New Hampshire, è già tempo di giudizi

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New Hampshire, è già tempo di giudizi

08 Gennaio 2008

Come in un giro sulle montagne russe, non si fa in tempo a riprender fiato dopo una discesa in picchiata che già si è intrapresa una nuova salita. Sono passati solo cinque giorni dai caucuses in Iowa, eppure il voto nel gelido Stato del Midwest sembra già un ricordo lontano. Nelle prossime ore, dunque, si apriranno i seggi delle primarie in New Hampshire. E’ solo la seconda tappa della lunga marcia verso la Casa Bianca. Tuttavia, per qualcuno è già tempo di giudizi. Forse definitivi. Innanzitutto, per Hillary Clinton.

La superfavorita, l’invincibile e “inevitabile” candidata del partito Democratico si è letteralmente afflosciata su se stessa (ieri, si è commossa quasi alle lacrime mentre parlava ad alcuni sostenitori). Prima della sonora sconfitta in Iowa, la senatrice di New York era avanti in tutti i sondaggi riguardanti il voto in New Hampshire. Ora, sarebbe addirittura 10 punti dietro Barack Obama. Gli strateghi di Hillary, che confidavano in una partenza sprint, sono costretti a fare i conti con un’ipotesi mai presa in considerazione: un doppio insuccesso in Iowa e New Hampshire. Per neutralizzare il “momentum”, lo stato di grazia, di Obama i consiglieri della Clinton hanno in un primo tempo pensato di andare all’attacco con degli spot televisivi al vetriolo contro il senatore afroamericano. Poi, come ha raccontato l’informato quotidiano washingtoniano The Politico, hanno fatto marcia indietro, temendo l’effetto boomerang.

Il messaggio è stato ammorbidito con la formula “Retorica contro risultati, chiacchiere contro azioni”. Un mantra ripetuto da Hillary Clinton nel dibattito televisivo in New Hampshire, di domenica scorsa, nel quale la ex First Lady ha insistito nel proporsi come la vera candidata del cambiamento. Hillary ha accusato Obama di volere un nuovo corso solo a parole ed ha ripetuto – per l’ennesima volta – che il giovane senatore afroamericano non ha sufficiente esperienza per realizzare il cambiamento che egli stesso propone. “Da quando ha perso in Iowa”, ha commentato Ned Helms, capo della campagna di Obama in New Hampshire, “gli attacchi di Hillary Clinton sono diventati sempre più disperati”. D’altro canto, annota qualcuno, Hillary non ha alternative. Il tempo ridottissimo tra i caucuses in Iowa e le primarie in New Hampshire, l’ha infatti costretta ad attaccare a testa bassa nel tentativo (non riuscito, stando ai sondaggi) di fermare il treno Obama lanciato a tutta velocità. Il senatore dell’Illinois batte la senatrice di New York soprattutto nel gradimento da parte degli indipendenti, che nelle primarie “aperte” del New Hampshire possono votare a loro i scelta i candidati dell’uno o dell’altro partito. Tuttavia, c’è chi ritiene che Hillary possa farcela anche perdendo in New Hampshire. In caso di sconfitta, lo staff della Clinton potrebbe ancora puntare ad un successo nel Supertuesday del 5 febbraio (più o meno la strategia ad alto rischio adottata da Rudy Giuliani in campo repubblicano). In quella data, voteranno per la nomination oltre 20 Stati e la senatrice si sente già in tasca Stati cruciali come California, New York, New Jersey e l’Arkansas del marito Bill. Intanto, c’è già chi pensa ad un ringiovanimento della campagna elettorale di Hillary con l’inserimento di qualche faccia nuova accanto alla senatrice, che fatica a conquistare l’elettorato giovane, tutto per Obama.

E’ già tempo di giudizi anche nel partito dell’Elefante. Almeno per Mitt Romney. L’ex governatore del Massachusetts aveva puntato tutte le sue chance sulla doppia vittoria in Iowa e New Hampshire. Telegenico, ma per alcuni “un candidato di plastica”, il mormone Romney è stato liquidato nel primo appuntamento dal christian conservative Mike Huckabee ed ora in New Hampshire si gioca il tutto per tutto contro John McCain, il redivivo senatore dell’Arizona. Come Hillary, Romney può contare su una macchina organizzativa perfetta e su un quantità praticamente illimitata di dollari da spendere. Eppure, proprio come la perfezionista senatrice di New York ha perso contro un candidato tutto cuore e sentimenti che incarna al meglio la voglia di cambiamento. Quel “Will of Change” che, almeno per il momento, sembra il trend più evidente di questa tornata presidenziale. Dunque, come Obama tra i Democratici, anche nel Grand Old Party c’è un candidato che, partito dalle retrovie, spera adesso in un successo non più impossibile. John McCain, il veterano del Vietnam rispettato in modo bipartisan, potrebbe rimanere l’ultimo uomo in piedi, The Last Man Standing, come ha titolato il Chicago Sun-Times, qualche giorno fa. Troppo vecchio (ha 71 anni), incapace di raccogliere fondi elettorali adeguati alla sfida. E, ancora, irascibile di carattere e ai ferri corti con la base del partito Repubblicano su temi come immigrazione, cellule staminali, tasse e global warming. Così, si è letto per mesi, sulla stampa americana. Eppure, McCain è ancora lì a giocarsela con il milionario Romney e la star newyorkese Giuliani. Come è possibile? Secondo Jackie Calmes del Wall Street Journal, anche quei repubblicani che non lo amano sanno che John McCain è il più “eleggibile” dei candidati del GOP alla Casa Bianca. L’unico insomma che, anche grazie al suo appeal sull’elettorato indipendente, può strappare la Casa Bianca ai Democratici, in un anno in cui sembrano i superfavoriti per la vittoria finale.