Netanyahu si ritrova con un governo fragile e qualche poltrona di troppo

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Netanyahu si ritrova con un governo fragile e qualche poltrona di troppo

31 Marzo 2009

Domattina il nuovo primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu, presenterà il suo governo al presidente Shimon Peres. La seduta della Knesset, il parlamento israeliano, si è infatti protratta oltre la mezzanotte. Ehud Olmert ha tenuto il suo discorso di addio ma, quando è stato presentato il nuovo esecutivo, dai banchi dell’opposizione sono piovute una serie di critiche contro Netanyahu.   

Netanyahu, che aveva criticato Olmert per suoi 25 ministri, adesso chiederà non meno di 30 posti a sedere per i suoi ministri; e a questi si aggiungeranno altri 7 vice-ministri. Sarà l’avvio per il governo più grande e più costoso nella storia della stato di Israele. In giorni in cui tutti chiedono di ridurre e tagliare i costi, anche Netanyahu – che nei prossimi giorni inviterà i mercati israeliani a prepararsi ad una serie di riforme adatte per contrastare la crisi economica – sa che il suo governo non corrisponde alle aspettative dei nostri tempi. Non è un caso perché anche i membri della nuova opposizione hanno già contribuito al governo Netanyahu. Un titolo di questa storia potrebbe essere: “Alì Bibi e suoi 40 ministri”.

Giusto sei anni fa, anche Ariel Sharon aveva formato un governo con 30 ministri, ma Sharon godeva di un sostegno alla Knesset di circa 90 parlamentari su 120. Netanyahu invece può contare su una coalizione meno ampia di 69 membri. Fino a pochi giorni fa, e negli ultimi tre anni, Netanyahu e il suo nuovo ministro dell’istruzione Gideon Saar avevano lanciato una campagna civile che chiedeva di limitare il numero dei ministri a 18. Ieri invece Saar si è rifiutato di commentare la formazione del nuovo governo israeliano e il costo enorme di 9 milioni di Shekel annui (1.616 milioni di euro) che verranno spesi per ogni ministro (un terzo del costo servirà a garantire la loro sicurezza).

Non si tratta soltanto di un governo esoso. Gli accordi fra i partiti della coalizione costeranno alla finanza israeliana 6.5 miliardi di Shekel (1.167 miliardi di euro). Il vero pericolo del governo Netanyahu è di paralizzarsi da solo. La proporzione gonfiata del governo israeliano rischia alla fine di portare a una situazione ridicola: chi seguirà per davvero i lavori svolti dal nuovo ministero inventato per la minoranze etniche? O quelli del ministro senza portafoglio responsabile per migliorare il lavoro del servizio pubblico, o di quello per gli affari strategici. Quest’ultimo sa benissimo di non avere voce in capitolo o la possibilità di determinare le decisioni che saranno prese dal ministro della difesa.

Ed è proprio questo un altro fenomeno del governo Netanyahu: aver trovato in Ehud Barak il suo braccio destro (al contrario di chi pensava che fosse di sinistra) e il fatto che, nonostante l’eccellente lavoro politico svolto da Netanyahu, in realtà, alla fine, nessuno sembra davvero felice e contento di partire sulla sua nave. I laburisti sono divisi più che mai. Solo una settimana fa Avishai Braverman, un magnifico professore dell’università “Ben Gurion”, aveva girato in tutti canali televisivi per spiegare il motivo per cui i laburisti dovevano restare fuori dal governo e svolgere le loro attività dai banchi dell’opposizione. Ebbene, proprio Braverman oggi giura come ministro senza portafoglio e responsabile per le minoranze etniche. Sempre nella giornata di oggi, dai banchi dell’opposizione, Kadima ha chiesto una votazione individuale per nome, giusto per imbarazzare la nuova coalizione e ricordare bene chi sono i laburisti che hanno dato vita al governo di destra israeliano. Sembra evidente che non tutti fra i laburisti daranno la loro fiducia al governo Netanyahu.

Nelle ultime due settimane, anche nel Likud non sono mancate le voci critiche contro la scelta di Netanyahu di attribuire cariche prestigiose ai laburisti lasciando senza portafogli di prestigio il partito del premier. A pagarne le conseguenze è stato soprattutto l’ex ministro degli esteri Silvan Shalom, il “grande perdente” di questo giro di nomine, che ha prima rifiutato e poi accettato – per non sparire politicamente – il ministero fantasma della “Collaborazione regionale e sviluppo per le zone del Negev e della Galilea”. Fino all’ultimo non era chiaro quale sarà il suo destino. Voci provenienti dall’entourage di Netanyahu hanno chiesto a Shalom di aspettare che la polizia apra eventualmente delle indagini sul conto di Liberman per costringerlo a dimettersi. In questo caso, Shalom prenderebbe il posto di Liberman. Ma queste promesse non sembrano aver soddisfatto né Shalom, né Liberman che ha annunciato pubblicamente che ogni tentativo di togliergli il ministero degli esteri porterebbe all’uscita dal governo del suo partito Israel Beitynu ("Israele nostra casa").

I risultati delle elezioni in Israele fanno sì che per Netanyahu sarà molto difficile governare. E’ vero che, se riuscisse a sbloccare il negoziato con il palestinesi, o se riuscisse a trovare un codice per realizzare la pace con la Siria, nessuno si ricorderà più del costo eccessivo del suo governo. Ma Netanyahu – considerando le sue mosse politiche all’interno del Likud negli ultimi giorni – non è Menachem Begin: senza decisioni essenziali come togliere gli insediamenti illegali che continuano a sorgere in Cisgiordania, neppure la presenza dei laburisti potrà aiutarlo a ridosso della sua visita a Washington. Prima o poi verrà fuori la tensione con l’amministrazione Obama e, con la Livni e Kadima che aspettano nell’angolo, Netanyahu dovrà sudare le proverbiali quattro camicie per garantire lunga vita al suo governo.

* Menachem Gantz è il corrispondente dall’Italia del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth