Niente divorzio nel Pdl. Fini ora punta a creare una nuova “corrente”

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Niente divorzio nel Pdl. Fini ora punta a creare una nuova “corrente”

19 Aprile 2010

La partita in queste ore si gioca tutta in casa aenne.  Da un lato i fedelissimi di Fini che domani scioglieranno le riserve sul se e come stare nel Pdl, dall’altro gli ex aenne che di scissioni, gruppi autonomi, linea dura non ne vogliono neppure sentir parlare. Settimana decisiva per capire gli effetti dello scontro Fini-Berlusconi e se ci saranno i margini per una ricomposizione.

Sembra tramontata l’ipotesi di divorzio mentre prende quota, proprio in queste ore, la creazione di una componente interna, una "corrente", che fa capo a Fini e che potrebbe essere formalizzata nella riunione di domani tra il Presidente della Camera e i suoi fedelissimi.

Le diplomazie dentro l’ex partito di via della Scrofa sono al lavoro per smussare le posizioni dei “falchi” (Bocchino, Briguglio, Urso e Granata) e far prevalere quelle delle “colombe” (Matteoli, La Russa, Laboccetta). Ma alla vigilia della riunione dei parlamentari di An convocata da Fini a Montecitorio, sala Tatarella (uno dei precursori del Pdl, ironia della sorte), l’idea del “divorzio” tra i due co-fondatori del Pdl pare destinata a tramontare. I motivi sono sostanzialmente tre: i numeri in Parlamento che non incoraggerebbero una fuoriuscita, la posizione molto ferma del Cav. e la prospettiva di tornare alle urne se la maggioranza si dovesse dividere (come hanno ricordato Schifani e numerosi big pidiellini prima e Bossi poi) . Nel primo caso, se si andrà alla rottura, il presidente della Camera potrebbe contare al massimo su sette senatori e quindici deputati pronti a seguirlo senza se e senza ma, stando ai calcoli elaborati in via dell’Umiltà che complessivamente stimano nel 10 per cento il peso della componente che fa capo a Fini.

Ma poi per andare dove e a quale prezzo? In quel caso, Fini dovrebbe rinunciare alla presidenza della Camera come ha ribadito nei giorni scorsi Berlusconi mentre ai suoi fedelissimi  costerebbe la non ricandidatura nelle file del Pdl. Nel secondo caso, il premier tiene il punto: invita il presidente della Camera a tornare sui suoi passi, propone un accordo forte per superare le incomprensioni e un congresso nazionale entro un anno ma al tempo stesso non pare intenzionato ad “ampie” e ulteriori concessioni , spiega chi gli ha parlato in queste ore.  Nel terzo caso, la prospettiva di un voto anticipato costringerebbe la componente finiana a misurare il proprio peso nel rapporto diretto con l’elettorato (e coi risultati delle regionali dalle quali escono vincitori Berlusconi e Bossi non sarebbe un test facile).

Dunque, la strategia alla quale nell’area finiana si lavora è quella di una mediazione per arrivare a un documento da portare giovedì alla direzione nazionale del partito, magari propedeutico alla formalizzazione di una componente di minoranza dentro il Pdl, una "corrente" che potrebbe nascere già domani. E in questo caso, l’ex leader di An potrebbe contare sull’adesione da parte di 15 senatori e 31 parlamentari. Un documento di contenuti e non di rivendicazioni, fanno sapere dal centrodestra, che coniughi le richieste di Fini (un riequilibrio della coalizione oggi troppo appiattita sulla Lega, maggiore spazio nel partito e più coinvolgimento nel capitolo riforme) alle istanze che fanno parte della dialettica politica, elemento fisiologico soprattutto in un grande partito come il Pdl. 

Insomma, un documento che in linea di massima, ricalchi il senso e lo schema di quello prodotto dai quattordici senatori finiani: no alla scissione, sì alla fase due del partito perché si può e si deve aprire un confronto come nei partiti classici, dove far sentire la voce della minoranza che non va demonizzata ma rispettata. Sono sostanzialmente due i punti sui quali ragionano i “mediatori” finiani : un ruolo più marcato per l’ex leader di An sul versante delle riforme e, per quanto riguarda gli assetti interni al partito, il riequilibrio della coalizione e l’inserimento nel coordinamento nazionale di uno o due coordinatori “aggiunti”. Tra i “papabili” il più accreditato è Silvano Moffa, mentre Ie quotazioni di Italo Bocchino fino a poche settimane fa in pole position per la poltrona di vice coordinatore del partito sarebbero decisamente in calo, specie dopo le uscite a gamba tesa dei giorni scorsi e “lo scivolone” della maggioranza alla Camera sul decreto “salvaliste” per il quale il premier si era speso in prima persona .

