Netanyahu si rafforza, vira al centro e guarda a Barak

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Netanyahu si rafforza, vira al centro e guarda a Barak

26 Gennaio 2009

"Piombo fuso" ha distolto l’attenzione dei media da una scadenza fondamentale. Il 10 febbraio, infatti, gli elettori israeliani saranno chiamati alle urne per rinnovare la Knesset e dare un successore al premier dimissionario Ehud Olmert. Ma se i sondaggi segnalano l’avanzata dei partiti di destra, la campagna elettorale ha ancora molto da dire: tanto la guerra di Gaza quanto l’elezione di Barack Obama, infatti, potrebbero incidere notevolmente sulle scelte degli elettori. E la partita per la formazione del nuovo governo – con la scelta degli alleati da parte del nuovo premier – è ancora tutta da giocare.

Per comprendere l’orientamento dell’elettorato, partiamo dai sondaggi. Gli ultimi rilevamenti di Maariv/Teleseker (23 gennaio) assegnano 28 seggi al Likud (Netanyahu), 24 a Kadima (Livni), 16 al Labour (Barak) e Yisrael Beiteinu (Lieberman). Uno scenario simile a quello prospettato da Yedioth/Dahaf (23 gennaio): 29 seggi al Likud, 25 a Kadima, 17 al Labour e 14 a Yisrael Beiteinu. A guerra conclusa, insomma, lo scenario è chiaro: a fronte di un’avanzata di Netanyahu e di Lieberman – il leader di una formazione di estrema destra –, il partito centrista di Kadima è quello che risente maggiormente sul piano delle intenzioni di voto. Motivo? Gli israeliani – che in grande maggioranza hanno sostenuto l’operazione militare contro Hamas – sentono che il lavoro a Gaza non è stato finito. E sanno bene che è stata proprio Tzipi Livni (leader di Kadima) ad aver lavorato per mettere fine a "Piombo fuso", evitando la terza fase del conflitto caldeggiata da Olmert e dallo Shin Bet.

Se stiamo agli umori dell’elettorato – e dunque alla probabile vittoria del Likud, unita al buon risultato di Yisrael Beiteinu – l’esito naturale delle elezioni sarebbe un governo presieduto da Netanyahu, con Lieberman come principale alleato. Tale sodalizio, però, è difficilmente realizzabile: oltre che troppo sbilanciato a destra, infatti, il partito di estrema destra è stato recentemente investito da svariate polemiche. Domenica, poi, sette membri di Ysrael Beiteinu (compresa la figlia del leader) sono stati prelevati e interrogati dalla polizia: l’accusa che pende sul partito di Lieberman – a sole due settimane dalle elezioni – è quella di corruzione e frode. Al di là delle inchieste, comunque, di questi tempi i rapporti tra Likud e Ysrael Beiteinu non sono certo idilliaci: sabato il candidato del Likud Moshe Yaalon, ex-capo dell’esercito, ha dichiarato di provare paura davanti a Lieberman e alle sue affermazioni estremiste.

Ma se le elezioni del 10 febbraio non porteranno a un governo sbilanciato a destra, il motivo principale resta l’insediamento del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Appena entrato alla Casa Bianca, Obama ha infatti preannunciato un forte impegno per risolvere il decennale conflitto israelo-palestinese; e il primo leader mondiale a ricevere una sua telefonata è stato il presidente dell’Anp Abu Mazen: dimostrazione, secondo molti israeliani, della minore indulgenza che gli Stati Uniti mostreranno nei confronti della Stato ebraico. In vista della futura (e inevitabile) collaborazione con l’amministrazione Obama, dunque, Netanyahu sa di dover riequilibrare il suo governo verso sinistra. Una strategia che Yossi Verter ha illustrato con chiarezza sul quotidiano Haaretz: "L’obiettivo strategico di Netanyahu, se eletto, è di imbarcare il Labour e Kadima (o uno dei due partiti) nel suo governo, come giubbotto protettivo anti-Obama".

Piuttosto che ad un’alleanza con lo scomodo Lieberman, Netanyahu pensa insomma ad un governo con il Labour. Contro questa eventualità, però, remano alcuni membri del partito di Barak: a fronte di quello che reputano un’inevitabile scontro tra Obama e Netanyahu, parte del Labour crede che sia meglio riabilitarsi all’opposizione per poi – in caso di crisi – rimpiazzare il Likud al governo, insieme a Kadima. Ed è proprio il partito della Livni a sostenere con forza l’incompatibilità tra Netanyahu e Barack Obama. Secondo il quotidiano "Haaretz", Kadima starebbe addirittura pensando di utilizzare nei propri spot degli estratti dal libro "The Missing Peace" di Dennis Ross, ex-inviato speciale in Medio Oriente di Bill Clinton e possibile diplomatico di Obama: nel saggio, Benjamin Netanyahu è viene definito "insopportabile".

Ma al di là dei futuri scenari governativi, i protagonisti della politica israeliana si trovano alle prese con gli ultimi giorni di campagna elettorale. Il Likud di Netanyahu, primo partito nelle intenzioni di voto, cercherà di mantenere il vantaggio respingendo le accuse di Kadima e mostrando un profilo centrista all’amministrazione Obama; anche il Labour, che dalla guerra di Gaza sembra aver guadagnato qualche seggio, attuerà una strategia di contenimento: una buona affermazione elettorale darebbe a Barak maggior potere contrattuale, tanto con Netanyahu quanto con la Livni. Lieberman, che da "Piombo fuso" ha tratto i maggiori benefici elettorali, dovrà invece evitare che una bufera giudiziaria riduca i 14-16 seggi che potrebbe conquistare secondo gli ultimi sondaggi.

A inseguire, dunque, è Kadima. L’immagine di Tzipi Livni è stata sciupata dall’operazione militare nella Striscia di Gaza: gli israeliani chiedono un premier più duro e deciso di quanto il ministro degli Esteri sia apparso nelle ultime tre settimane. In questo contesto si spiega l’intervista rilasciata dalla Livni a Channel 1: la leader di Kadima ha dichiarato infatti di essere pronta ad ulteriori bombardamenti sulla Striscia, per evitare il traffico di armi dall’Egitto. Allo stesso tempo, però, ha anche cercato di sfruttare l’insediamento di Obama parlando di "comuni interessi e valori" tra Israele e Stati Uniti: "Israele dovrà decidere se stare dalla parte di coloro che promuovono il dialogo o da quella che lo rifiuta; diversamente vi sarà un’inevitabile frattura con gli Stati Uniti". L’elezione di Obama, insomma, renderebbe invitabile la scelta di Kadima da parte degli israeliani: un discorso chiaro ma rischioso, che potrebbe spingere molti indecisi a respingere il "ricatto" e a votare Likud. O Yisrael Beiteinu, senza troppo badare alle inchieste giudiziarie.