Neppure gli atei sono quelli di una volta…
15 Gennaio 2009
di redazione
"Fu allora ch’io vidi comparire alla tribuna un uomo che vidi solo quel giorno, ma il cui ricordo mi ha sempre riempito di disgusto e di orrore; pareva che fosse vissuto in una fogna e che allora ne uscisse: mi si disse che era il Blanqui".
Quando ho incontrato per la prima volta alcuni ‘atei razionalisti’ – membri di quell’associazione che ha speso settemila euro per il messaggio pubblicitario shock sui mezzi pubblici genovesi "La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne abbiamo bisogno" – mi è venuta in mente la pagina di Alexis de Tocqueville sulla giornata in cui conobbe il rivoluzionario Louis-Auguste Blanqui, peraltro fratello del suo ottimo amico, l’economista Adolphe.
Certo, i figuri che mi furono presentati, a differenza del barricadiero quarantottardo, non avevano "le guance pallide e avvizzite, le labbra bianche, l’aria cattiva e immonda, un pallore di sporcizia, l’aspetto d’un corpo muffito" e neppure "una vecchia redingote nera incollata alle membra gracili e scarne": il loro abbigliamento anonimo, da mezze maniche, ricordava, semmai, il grigio burocrate nazista descritto da Th. W. Adorno e M. Horkheimer nella ‘Dialettica dell’illuminismo’. Visi solcati da rughe di risentimento, da rabbie antiche, da un livore inestinguibile quasi che attribuissero a Dio una ferita irrimarginabile – la perdita, ad es., di persone amatissime – e intendessero fargliela pagare, negandone l’esistenza.
Non escludo affatto che si sia trattato di impressioni ingannevoli dettate da antipatie che non mi hanno fatto cogliere in loro, dietro gli sproloqui di un vetero-ateismo, la serena imperturbabilità dinanzi al nulla di David Hume e di Alfred Ayer. Ho rievocato l’incontro solo per dire che non ho nessuna tenerezza per gli ‘atei razionalisti’ e, pertanto, non sono sospetto di parzialità se difendo la loro libertà e il loro buon diritto a propagandare le loro idee, una propaganda che, non recando danno a nessuno, rientra nella sfera delle azioni lecite di cui scrive John Stuart Mill in ‘On Liberty’.
Non siamo più ai tempi di Locke che difendeva la libertà di tutti, tratte che dei cattolici e … degli atei e, pertanto, i genovesi e
Il punto, però, è un altro e avrebbe fatto la delizia di Augusto Del Noce, così acuto nel cogliere l’eterogenesi dei fini iscritta nel trend della modernità. Riducendo le questioni religiose a spot pubblicitari, gli atei razionalisti le frivolizzano, le riducono a merci di consumo, le affogano nell’irrilevanza ontologica e nella obsolescenza che incombono su tutti i prodotti di largo consumo destinati a soddisfare bisogni mutevoli o a soddisfare gli stessi bisogni ma in modi sempre diversi.
C’è, però, una differenza rispetto alla pubblicità ‘profana’: questa induce bisogni effimeri ma che si convertono in acquisti reali, destinati alla sopravvivenza breve della ‘moda’. Il messaggio degli ‘atei razionalisti’, invece, è solo espressivo: fa sapere che ci sono anche loro e che non demordono.
Sicuramente, alcuni ne saranno indignati ed altri incuriositi ma altrettanto sicuramente, molti alzeranno le spalle: "Ci siete anche voi e chi se ne …!". L’unico risultato prevedibile è che la sfera del pubblico e del visibile, nella società multiculturale pluralista, verrà sempre più a configurarsi come il grande magazzino del fungibile e dell’uno-vale-l’altro— "Signore e Signori venite a visitare il nostro stand: vi mostreremo che nell’ostia c’è solo un pò di farina compressa!", mentre tutto ciò che ha davvero valore per gli individui, le famiglie, i gruppi si ritrae dalla piazza per rimanere inaccessibile a quanti ci vogliono convertire a Dio o al Nulla.
Questa privatizzazione delle "cose che contano" può far piacere a un liberale solo fino a un certo punto. Un minimo di valori (tremendamente) ‘seri’ , che non tollerano la frivolezza dello ‘slogan’, infatti, è indispensabile anche alla società più aperta e tollerante.
Dino Cofrancesco