Nervi tesi tra la Russia e l’Occidente

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Nervi tesi tra la Russia e l’Occidente

Nervi tesi tra la Russia e l’Occidente

26 Giugno 2007

Dopo il G8 del 6 giugno la storia del difficile rapporto tra
l’Occidente e la Russia di Putin si è arricchita di un nuovo capitolo. Da mesi
la Mosca lamenta un “accerchiamento” da parte americana, che a partire dal
possibile ingresso di Ucraina e Georgia nella Nato fino al progetto dello scudo
antimissile in Europa orientale minaccia la sicurezza russa, e soprattutto
l’equilibrio strategico nello scacchiere eurasiatico. Alla vigilia del vertice,
Putin si era spinto fino a minacciare di porre nuovamente nel mirino delle
testate nucleari russe le istallazioni militari europee se il progetto
americano fosse andato avanti.

Il sistema radar che gli Stati Uniti vogliono schierare
nella Repubblica Ceca, insieme alla decina di missili intercettori previsti in
Polonia, di per sé non costituirebbe una minaccia per le migliaia di testate
nucleari russe. Tuttavia, secondo Mosca esso può essere sviluppato in modo da
tracciare tutto il territorio russo fino agli Urali, e se messo in rete con il
dispositivo militare americano, dalle flotte nel Baltico e nel Mediterraneo
alle nuove basi in Bulgaria e Romania, potrebbe dare agli Stati Uniti la
possibilità di colpire simultaneamente le istallazioni nucleari sovietiche
togliendo a Mosca la possibilità di una rappresaglia simmetrica. Ciò farebbe
venire meno l’equilibrio della deterrenza che ha retto la relazione militare
tra le due potenze negli ultimi sessanta anni, ponendo gli Stati Uniti in una
posizione di superiorità.

Aldilà della fondatezza di tale preoccupazione, è evidente
che il dispositivo antimissile statunitense risponde, oltre ad una strategia di
difesa a lungo termine dalla minaccia nucleare iraniana, ad una politica di
consolidamento dell’Alleanza Atlantica con i paesi della “Nuova Europa” che si
scontra con l’opposta politica di Putin mirante a ristabilire l’influenza di
Mosca sui suoi vicini, dall’est europeo all’Asia centrale. Il risultato del
conflitto tra tali strategie di fondo, come rileva l’Economist del 19 maggio, è
che “le relazioni tra Russia e Occidente sono tornate gelide come ai tempi
dell’Urss. Mosca si sente minacciata dal sistema antimissilistico americano e
trattata con un “doppio standard” sui diritti umani. L’Occidente trova
aggressiva la politica estera di Putin, giudica sempre più autoritario il suo
comportamento ed è allarmato dal crescente controllo del Cremlino sulle risorse
energetiche”.

Il G8 si è aperto in
questo clima teso, ma Putin dimostrando di nuovo la sua abilità diplomatica ha
offerto un ramoscello di ulivo che ha spiazzato l’amministrazione americana. Il
presidente russo ha infatti proposto a Bush di costruire insieme il sistema
radar dello scudo antimissile in una istallazione militare russa in
Azerbaigian, argomentando che se lo scudo è rivolto solo verso il Medio Oriente
non c’è motivo di non farlo nell’area di influenza di Mosca. Tecnicamente la
proposta sarebbe anche realizzabile, con un costoso upgrading
dell’infrastruttura d’epoca sovietica, ma presenta numerosi problemi a partire
dal fatto che l’Azerbaigian è un paese musulmano sciita e la sua stabilità
interna potrebbe risentire dell’istallazione di un sistema antimissilistico
rivolto contro l’Iran.

Gli Stati Uniti hanno preso tempo e il 12 giugno hanno
portato la questione al vertice Nato di Bruxelles, ripresentando la questione
su un piano multilaterale dopo che l’avvio di una trattativa bilaterale con
Repubblica Ceca e Polonia aveva provocato il malumore di altri paesi europei. In
sede di Consiglio Atlantico nessun governo si è opposto al progetto americano,
e sebbene non vi sia stata una sua approvazione formale si è deciso
all’unanimità di dare mandato alle strutture tecnico-militari della Nato di
valutare l’integrabilità del futuro scudo contro i missili a lunga gittata con
i programmi di difesa dell’Alleanza Atlantica dai missili a breve gittata. Si
profila dunque un sistema integrato a più strati, che permetterebbe una difesa
completa di tutti gli stati membri dell’Alleanza da diversi tipi di minacce
missilistiche. Raggiunto tale accordo, secondo quando riportato dall’International
Herald Tribune del 15 giugno, “i funzionari americani hanno sostenuto che il
radar in Azerbaigian costituisce un sistema di “early warning” che può essere
complementare ma non sostituire quello progettato nella Repubblica Ceca”.

