Netanyahu a Obama: “Israele pronta ad assumersi i rischi della pace”
07 Luglio 2010
Hanno parlato del blocco di Gaza, degli insediamenti nel West Bank, dell’Iran, dei rapporti sempre più tesi con la Turchia. Ma la miglior descrizione dell’incontro tra Obama e Netanyahu l’ha data ieri il “Washington Post”: “Dopo l’ultimo teso incontro alla Casa Bianca, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente Obama si incontrano martedì per una missione solo apparentemente facile: fare una foto insieme”. Ed è proprio così, perché l’ultima visita del premier israeliano a Washington – tre mesi fa – ha segnato il punto più basso nella storia dei rapporti fra Israele e Stati Uniti. Il 9 marzo, infatti, il governo israeliano aveva annunciato la costruzione di nuovi insediamenti mentre il vicepresidente Joe Biden si trovava in visita a Gerusalemme: uno sgarbo difficile da digerire, tanto che Obama – giorni dopo – accolse il leader israeliano alla Casa Bianca in un clima di ostilità, negandogli conferenza stampa e foto ufficiale.
L’incontro di ieri, dunque, è servito a ristabilire rapporti accettabili tra vecchi alleati: secondo il quotidiano “Haaretz”, che cita una fonte governativa di Gerusalemme, la speranza di Netanyahu è che “l’incontro permetta di riconquistare la fiducia di Obama dopo mesi di tensioni”. E la missione, almeno sul piano dell’immagine, sembra riuscita: Obama ha incontrato Netanyahu e ha pranzato con lui, mentre la first lady Michelle Obama ha trascorso alcune ore con la consorte del premier israeliano. In serata, Netanyahu ha parlato con Hillary Clinton, mentre oggi si trasferirà a New York per incontrare i leader della comunità ebraica e rilasciare alcune interviste ai media. A favorire il disgelo con Obama, poco prima dell’arrivo del premier negli Stati Uniti, è giunta inoltre la notizia di un alleggerimento del blocco di Gaza, un gesto pubblicamente apprezzato dall’amministrazione americana.
Nella conferenza stampa che ha seguito l’incontro tra i due leader, Obama ha ribadito “il legame indissolubile” tra Stati Uniti e Israele, e ha spiegato che Washington “non pretenderà dallo Stato ebraico concessioni che possano mettere a repentaglio la sua sicurezza”. Il presidente americano è convinto che Israele “voglia la pace”, e Netanyahu ha auspicato che si possano “avviare colloqui diretti con i palestinesi” per ridare “speranza al mondo”: secondo il “Jerusalem Post”, il premier avrebbe sottolineato come “Gerusalemme e Ramallah distino solo 15 minuti di strada”. Israele, ha concluso il primo ministro, “è pronto ad assumere rischi per la pace”. Al centro dei colloqui anche la questione iraniana: Netanyahu, solo in parte soddisfatto dall’ultima tornata di sanzioni approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha chiesto a Washington misure ancora più dure, e Obama ha assicurato che gli Stati Uniti manterranno alta la pressione su Teheran.
Fuori dai palazzi, nel frattempo, non sono mancate proteste di segno opposto. A Gerusalemme, alcuni manifestanti si sono riuniti davanti al Consolato americano per chiedere a Netanyahu di non estendere il congelamento degli insediamenti oltre la fine di settembre. A Washington, invece, l’associazione Americans for Peace Now ha pubblicato una petizione per chiedere a Obama l’esatto contrario, ossia di premere su leader israeliano perché prosegua il blocco delle nuove costruzioni. Si tratta di un tema molto caldo, sul quale ieri è tornato anche il ministro degli Esteri israeliano: secondo Lieberman, “non c’è alcuna possibilità che il congelamento possa protrarsi oltre il 26 settembre”. Sembra evidente, insomma, che i “rischi per la pace” di cui ha parlato Netanyahu in conferenza stampa riguardano innanzitutto la stabilità della sua coalizione di governo, alla quale dovrà far “digerire” nuove concessioni per poter sedere nuovamente a un tavolo con Abu Mazen.
Per concludere, resta da osservare come la distensione con Gerusalemme abbia giovato anche ad Obama. Il deterioramento dei rapporti con Israele, negli ultimi mesi, ha accentuato infatti le critiche dei repubblicani: secondo Allen West (Florida) il presidente avrebbe “intimidito” Gerusalemme, mentre per Eliot L. Engel (New York) l’impressione è che Obama “abbia pubblicamente pressato Israele, senza esercitare la stessa pressione sui palestinesi”. Anche il mensile “Foreign Policy” ha attaccato la strategia obamiana: secondo Michele Dunne, il presidente dà troppa importanza agli aspetti economici riguardanti Gaza, dimenticando che “senza una riconciliazione tra le fazioni palestinesi e la riunificazione politica di West Bank e Gaza, non solo non si avrà un futuro migliore per la Striscia ma anche la soluzione dei due Stati resterà un sogno”. Critiche che, in vista delle elezioni di novembre, possono aver un peso sull’elettorato filoisraeliano: rapporti più amichevoli, dunque, convengono sia a Obama che a Netanyahu.