Netanyahu diventa premier e Israele pensa alla liberazione di Shalit

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Netanyahu diventa premier e Israele pensa alla liberazione di Shalit

20 Febbraio 2009

Netanyahu accetta l’incarico di formare il nuovo governo israeliano nel corso di una breve cerimonia ripresa dalla televisione israeliana. Netanyahu sedeva al fianco del presidente Peres che gli ha affidato il compito di guidare il Paese. Ora "Bibi" ha a disposizione 28 giorni per formare il nuovo governo, ma anche la possibilità di richiedere altre due settimane di tempo al presidente, se fosse necessario.

Secondo Netanyahu Israele sta vivendo "un momento cruciale": deve affrontare la minaccia nucleare iraniana, il terrorismo che si rafforza ai suoi confini, la crisi economica globale. "Erano decenni che non ci trovavamo in una situazione del genere". Bibi ha anche lasciato intendere che lavorerà d’intesa con le altre forze politiche israeliane, "procederemo uniti per garantire il futuro dei nostri figli e dello stato di Israele". Un messaggio piuttosto chiaro lanciato ai laburisti di Barak e ai centristi della Livni con l’ipotesi di un governo allargato e alternativo a quello delle destre.

Dal canto suo, l’Autorità Nazionale Palestinese, per voce del presidente Abu Mazen, fa sapere che non intende avere rapporti con un eventuale governo israeliano che non si impegni a rispettare gli accordi internazionali sottoscritti nel corso del processo di pace.

Nuovo governo, accordi di pace, Gilad Shalit: in realtà in questi giorni Israele si trova immerso in negoziati a tutto campo. Sul fronte interno, le parole di Netanyahu mostrano che ci troveremo di fronte a giorni di trattative serrate, in cerca di quella coalizione che possa contare sull’appoggio di 61 parlamentari. Tra le molte opzioni da valutare, resta una certezza: complice un sistema elettorale proporzionale con uno sbarramento molto basso, Israele rischia un governo paralizzato da partiti ideologicamente distanti fra loro.

Ago della bilancia sarà Yisrael Beitenu, il partito di estrema destra guidato da Avigdor Lieberman. Di fronte a Peres, Lieberman ha scoperto le sue carte: "Dal nostro punto di vista, ci sono tre possibilità. Una coalizione dei partiti maggiori, che è quello che vogliamo; una coalizione ristretta, che porterebbe ad un governo paralizzato; nuove elezioni, che non porterebbero a niente". Yisrael Beitenu, ha continuato Lieberman, è contrario ad un’associazione di tanti piccoli partiti: da qui l’ipotesi di una coalizione guidata da Netanyahu, che comprenda però anche Kadima. "Bibi deve convincersi a parlare con la Livni di una grande coalizione, e Tzipi deve capire che non potrà esserci un premier a rotazione: sarebbe un elemento di instabilità".

A raffreddare l’ipotesi di un’alleanza tra Netanyahu, Lieberman e la Livni ci ha pensato però lo stesso partito centrista di Kadima. Tzachi Hanegbi, alto funzionario del partito, ha dichiarato a Israel Radio che "un governo Netanyahu verrà formato nelle prossime settimane. Sarà supportato da 65 parlamentari (il blocco dei partiti di destra, ndr). Kadima guiderà l’opposizione, e questo è quanto". Ed è poi la stessa Livni a chiarire il concetto: "Kadima rappresenta molte cose di cui Israele ha bisogno, dall’avanzamento dei processi di pace a numerose questioni interne. Non supporteremo un governo di paralisi: oggi sono state gettate le basi di un governo di estrema destra guidato da Netanyahu".

Se i giochi sembrano fatti, resta però il problema Obama: un governo di estrema destra potrebbe scontrarsi con il neopresidente americano, andando incontro all’isolamento internazionale. Secondo l’ex-ambasciatore americano Daniel Kurtzer, ad esempio, "sarebbe molto più difficile per la destra portare avanti il processo di pace". Ed è proprio per questo, secondo un funzionario di Yisrael Beitenu citato dalla Reuters, che Lieberman avrebbe proposto una larga coalizione. A dispetto delle resistenze del centro-sinistra, comunque, Netanyahu tiene in vita le trattative: il Likud ha annunciato che cercherà di convincere la Livni e Barak ad entrare in un governo di coalizione. Il Labour, però, sembra propenso a chiamarsi fuori: "Lo scenario è chiaro, e noi andremo all’opposizione" ha dichiarato Barak.