Il Cremlino non si è però dato per vinto di fronte al
fallimento del suo tentativo di dividere gli alleati europei dagli Stati Uniti
per fermare lo scudo missilistico, ed ha proseguito la politica di confronto
serrato con l’Occidente, già sperimentata sul fronte energetico, anche sul
piano della sicurezza. Su questo versante il Consiglio Nato-Russia discute da
mesi l’aggiornamento del Trattato sulle forze convenzionali, che dal 1990
garantisce una limitata presenza di truppe e armamenti sul confine
russo-europeo. Il trattato è stato modificato nel 1999, ma tutti i paesi della
Nato si rifiutano di ratificarlo finché Mosca non ritirerà le sue truppe presenti
illegalmente nei territori di Georgia e Moldova, a sostegno dei movimenti
separatisti filo-russi di Ossezia e Transnistria.

Considerata la minaccia di Mosca di sospendere l’applicazione
dell’accordo in caso di realizzazione dello scudo antimissile americano (per
ristabilire, a suo dire, un effettivo equilibrio dei rapporti di forza), la
Nato ha acconsentito ad un maggiore dispiegamento di truppe russe ai confini di
regioni particolarmente instabili come il Caucaso, continuando comunque a
chiedere il ritiro da Georgia e Moldova. Tuttavia, l’offerta non è bastata al
capo della delegazione russa Anatoly Antonov, delfino di Putin, che da parte
sua, secondo l’International Herald Tribune del 17 giugno, ha minacciato
nuovamente una moratoria del trattato perchè “ormai privo di senso”. Tale
moratoria comporterebbe anche la chiusura delle istallazioni militari russe all’ingresso
degli ispettori del Consiglio Nato-Russia, e quindi la completa libertà di
Mosca di ammassare truppe e armamenti al confine di stati verso i quali intende
esercitare una pressione politica, come ad esempio Ucraina, Moldova e Georgia. Il
Cremlino si oppone anche alla proposta Nato di inviare una forza internazionale
di pace in Transnistria, e accusa gli Stati Uniti di infrangere le regole del
trattato con la costruzione di basi militari in Romania e Bulgaria.

E’ ormai evidente come Mosca conduca un confronto a tutto
campo con l’Occidente, nel quale i diversi fronti – forniture energetiche,
sistema antimissile, Trattato sulle forze convenzionali, assetto del Kosovo –
sono strettamente interconnessi. L’obiettivo strategico della leadership russa,
e non solo di Putin, è il ristabilimento dell’influenza di Mosca sulle
repubbliche ex sovietiche ed in generale sui suoi vicini. In un’ottica tanto
idealista quanto realista, come sostenuto in un editoriale del Washington Post,
“l’Occidente non può permettersi di rispondere all’offensiva russa con
l’appeasement, e deve mettere in chiaro a Putin che la repressione all’interno
ed una politica in stile sovietico all’estero non renderà la Russia più forte
nel mondo”. In altri termini, l’Occidente dovrebbe rispondere con un approccio
altrettanto globale a quello russo, dosando concessioni e chiusure per
perseguire il duplice obiettivo di difendere la posizione filo-occidentale dei
nuovi membri di Ue e Nato dal Baltico ai Balcani, e contrastare le pressioni
russe nei paesi in bilico tra i due campi come Ucraina, Georgia e Moldova.
Sembra strano a dirsi, ma a sessant’anni di distanza torna attuale
l’insegnamento del “lungo telegramma” di Kennan, che all’inizio della Guerra
Fredda teorizzava il “containment” dell’espansione di Mosca in attesa che le
forze liberali all’interno della società russa – da sostenere – ponessero un
freno all’aggressività del Cremlino.

Anche stavolta, per Europa e Stati Uniti, non sarà una cosa
facile né breve.