
Nizza: il politicamente corretto cancella l’islam dalle stragi

16 Luglio 2016
“Era come al bowling, gente che saltava in aria al passaggio del camion”, così un testimone racconta la strage di Nizza. A sud della Francia si celebrava la presa della Bastiglia, ma dei fuochi d’artificio è rimasto il sangue: un pesante camion è piombato a 80 chilometri orari sulla folla radunata, correndo a zig-zag, per travolgere più persone possibile, con l’attentatore che sparava all’impazzata. In sottofondo è rimasta la eco delle informazioni drammatiche sul bilancio delle vittime. Ad oggi 84 morti e 200 feriti.
Dalle dirette alla carta stampata sono rimbalzati in apertura titoloni retorici che sono solo le specchio di tutti gli attentati di questi mesi. Ma questa volta la cernita delle parole è stata esemplare. La stampa mondiale ha esitato fino all’estremo prima di parlare di attentato, e la parola ‘islam‘ è arrivata con un ritardo imperdonabile. E’ toccato, con sorpresa, a Hollande rompere le righe del silenzio. Questa volta non ha potuto fare a meno di citare il terrorismo islamico in maniera diretta, e la bolla mediatica ha iniziato, con fatica, a scoppiare. Di mezzo sono passate, però, prima le agenzie che hanno raccontato dei “periodi difficili” dell’attentatore. Del divorzio dalla moglie, poi trasformato in “una malattia molto seria”, e delle cure psichiatriche.
E, mentre il presidente francese e il premier Valls rilanciavano dichiarazioni in cui annunciavano rafforzamento della protezione e della sicurezza, arrivavano i primi identikit dell’attentatore islamico: un tunisino residente a Nizza. Nulla di cui stupirsi. L’ideologia islamica, che opera sotto il nome di Califfato, ha arruolato tanti combattenti nel sud della Francia. Lo stato islamico ha messo in moto, da tempo, e sotto i nostri occhi, campagne propagandistiche con le quali invita i seguaci europei a uccidere gli infedeli. Si tratta di campagne dai colori ammalianti, che non hanno nulla da invidiare a quelle delle compagnie telefoniche intente a persuadere le giovani generazioni. Una del 2014 recitava: “Spaccagli la testa con una pietra, uccidilo con un coltello, investilo con una macchina”. L’infedele è il crociato.
Eppure, anche questa volta, la stampa si è rivestita della ridicola coltre di silenzio. E l’aggettivo islamista camuffato, masticato tra i denti, è la cifra dell’atteggiamento di sottomissione all’islam dell’occidente tutto. L’idea di un occidente senza confini ha trasformato l’accusa di razzismo in una canna di fucile che minaccia le nostre tempie. Non siamo autorizzati a dare un nome preciso ai fatti perché la psicologia della società imposta dal pensiero dominante vuole che le razze e le culture non esistono: c’è poco da stupirsi, allora, se certe tragedie si raccontano senza dare un nome alla realtà. Siamo la società che si nutre dei diritti civili, della tolleranza religiosa, dell’indifferentismo sessuale, della parità dei sessi, della quintessenza del relativismo. E allora diventa poco carino condannare l’islam e il multiculturalismo.
Sono state queste le ragioni che hanno spinto Hocine Drouiche, il vicepresidente della Conferenza degli imam di Francia, imam di Nimes, a poche ore dai fatti di Nizza, ad annunciare le proprie dimissioni in nome del “rifiuto di queste istituzioni incompetenti che non fanno nulla per la pace sociale e che non la smettono di ripetere che l’estremismo non esiste, che è prodotto dai mass media”. Una polemica contro chi non ha ancora dato il vero nome all’artefice di quei morti. Hocine Drouiche aveva commentato anche l’attentato a Dacca: “Avevamo sempre pensato che il terrorismo fosse nato in Iraq e in Afghanistan a causa dell’orgoglio dell’Amministrazione Bush. La primavera araba ha mostrato con chiarezza che il problema dell’islamismo è legato alla crisi teologica e giuridica dell’islam“.
Già la strage di Dacca. Sono passati appena quindici giorni da quando gli islamisti hanno affilato le loro lame sui corpi di chi non sapeva recitare il corano. E già siamo qui a contare altri morti. Anche per i fatti di Dacca il pensiero unico aveva mandato in stampa il solito copione: l’islam semina morte, e noi rispondiamo che la loro religione non c’entra nulla. Una delle argomentazioni preferite continua ad essere quella secondo la quale è talmente evidente che il terrorismo islamico non ha a che fare con la religione islamica, che molto spesso sono proprio gli islamici le vittime.
E, anche se a Dacca sono stati martirizzati degli italiani, le nostre istituzioni hanno comunque usato il paravento dell’islam moderato. Se per Gentiloni gli assassini di Dacca sono stati “la degenerazione del fondamentalismo di matrice islamica”, e gente che “abusa della religione deturpandola”, per il nostro presidente della Repubblica, invece, è stato importante reagire così: “In un momento nel quale visioni distorte della fede religiosa provocano indicibili lutti e immense sofferenze, le celebrazioni della fine del Ramadan devono richiamarci, ancora una volta, a un’attenta ed attiva riflessione sull’ importanza del dialogo, della tolleranza, del rispetto dello Stato di diritto, con l’obiettivo di isolare gli estremisti e costruire insieme un futuro di pace”.
La stampa nostrana ci ha insegnato, dopo i fatti di Dacca, che le vittime dell’islam non meritano funerali istituzionali come quelli delle vittime di razzismo. La stampa mondiale, dopo Nizza, ci ha ricordato, invece, che non riusciamo ad avere contezza di quanto la nostra cultura abbia perso, e continui a perdere, sotto l’offensiva del politicamente corretto. Ma è davvero complicato spiegare le manovre d’inculturazione dei media occidentali senza franare nel rischio del banale.
Come si può continuare a negare che ci troviamo di fronte a un grido di guerra lanciato contro la nostra civiltà? Siamo tutti rei di aver girato la testa, e pure le spalle, ad Allah, Maometto e alla rivelazione profetica. Di questo passo la cronaca nelle nostre case farà lo stesso rumore, e susciterà il solito sdegno, quello formale.