Se l’obiettivo dei pontieri è scongiurare il rischio scissione, i riflettori sono decisamente puntati sulla riunione di domani alla Camera. Riunione che lascia “freddi” i colonnelli di An ma pure una fetta ampia del suo gruppo: Ignazio La Russa ha già detto che la rottura sarebbe un vantaggio per opposizione e Lega e stamani ha riunito gli ex An del Nordovest incassando il no di 18 su 22 parlamentari a un eventuale strappo. Anche per Altero Matteoli (che domani non andrà alla riunione dei finiani) sarebbe “un errore politico fare gruppi autonomi”, così come Maurizio Gasparri secondo il quale in un partito “soprattutto quando si tratta di un grande governo, è legittimo che ciascuno porti idee e si confronti ma creare nuovi partiti è sbagliato”.

Gianni Alemanno, infine,  spiega che il chiarimento definitivo arriverà solo con il Congresso nazionale. Proprio il leader di Destra Sociale stasera ha riunito la sua componente (che nel Pdl ha un peso pari al 10 per cento) per valutare il da farsi. Da giorni il sindaco di Roma è impegnato in un’opera di mediazione tra Fini e i big berlusconiani e secondo alcuni parlamentari di area An non è escluso che possa optare per una sponda con l’inquilino di Montecitorio elaborando un documento unitario (in linea con quello dei 14 senatori finiani) ampio e comprensivo di tutte le posizioni in campo sul quale far convergere i suoi. Sarebbe un modo per ridimensionare le fughe in avanti dei falchi finiani, evitare quindi il rischio di una debacle e garantire una pacificazione.

Una mossa che servirebbe ad Alemanno che ha ambizioni da leader anche per evitare di finire troppo schiacciato in un partito iper-berlusconiano. Ma certo, di fronte a questo scenario resta una contraddizione di fondo: le posizioni di Fini sulla sicurezza, il testamento biologico, la famiglia da tempo hanno scavato un solco tra lui e l’ex compagno di partito. Elemento che fa ritenere che l’idea di un asse tra i due sia pura tattica politica più che un ritrovato feeling politico. 

Forti perplessità sull’ipotesi di un percorso parallelo a quello del Pdl le ribadisce un finiano moderato come Amedeo Laboccetta che domani sarà al summit col presidente della Camera ma ci andrà per “ribadire che è un atto di miopia politica abbandonare il Pdl, creando gruppi paralleli. Tra gli scettici anche il deputato Vincenzo Consolo convinto del fatto che occorra “cercare di rimediare in ogni modo”. Più netta la posizione di Donato Lamorte,  memoria storica di An che ribadisce il pensiero del presidente della Camera: “Fini è disponibile al confronto, ma su due punti non transige. Anzitutto, va riequilibrata la coalizione ora troppo appiattita sulla Lega. In secondo luogo, bisogna mettere mano al Pdl e rivedere l’organigramma”.

Ma quali sono le mosse sul versante forzista? Forti del fatto che la partita sta tutta dentro il campo di An, nei ranghi azzurri prevale un atteggiamento attendista rispetto all’esito del vertice finiano di domani. Ma questo non vuol dire restare con le mani in mano; piuttosto si lavora al documento da presentare giovedì alla direzione nazionale del Pdl. Tra i punti considerati imprescindibili ci saranno la rinnovata fiducia nella leadership di Berlusconi e la conferma del carattere carismatico del partito: insomma due paletti ben chiari. 

Ed è sui documenti in discussione nell’assemblea del partito che si ridefiniranno i rapporti di forza interni e soprattutto sui voti che convergeranno dall’una o dall’altra parte. Della direzione fanno parte 171 membri dei quali solo diciassette sarebbero in quota finiana, al punto che nel Pdl c’è chi ritiene che il peso dei finiani sia stato finora sovradimensionato. Ed è chiaro che se come ipotizzano alcuni esponenti forzisti “il nostro documento otterrà la firme di 150 su 171 membri, la partita sarebbe già chiusa”. Con buona pace dei finiani e di Fini.