa la ragione contro ciò che è irragionevole se non con l’uso della forza? Si tratta di una posizione evidente che gli Occidentali hanno dimenticato così tanto come lo hanno fatto i musulmani.
Al-Ghazali e la volontà arbitraria di Dio
I “tradizionalisti”, come Reilly definiva non-mutazili, credevano in molto altro che nello status non creato del Corano, ma si trattava comunque di un pilastro fondamentale della loro posizione. Se il Dio eterno parlava agli umani attraverso il Corano eterno, non era necessaria l’esistenza della ragione perché la realtà e l’istruzione erano state finalmente e completamente rivelate. Era questa la posizione fondamentale della Scuola asharita fondata da Abu Hasan al-Ashari agli inizi del X secolo. In opposizione ai mutazili, gli ashariti davano importanza alla volontà illimitata di Dio, non alla sua ragionevolezza.
Il conflitto con i mutazili non si risolveva se Dio aveva creato il tutto; in effetti, erano d’accordo su questo punto. Il problema girava intorno alla domanda se, insieme a quello che gli studiosi cristiani chiamavano la causa primaria, ossia Dio, esistevano anche le cause secondarie. Per gli ashariti non ce n’erano. Le implicazioni di questo concetto vennero elaborate un secolo e mezzo più tardi da Abu Hamid al-Ghazali nella sua opera “Deliverance from Error”. Secondo al-Ghazali, il Corano non rivela Dio ma bensì le istruzioni di Dio agli umani. Questa conseguenza rovescia, infatti, gli insegnamenti socratici e mutazili: l’omicidio è sbagliato perché è questa la volontà di Dio. Quindi, il bene è ciò che è permesso, halal, mentre il male è proibito, haram. Come effetto, la filosofia morale e politica non è affatto necessaria perché non c’è alcuna ragione di ragionare sulle cose.
“The Incoherence odf the Philosophers”, l’altra maggiore opera di al-Ghazali, trattava del fatto che siccome Dio non è limitato da nulla, non può esserci una sequenza “naturale” causa-effetto. Nel linguaggio tomistico, non ci sono cause secondarie ma solo una causa prima o primaria, ossia la volontà di Dio. Per la stessa ragione – ovvero l’assenza di una qualsiasi limitazione della volontà di Dio – la libertà umana deve necessariamente essere un’offesa contro l’onnipotenza di Dio.
Il ragionamento di Reilly, si basa molto semplicemente sull’idea che il trionfo di al-Ghazali e della Scuola asharita mise fine alla possibilità di integrare ragione filosofica e Islam per un gran numero di musulmani sunniti. La confutazione paragrafo per paragrafo del libro di al-Ghazali “The Incoherence of the Philosophers” è stata fatta nel XII secolo da Averroes nel “The Incoherence of the Incoherence”. La ricompensa di Averroes è stata quella di vedere il suo libro nel rogo nella piazza centrale di Cordova nel 1195. La vittoria di al-Ghazali si è rapidamente succeduta dalla semplificazione e dalla semplificazione e la dogmatizzazione della sua visione, in primo luogo da Ibn Taymiyya e poi dai suoi seguaci hanbaliti, incluso Abd al-Wahhab, il fondatore del Wahhabismo, movimento islamico che ispira molti degli islamisti contemporanei.
La democrazia dipendente dalla ragione: un concetto impossibile per gli Islamisti
La conseguenza politica più rilevante per i nostri giorni dell’ascesa degli ashariti è, innanzi tutto, il fatto che la democrazia è resa impossibile per i credenti. Non è tanto perché la Sharia è la legge di Dio ma perché il prerequisito della democrazia è la rispettabilità della ragione. “Altrimenti”, Reilly si domandava, “quale sarebbe allora la sua risorsa di legittimazione?”. Il sillogismo tomistico che utilizza Reilly è schietto: senza la possibilità che esistano cause secondarie, non ci può essere legge naturale; e senza la legge naturale non ci può essere l’ordine politico costituzionale attraverso il quale gli esseri umani, usando la ragione, creano leggi per governarsi e agire liberamente.
Liberando l’onnipotenza divina dalle leggi della causalità, anche Dio era stato liberato dalla razionalità. Un tipico esempio del policy-making teologico su questa linea sarebbe il seguente paradosso: l’uso delle cinture di sicurezza è un affronto a Dio perché solo lui può decidere l’ora della nostra morte. Se è arrivato questo momento, le cinture di sicurezza non ti salveranno; se invece non è arrivata ancora la tua ora, l’uso della cintura non è necessario. Quindi, perché avere una legge sull’uso della cintura?
