Nell’Olimpo dei romanzieri della Vecchia Europa c’è Sandor Marai
05 Dicembre 2008
di Carlo Roma
Sandor Marai, autore ungherese riscoperto in Italia da pochi anni, è morto suicida nel 1989 a San Diego in California. Isolato dal mondo, vedovo senza troppe speranze, decise di farla finita sparandosi un colpo alla nuca. La sua esistenza era oramai priva di senso. Aveva completato il suo lungo cammino e la sua carriera di scrittore poteva dirsi esaurita. Gli affetti più cari lo avevano abbandonato. Dopo la scomparsa della moglie, portata via da un tumore, era toccato al figlio adottivo. Sandor Marai si uccise pochi mesi prima che crollasse il Muro di Berlino, simbolo del comunismo, il regime contro il quale aveva sempre combattuto. Era nato a Kassa, in Slovacchia, nel 1900. La città, che oggi si chiama Kosice, apparteneva all’epoca all’Impero austro-ungarico. I confini dell’Europa erano molto diversi rispetto a quelli di oggi. Marai era cresciuto in una famiglia di origine sassone. Aveva nelle sue corde la passione per la letteratura. Iniziò a studiare a Francoforte senza mai conseguire la laurea. Decise di comporre le sue opere in ungherese benché avesse accarezzato, per un certo periodo, l’idea di esprimersi in tedesco. La prima raccolta di poesie risale al 1917 quando si fece conoscere con il testo "Il libro dei ricordi". Fu uno scrittore in viaggio, disposto a cambiare residenza a seconda della convenienza e del lavoro. Fin dagli anni giovanili, infatti, lasciò la sua città natale per studiare e per iniziare la sua attività di corrispondente. La fuga più significativa fu quella imposta, nel 1948, dal regime comunista ungherese che lo perseguitava a causa delle critiche vibranti che rivolgeva al suo autoritarismo.
La sua produzione, abbondante ed eterogenea, è stata trascurata al di fuori dei confini ungheresi. In Italia la notorietà è arrivata in ritardo. Soltanto nel 1998, con la pubblicazione de "Le braci", il suo nome ha cominciato a circolare tra i critici e i lettori più assidui. Il suo mondo, le sue idee e i contenuti dei suoi scritti hanno iniziato a penetrare nell’universo librario soltanto allora. Il successo è stato immediato e fulminante. Ha preso quota, così nel nostro Paese, la riscoperta di Marai dopo un lungo ed inspiegabile oblio. Per molti decenni, d’altra parte, Marai è stato osteggiato dal regime comunista. E’ stato confinato in un ambito ristretto e quasi del tutto ignorato. La sua indole ha poi fatto il resto: schivo, lontano dagli onori della ribalta, chiuso in se stesso, Marai è stato un intellettuale solitario che ha coltivato le virtù della riflessione senza cercare di apparire o di emergere.
Lo scrittore ritrova ora, a quasi venti anni dalla morte, il ruolo che gli spetta di diritto nell’Olimpo dei romanzieri che hanno formato la coscienza della Vecchia Europa. Interprete della grande tradizione culturale novecentesca mitteleuropea, Marai può essere paragonato ad intellettuali del calibro di Robert Musil e Thomas Mann. Ne ‘Le Braci’ emergono gli elementi principali del romanzo del secolo scorso. I suoi personaggi sono immersi in un mondo che, piuttosto che proiettarsi nel futuro, tende in modo malinconico verso il passato. Il protagonista, un generale a riposo, trae dai suoi anni giovanili la linfa vitale che gli permette di andare avanti. Attende, nel suo castello ai piedi dei Carpazi, il ritorno di Konrad, con cui ha costruito in gioventù un rapporto d’amicizia "seria e silenziosa". Il loro legame, dopo molti anni, si è interrotto bruscamente: Konrad, invaghitosi di sua moglie, lo aveva tradito suscitando in lui sentimenti di forte ed inesauribile vendetta. Il generale aspetta il suo momento, paziente e testardo. Vuole conoscere la verità su una vicenda che lo ha colpito mettendo in discussione le sue certezze e i principi sui quali ha costruito la sua identità.
Sandor Marai ha studiato l’animo umano analizzandolo nelle sue molteplici articolazioni e manifestazioni. I sentimenti, le attese, le speranze e gli amori infranti costituiscono gli elementi fondamentali della sua narrazione. Nei libri dello scrittore ungherese il desiderio d’amore e la necessità di colmare dei vuoti rappresentano dei temi dominanti ineludibili. Anche ne "L’eredità Eszter", secondo romanzo pubblicato in Italia, emerge con vigore il desiderio di scoprire cosa si nasconde nel fondo del cuore. Il personaggio principale vive un’esistenza silenziosa ed appartata. Sembra subire la realtà che lo circonda senza mostrarsi in grado di reagire di fronte alle avversità. E’ una donna in attesa del ritorno del suo unico amore, Lajos, un uomo che non ha fatto altro che illuderla, ingannarla ed abbandonarla. I tradimenti, gli intrecci inestricabili del cuore, vengono messi in scena anche ne "La donna giusta", poderoso capolavoro degli anni Quaranta, frutto del periodo creativo più fecondo di Marai. Al suo lavoro non sfuggono le passioni inesprimibili e le scoperte inattese che, d’un tratto, cambiano in modo radicale i rapporti tra i coniugi.
Autore che ha fatto dell’appartenenza alla borghesia europea un tratto saliente della sua personalità, Sandor Marai non si è limitato alla descrizione dell’animo umano. E’ stato, in un certo senso, un cronista capace di svelare la storia tragica della sua città e del suo paese. In "Liberazione", ultimo romanzo pubblicato in Italia nel maggio di quest’anno, Marai ha inquadrato la situazione di Budapest nel dicembre del 1944. Scritto in meno di tre mesi, nell’estate del 1945, a poca distanza dagli eventi, il libro racconta le fasi tragiche dell’avanzata inarrestabile verso la città dell’Armata Rossa. Tramite gli occhi di Erzsebet, una ragazza alla ricerca della salvezza per sé e per l’anziano padre, Marai fornisce una testimonianza della tragedia di cui i cittadini di Budapest sono stati vittime durante l’assedio. Per quattro settimane, Erzsebet è stata costretta a vivere in un rifugio sotterraneo di fortuna. Si è mossa in mezzo ad una moltitudine di disperati: gente impaurita, affamata che sperava di poter rivedere la luce.
Eremita della modernità, uomo sempre in fuga Marai ha vissuto da scrittore introverso. Per molto tempo ha risieduto negli Stati Uniti. Rifugiatosi in Svizzera, ed in seguito a Napoli, attraversò numerose difficoltà economiche. Il realismo, la limpidezza e la leggerezza dello stile rappresentano la cifra della sua prosa. Frainteso e dimenticato, Marai si è misurato con le difficoltà e le sofferenza della vita di ogni giorno. "Si invecchia così, un pezzo dopo l’altro – scriveva – Poi a un tratto invecchia la tua anima: anche se il corpo è effimero e mortale, l’anima è ancora mossa da desideri e ricordi, cerca ancora la gioia. E quando scompare anche questo anelito alla gioia, restano solo i ricordi e la vanità di tutte le cose; a questo stadio si è irrimediabilmente vecchi". Vanità e superficialità con cui Marai ha fatto i conti restandone irrimediabilmente schiacciato malgrado la sua grandezza.