Parte della stampa nazionale insiste nel ritenere che l’art. 4 dell’accordo di cooperazione tra Libia e Italia possa complicare la posizione del nostro Paese nel quadro dell’Alleanza Atlantica, nell’ipotesi in cui fosse chiesto l’utilizzo contro la Libia delle basi NATO in territorio italiano. Proprio al fine di sgomberare il campo da ogni dubbio e incertezza, ci è sembrato opportuno tornare ancora una volta sull’argomento. La polemica è sterile e destituita di ogni fondamento, sempre che, ovviamente, sia confermata la versione dell’art. 4 battuta dalle Agenzie di stampa.
La norma incriminata, come si è avuto già modo di rilevare, impegna l’Italia a non concedere l’uso del proprio territorio per aggressioni contro la Libia. Come giustamente si osserva da più parti, l’uso dei termini, e anche delle virgole, nella regolamentazione dei rapporti interstatali, non è mai causale e il termine «aggressione», presente nell’art. 4, ha un significato specifico nel diritto internazionale. Di aggressione si parla in varie disposizioni della Carta delle Nazioni Unite e sulla definizione di tale crimine si è pronunciata anche l’Assemblea Generale ONU, adottando la Risoluzione n. 3314 (XXIX) del 14 dicembre 1974: “(a)ggression is the use of armed force by a State against the sovereignty, territorial integrity or political independence of another State, or in any other manner inconsistent with the Charter of the United Nations, as set out in this Definition”. Si tratta quindi di un uso qualificato della forza armata, teso a ledere l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato, o comunque incompatibile con la Carte delle Nazioni Unite.
Ebbene, la NATO è un patto di sicurezza collettiva, cioè un accordo con cui gli Stati che ne fanno parte hanno assunto l’impegno di prestarsi reciproco soccorso, anche ricorrendo alle armi, nel caso in cui uno dei membri subisca un attacco armato. In sostanza, se uno Stato membro della NATO viene attaccato, gli altri membri, ex art. 5 del Trattato del Nord Atlantico, possono intervenire con l’uso della forza armata in sua difesa. In questo caso, dunque, la forza non viene usata per ledere l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato, quanto piuttosto a tutela della sovranità dello Stato che subisce l’attacco armato. Non solo. L’esercizio del diritto alla legittima difesa è previsto anche dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, richiamato dall’art. 5 del Trattato della NATO. E poiché quindi non ricorrono i presupposti previsti dalla definizione di aggressione fornita dall’Assemblea Generale, un’eventuale concessione dell’uso delle basi italiane nell’ambito di un’azione militare NATO contro la Libia, non sarebbe in violazione dell’art. 4 dell’Accordo di cooperazione Italia-Libia. Nell’esempio già fatto nel precedente scritto, in caso di attacco della Libia contro la Francia, l’Italia potrebbe liberamente concedere l’uso delle sue basi per respingere l’attacco militare libico.
Chiarito questo aspetto, c’è da considerare un eventuale uso delle basi NATO presenti in Italia in caso di operazioni militari contro la Libia e sotto l’egida dell’ONU. Ai sensi dell’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza può decidere anche di utilizzare la forza armata, una volta accertata la sussistenza di una situazione di minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione. Come è noto il Consiglio di sicurezza non ha un esercito a sua disposizione, non essendo mai stati conclusi quegli accordi con cui gli Stati parte avrebbero dovuto mettere a disposizione dell’ONU la propria forza militare. Tuttavia, a partire dal 1991, il CdS, per far fronte a quelle situazioni di cui sopra, ha iniziato a “delegare” l’uso della forza agli Stati parte delle Nazioni Unite. Se dunque l’ONU autorizzasse l’uso della forza contro la Libia, all’Italia non sarebbe impedita la concessione delle proprie basi o la partecipazione diretta all’operazione militare. E ciò perché l’uso della forza si inquadrerebbe nell’ambito del sistema di sicurezza collettiva dell’ONU e non come atto di aggressione. Ancora una volta, il caso concreto non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 4 dell’Accordo di cooperazione Italia – Libia. E per questa stessa identica ragione, neanche in caso di un intervento NATO « fuori area » l’Accordo di cooperazione costituirebbe un impedimento per l’Italia a concedere le proprie basi militari.
L’unica ipotesi in cui l’uso delle basi sarebbe illegittimo, è quello di attacco armato aggressivo ai danni della sovranità della Libia ma, invero, un attacco simile non potrebbe essere neanche deciso dall’Alleanza Atlantica. Non solo, infatti, non lo prevede il Trattato (e neanche la Nuova Dottrina Strategica adottata a Washington nel 1999), ma soprattutto lo vieta una norma cogente del diritto internazionale. Se un caso del genere dovesse verificarsi, tutti gli Stati membri della NATO, nessuno escluso, sarebbero responsabili di una grave violazione del diritto internazionale imperativo, il che mette in evidenza come l’art. 4 dell’Accordo di cooperazione Italia – Libia non sposta di una virgola la posizione dell’Italia nel quadro dell’Alleanza Atlantica.
La NATO può dunque dormire sogni tranquilli a sette cuscini, perché nulla cambia rispetto al passato. Né tanto meno si può pensare all’esistenza di accordi segreti diversi. Se davvero il Governo avesse assunto impegni militari di altro tipo con la Libia, l’art. 80 della Costituzione ne imporrebbe, a pena di invalidità, il passaggio parlamentare. Questa è la realtà dei fatti. Il resto sono solo rumors alimentati dal pregiudizio, dalla propaganda e dalla scarsa conoscenza del diritto internazionale.