I negoziati, però, non riguardano solo gli affari interni: il governo uscente, guidato dall’attivissimo Ehud Olmert, sta cercando di siglare un accordo di pace con Hamas. Con una novità: per i negoziatori israeliani, la liberazione del soldato Gilad Shalit è diventata una priorità assoluta. Ieri Peres ha definito un errore il ritiro da Gaza del 2006, mentre il governo uscente – con un attivissimo Olmert in prima fila – è impegnato nelle trattative di pace con Hamas in seguito all’operazione "Piombo fuso". Dalla fine delle operazioni, Hamas e Israele si trovano in uno stato di tregua armata: in seguito al ritiro dell’esercito da Gaza, dalla Striscia i razzi sono tornati a volare sul Negev mentre l’esercito israeliano bombarda i tunnel al confine con la Striscia. Secondo i funzionari militari israeliani, dal 18 gennaio – fine dell’operazione "Piombo fuso" – almeno 50 razzi sono stati lanciati contro Israele, rafforzando lo scetticismo sul reale compimento dell’operazione a Gaza.

Tra razzi e bombe, però, le trattative continuano. Molto importante, in questo senso, è stata la riunione del gabinetto di sicurezza di mercoledì: per la prima volta, infatti, la liberazione del militare Gilad Shalit è stata posta come condizione irrinunciabile per la firma di un qualsiasi trattato. Il ministero della Giustizia e quello della Difesa hanno stilato una nuova lista di prigionieri rilasciabili in cambio di Shalit: il piano di Olmert prevede la liberazione di 450 prigionieri, seguiti da altri 550 in segno di apertura al presidente dell’Anp Abbas. Nel corso della riunione, Olmert si è poi scontrato con il ministro della Difesa Barak, che premeva per l’accettazione di una tregua (mediata dall’Egitto) non comprendente la liberazione di Shalit. Nella ricostruzione del quotidiano "Haaretz", il ministro della Difesa avrebbe criticato con forza l’ipotesi di "pagare il prezzo richiesto da Hamas" per la liberazione del militare.

Ma al di là degli scontri all’interno del gabinetto, la vera notizia è il cambio di strategia di Olmert. Dopo aver appoggiato la visione di Barak e del presidente egiziano Mubarak – che pospongono la liberazione di Shalit alla firma di una tregua con Hamas – il premier uscente si è presentato questa settimana come il maggiore sostenitore dell’immediata liberazione del giovane militare. Oltre che con Barak, la svolta di Olmert segna una rottura diplomatica anche con Mubarak: da settimane, infatti, l’Egitto lavora su un trattato di pace che la questione Shalit rischia di mandare definitivamente a monte. "Haaretz", scettico sul cambio di strategia del premier, ha contattato alcune fonti governative secondo le quali "le possibilità di portare a termine l’accordo in tempo breve sono molto poche": cambiare le regole a metà del gioco, del resto, difficilmente porterà a qualche risultato. Perché, allora, mandare a monte il lavoro di Barak e dell’Egitto?

Secondo alcuni, la svolta del premier su Shalit segnerebbe un cambio di strategia più generale: dopo aver cercato un accordo con Hamas, Olmert si sarebbe convinto della necessità di rovesciare il regime di Gaza riportando l’Anp nella Striscia. Su questa linea si collocherebbero anche Tzipi Livni e lo stesso Lieberman, che ha rapporti con membri dell’Autorità Palestinese. Sul fronte opposto si pone invece il ministro della Difesa Barak, contrario al "regime change" nella Striscia. Di certo, comunque, il cambio di strategia da parte di Olmert rende più difficoltose le trattative di pace, aprendo la strada ad una potenziale escalation che potrebbe sfociare in una nuova invasione di Gaza. Questa volta, molto più incisiva.