Nervi tesi nel Pdl prima del vertice con Berlusconi

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Nervi tesi nel Pdl prima del vertice con Berlusconi

19 Ottobre 2010

Patto del “trampolino”, déjeuner propiziatori, rendez-vous più o meno carbonari, correnti con le turbine al massimo, movimentisti in agitazione permanente. Menù ‘aperto’ dalle parti del Pdl e situazione in gran fermento. Deputati, senatori, ministri, dirigenti di partito, eletti nelle realtà locali: in questi giorni tutti incontrano tutti, ipotizzano, prospettano chiedono da che parte andare o con chi stare.

Il momento è delicato, forse la fase più complessa per il partito di maggioranza relativa, dopo lo strappo di Fini, dopo la nascita di Fli e in vista della sua trasformazione in partito anti-Cav. Ma che succede? Sono tre i nodi da sciogliere per non restare impantanati nella melma delle diatribe interne; nodi che, ora, stanno venendo al pettine: rapporto coi finiani (fuori e dentro i gruppi parlamentari), riequilibrio degli assetti interni tra ex Fi ed ex An, riorganizzazione del partito, dal livello centrale a quello periferico per consolidarne le fondamenta, allargarne i confini e alzare un argine all’avanzata della Lega, soprattutto al Nord (dove la poltrona di molti parlamentari pidielle potrebbe essere messa a rischio dalle percentuali del Carroccio date in forte ascesa).

Il campanello d’allarme suonato da Berlusconi accelera la road map, anche per evitare che alla Camera come al Senato le file degli eletti “irrequieti” possano ingrossarsi e minacciare l’adesione a un governo tecnico che calpestando la sovranità popolare, serve solo a Casini, Fini, Rutelli e Bersani per varare una legge elettorale su misura e far fuori (politicamente) il Cav.

Mercoledì l’ufficio di presidenza a Palazzo Grazioli dovrà dire come e quando avviare la ‘fase due’. In altre parole: riconoscere o no il partito di Fini come ‘terza gamba della coalizione” (e da questa posizione mediare un patto duraturo di legislatura), rilanciare il Pdl. Al tavolo del vertice i maggiorenti pidiellini ragioneranno su un documento che dovrebbe aprire ad una sorta di “rivoluzione” dal basso. L’obiettivo che lo stesso Berlusconi ha lasciato intendere ai suoi, è valorizzare gli eletti, mettere in moto la campagna congressuale per gli iscritti e a regime le regole per l’elezione degli organi dirigenti locali, già previste dallo statuto. Nessun cambio a via dell’Umiltà, la formula del triumvirato Bondi-La Russa-Verdini resta confermata ma quello che dall’entourage del Cav. trapela è che occorre dare una scossa, un segnale forte, da un lato per radicare il partito sul territorio, dall’altro per evitare che malpancisti e delusi possano preparare i bagagli e incamminarsi verso Futuro e Libertà.

Si comincia dunque dai coordinatori regionali, provinciali e comunali il cui ricambio dovrebbe avvenire attraverso un meccanismo di partecipazione simile a quello delle primarie. L’idea di fondo è che siano le assemblee degli eletti Pdl ad indicare una rosa di nomi di coordinatori da sottoporre poi al premier per l’ok definitivo. Questione che ha riaperto il dibattito interno e che incrocia l’altro tema col quale fare i conti, dopo la scissione dei finiani che ha lasciato liberi spazi di rappresentatività da riempire: il riequilibrio degli assetti interni tra gli aennini fedeli a Berlusconi e i forzisti (non a caso gli altri ‘co-fondatori’ Giovanardi e Rotondi chiedono a gran voce il superamento del meccanismo del 70 a 30 nel tentativo di incrementare il proprio peso).

La componente di Alleanza Nazionale pensa ad assemblee congressuali per la selezione dei coordinatori aperte anche ai tesserati, magari con un voto ponderato per gli eletti ma con una procedura che prevede tempi più lunghi. Gli azzurri, invece, sono orientati a far votare subito i coordinatori regionali dagli eletti, a seguire i provinciali, rinviando a una seconda fase l’indicazione dei coordinatori comunali, dando spazio anche ai tesserati. 

Pure su questo e non solo, si intrecciano riunioni, incontri, pranzi e cene tra i maggiorenti del partito. Domani c’è quella dei cosiddetti “pontieri”, capitanati da Augello e Saro (ex An) che da tempo lavorano sul versante della mediazione coi finiani; mercoledì sarà la volta dei big di An con in testa Gasparri, alla quale prenderanno parte anche Bondi e Quagliariello. Lo stesso vicepresidente dei senatori Pdl incontrerà a stretto giro un gruppo di parlamentari, dando seguito al lavoro, paziente, di confronto e ascolto portato avanti all’interno del gruppo a Palazzo Madama e sul quale si regge buona parte della sua compattezza. Un “metodo”, insomma, per cementare l’unità interna del partito in una fase così delicata, scongiurare il rischio di “sorprese” in Aula, ma soprattutto allargare i confini dell’area della maggioranza. Ed è per questo che Quagliariello di cene, pranzi e incontri non se ne perderà nemmeno uno, anche se avrebbe preferito che non fossero stati calendarizzati. Ma tant’è, e "con buona pace della mia silouette”, ironizza.

I risultati li vedremo tra quarantottore. Superato lo schematismo dei “falchi” e delle “colombe” ciò che a tutti, indipendentemente dai movimentismi e dalle quote di rappresentatività (e di potere), appare ormai chiaro, è che mentre Fini sta calando il suo partito nel territorio e Bossi si prepara a fare l’asso pigliatutto al Nord tenendo sempre a portata di mano lo spettro del voto anticipato, il Pdl non può stare a guardare, tantomeno perdersi in diatribe interne o in rivendicazioni correntizie. Questa volta, la posta in gioco è troppo alta e nessuno può permettersi passi falsi. A cominciare dal Cav.