Nessun j’accuse e un’assunzione di colpa per metà nella “verità” di Veltroni
18 Febbraio 2009
“Speravo di realizzare un partito nuovo e aperto ma ho fallito. Non ce l’ho fatta a fare il partito che volevo. Per questo chiedo scusa. Come si fa a basket alzo la mano e riconosco le mie colpe”. Il giorno dopo le dimissioni dalla segreteria del Pd, Walter Veltroni convoca la stampa e prova a raccontare la sua verità. I suoi sedici mesi alla guida del centrosinistra, le difficoltà di tenere insieme anime e sensibilità politiche diverse, alla costante e forse impossibile ricerca di un’identità comune.
Le divisioni interne, il tentativo di creare una forza che portasse dentro il seme dell’innovazione a sinistra, la mancanza di “solidarietà” dentro il partito. Chi si attendeva un’autocritica circostanziata, che ripercorresse gli errori e la marcia del gambero verso la Restaurazione consumata in questi mesi, dal discorso del Lingotto in poi, tra abboccamenti con Antonio Di Pietro, allineamenti con la Cgil e manifestazioni di piazza con Oscar Luigi Scalfaro, non può che rimanere deluso. Veltroni si limita a una generica assunzione di colpa, senza incidere in profondità, senza affondare il colpo, senza compiere un’analisi davvero lucida e spietata, utile forse a dare davvero forza alla sua eredità politica. Resta deluso anche chi si aspettava un feroce j’accuse contro i dissidi e le troppe anime che devastano il Partito Democratico. Veltroni si limita a lanciare un appello e a dire basta ai “personalismi, alle divisioni, ai protagonismi” che “dobbiamo superare” e dare il via a una nuova stagione di centrosinistra che “recuperi il gusto della vita reale delle persone”. Per lui lo “sforzo è quello di passare da una sinistra salottiera, giustizialista, pessimista e sostanzialmente conservatrice, a un centrosinistra legato alla legalità e che porti il suo sistema di valori”. L’unico passaggio apertamente polemico è quello in cui chiede che al suo successore “non sia fatto quello che è stato fatto a me”.
L’ex sindaco di Roma anticipa che nel suo futuro ci sarà esclusivamente il lavoro da “semplice deputato” e non si metterà a guidare correnti perché non è nel suo stile. Esordisce parlando di «rimpianto», per un’idea buona ma partita troppo tardi, perché «il Pd doveva nascere già nel 1996», dopo la vittoria elettorale di Prodi. «L’idea dell’Ulivo – ha spiegato Veltoni – era la possibilità di cambiare il Paese, cosa che il governo Prodi, che al suo interno aveva due ministri che sarebbero poi diventati presidenti della Repubblica, aveva iniziato a fare. E se l’esperienza di quel governo fosse andata avanti tutto il corso della storia italiana sarebbe stato diverso».
E oggi che il Partito democratico è nato, spiega il leader diessino, è la «realizzazione di un sogno» perché dal dopoguerra «non c’è mai stato un ciclo veramente riformista». L’Italia, secondo Veltroni, è simile a quella da Gattopardo, una nazione che non riesce a cambiare mai nel suo assecondare vocazioni e privilegi. «E qui sta, secondo me, la sfida principale del Partito democratico, la sua vocazione maggioritaria: conquistare il consenso con una maggioranza, perché dal 1994 noi non abbiamo mai avuto la maggioranza degli italiani ma è a quella che dobbiamo puntare perché se non abbiamo una grande forza riformista, questo Paese non cambierà mai». Non deve, il Pd, essere “una sorta di Vinavil che tiene incollata qualunque cosa. E’ nella società che deve essere chiara la nostra proposta. La destra ha vinto, il successo del Pdl per noi è difficile da capire. Berlusconi ha vinto una battaglia di egemonia nella società, perché ha avuto i mezzi e la possibilità anche di stravolgere i valori della società stessa, costruendo un sistema di disvalori contro i quali bisogna combattere con coraggio, anche quando il vento è più basso ma sapendo che se la vela è posizionata nella giusta direzione, prima o poi arriverà il vento alle spalle che spingerà in avanti”. Ma il vero problema, secondo Veltroni, non è la politica di Berlusconi, bensì il fatto che questa posizione riesca a conquistare consenso.
L’ultimo passaggio è una sorta di messaggio inviato alla leadership del Pd. “Non bisogna tornare indietro, non venga mai la tentazione di pensare che c’è un ieri migliore dell’oggi. Oggi ci sono le condizioni perche’ questo partito possa finalmente realizzare il sogno di una maggioranza riformista. Se torniamo indietro questa maggioranza svanisce". Infine un viatico per il futuro. "Ho chiesto a Dario Franceschini di assumere la responsabilità di questo momento nella speranaza che si possa dare rapidamente certezza. Ma poi, senza concitazione, si deve svolgere un congresso con una vera discussione politica, non imbrigliata". Resterà da vedere se questo sarà un addio dalla scena politica attiva. E quale sarà il futuro del Pd, se anche uno di coloro che si erano impegnati a promuoverlo, Enrico Letta, arriva a dire che «ora dobbiamo voltare pagina» perché «questo centrosinistra è finito».
Intanto, per sabato è stata convocata l’assemblea costituente del Pd. All’ordine del giorno, le dimissioni del segretario Walter Veltroni e gli adempimenti statutari conseguenti. Un primo passaggio verso un futuro che, al momento, è ancora avvolto in una nebbia fittissima.