Una volta libero dalle costrizioni della causa e dell’effetto, le cose sembrano accadere come per magia; o, anzi, diventa impossibile dire qual è la differenza tra la magia e la volontà di Dio. Le forze soprannaturali, che non sono un buon obiettivo e una mano ferma, dirigono il proiettile di un fuciliere; invece dei resoconti degli eventi politici basati sul senso comune, complesse cospirazioni guidano il mondo. E’ evidente che la scienza, inclusa quella politica, è impossibile. Quando si è compiuto lo sforzo di costruire una “scienza islamica”, il risultato è sia prevedibile che totalmente stupido. Citando il Corano, per esempio, gli “scienziati islamici” cercano di offrire la composizione chimica del djinns o la temperatura dell’Inferno (Reilly inusualmente non riesce a spiegarci se tale la temperatura era stata calcolata in gradi Fahrenheit o Celsius).
Le macerie contemporanee
Le conseguenze di oggi – che Reilly definisce “macerie” – sono ampliamente attestate dai pensatori musulmani. Così come alcuni rabbini ritenevano che l’Olocausto era stata la punizione di Dio per non aver seguito nel dettaglio il suo cammino, alcuni imam fanno lo stesso tipo di ragionamento nei confronti dei “rottami”. E’ il rimprovero di Dio che può essere corretto solo dall’islamismo.
Ma così come Emil Fackenheim rifiutava la blasfemia dell’Olocausto come punizione, Reilly afferma che l’islamismo non risponde a nessuna domanda. E’ “una patologia spirituale basata su una deformazione teologica che ha prodotto una cultura disfunzionale”, afferma. Inoltre, come Roger Scuton sottolinea nella sua introduzione al libro, a meno che i policy-makers capiscano che hanno a che fare con un problema teologico, filosofico e spirituale, e non, per esempio, un problema di inefficienza economica o di miseria sociale, le loro prescrizioni inevitabilmente renderanno la situazione molto peggiore. E sarebbe così anche la ricetta per una ancora maggiore incoerenza politica. Reilly offre un’analogia ovvia: “Se qualcuno suggerisse che per fermare il nazismo sarebbe stato necessario risolvere prima il problema della povertà in Germania, verrebbe semplicemente deriso”.
Più in generale, se credi in un mondo magico dove tutto funziona da cause primarie, non dovresti mai preoccuparti di te stesso nel mondo né cercheresti mai di scoprire come funziona. Nell’interpretazione di Eric Voegelin, l’Islamismo è una seconda realtà così come il “Reich dei 1000 anni” o una “società senza classi”. Come delle fantasie spirituali, esso appare nel mondo con il volto riconoscibile del totalitarismo.
Qualsiasi tipo di rimedio (se è questo il termine giusto) deve essere intrapreso dagli stessi musulmani. Solo loro possono riconciliare l’unità di Dio con l’unità della ragione, proprio ciò che fece San Tommaso durante il XII secolo per la Cristianità. Come però ha osservato Voegelin, il recupero della ragione richiede un nuovo S. Tommaso, non un neo-tomista. Ma, dopo così tanti secoli di irrazionalità asharita, è difficile trovare un musulmano simile. La maggior parte di noi può vedere il paragone tra islamismo e, in particolare tra il jihadismo militante salafita, e i movimenti totalitaristi del XX secolo.
Gran parte di noi può rendersi conto che l’Islamismo è una perversione dell’Islam. Pochi però sollevano la seguente domanda, la stessa che è stata esplorata nel caso delle deformazioni della Cristianità da studiosi come Norman Cohn e Hans von Balthasar e, certo, anche da Voegelin: che cosa ha reso possibile tale perversione nell’Islam? E’ proprio la domanda che si pone Robert Reilly offendo una chiara risposta nel suo splendido libro.
*Barry Cooper è l’autore di un’analisi critica dell’Islam, “New Political Religions: or, an Analysis of Modern Terrorism”. Ha editato tre volumi dei “Collected Works of Eric Voegelin”. E’ autore di vari saggi e libri su Voegelin, incluso un volume of memorie, “Voegelin Recollected” e, più recentemente, un volume sui primi anni di vita di Voegelin, “Beginning the Quest”. Cooper contribuisce regolarmente con articoli pubblicati su VoegelinView.
Traduzione di Fabrizia B. Maggi
Tratto dal VoegelinView.com