
“No alle tentazioni giacobine. La manovra non è solo numeri, tocca le persone”

20 Dicembre 2011
di L. B.
Dal ‘libro bianco’ di Biagi (2008) alla riforma del Welfare avviata in tempi di crisi, alla manovra di Monti e le contromisure dei ‘neocom’. Neologismo che sta per ‘neo-comunitari’ e racchiude il senso della proposta dell’associazione ‘Amici di Marco Biagi’ e della fondazione Magna Carta che disegna un nuovo modello di welfare con al centro la persona, l’idea di comunità, la sussidiarietà. Temi del convegno con Maurizio Sacconi, Gaetano Quagliariello, economisti ed esperti di previdenza. Non un’iniziativa occasionale, ma la prima di una serie sulla quale il Pdl incardinerà la sua proposta politica: con il governo Monti ma soprattutto con gli elettori.
Senatore Sacconi, lo spread a quota 520 punti. Draghi dice che i “livelli non torneranno mai più quelli pre-crisi”. Che vuol dire? L’effetto Monti non c’è stato e la manovra ‘lacrime e sangue’ non basta?
Il problema, a questo punto, non è di sufficienza dimensionale della manovra di finanza pubblica. Da un lato, riguarda la capacità di crescita dell’economia e della società; dall’altro quella stabilità – che è presupposto di crescita – che non può che essere prodotta da una dimensione sovranazionale, cioè europea.
Sì, ma la manovra del governo doveva rassicurare i mercati.
Doveva essere utile a convincere i più diffidenti ad accettare il meccanismo di stabilità sul modello delle banche centrali con le rispettive monete, ma i mercati non l’hanno giudicata sufficiente.
Perché, cosa è mancato?
Il punto sta in un meccanismo limitato nella portata, complicato nel processo decisionale che, come tale, consente alle pressioni speculative di andare avanti.
Come se ne esce?
Qui sta l’utilità o meno del governo Monti che è stato affidato dai grandi partiti e dalla maggioranza del Parlamento affinchè realizzasse le condizioni per una stabilità comune. Quindi, nei prossimi mesi vedremo se è in grado di svolgere il compito assegnato.
Sul fronte internazionale finora l’azione dell’esecutivo non ha convinto i mercati e su quello interno ha aperto un fronte di polemica sulle misure draconiane alle quali non è seguita un’adeguata spinta sul versante della crescita. Sta dicendo che tra qualche mese potreste staccare la spina?
Sappiamo che questo non è il nostro governo e che, nelle condizioni date, non c’era alternativa. Noi la manovra non l’avremmo scritta così. Nella lettera al Corriere della Sera ho paventato un pericolo e cioè che prevalga un atteggiamento giacobino che fa dimenticare la dimensione umana delle scelte, pur nell’ambito doveroso di un risanamento della finanza pubblica. Del resto, l’approccio riformista si dedica alla conciliazione tra numeri e persone, anche perché senza una mobilitazione corale della società non riusciremo a combinare risanamento e sviluppo.
Ma il Pdl non rischia di perdere voti sostenendo una manovra così rigorista?
Dobbiamo augurarci che Monti convinca le parti riottose, a cominciare dalla Germania, della necessità di un meccanismo di vera stabilità affinchè le tentazioni giacobine in esso contenute vengano mediate con le esigenze di una mobilitazione sociale.
Nella lettera al Corriere della Sera lei in sostanza ha detto che sulla riforma previdenziale vi sono misure che muovono da una concezione astratta: gli adulti, ad esempio, saranno penalizzati duramente nell’immediato e i giovani non avranno adeguate opportunità. Tutto l’opposto di quanto sostiene il ministro Fornero.
Guardando alla condizione concreta delle persone dalla quale bisogna sempre partire, il governo Berlusconi e il mio ministero avevano scelto di proteggere molto il reddito degli adulti e di offrire opportunità ai giovani. Uso una metafora: la risposta appropriata alla condizione dei giovani consiste nel mettere a disposizione le canne per pescare, non i pesci. Per gli adulti, non possiamo prescindere dai pesci. Poi, dobbiamo dare opportunità a chi ha più di 65 anni e in particolare le donne che sono le più esposte alla ‘rottamazione’ precoce nel mercato del lavoro.
Faccia un esempio.
E’ per questo che da ministro del Welfare ho voluto una gradualità nell’omologazione dell’età pensionabile tra uomini e donne. In altri termini, ho guardato alla società e ho visto che una donna di 56 anni è a rischio uscita dal mercato del lavoro o, spesso, ne sta già uscendo perché è la prima vittima degli effetti della crisi. Oggi, con questa riforma previdenziale facciamo attendere circa dieci anni quella stessa donna che prima, poteva andare in pensione tra quattro-cinque anni e la facciamo attendere un tempo altrettanto lungo magari in una situazione di disoccupazione che immediatamente genera una condizione di profondo disagio sociale. Nella gerarchia dei problemi da affrontare, a mio avviso questo viene prima della indicizzazione delle pensioni, perché una donna sola, magari senza reddito, non può contare su alcun ammortizzatore che la sostenga. Per non parlare del caso in cui la stessa persona abbia un disabile da accudire.
Il governo Berlusconi aveva stanziato 32 miliardi per gli ammortizzatori sociali facendo un grosso investimento sulla difesa del reddito. Cosa succede adesso?
Intanto dobbiamo sempre chiederci quali sono le conseguenze quando si assume una decisione. In secondo luogo dobbiamo sempre tenere ben presenti tre criteri molto concreti: le fasce di persone, l’età delle persone e il territorio. Abbiamo puntato sugli ammortizzatori sociali in una condizione di grave emergenza determinata dalla crisi e abbiamo compreso che le aziende avrebbero gradito tenere – pur in un contesto difficile – le persone fidelizzate e meritevoli. Quindi, non un vincolo ma un’opportunità per mantenere intatto il loro capitale umano.
In che modo il Pdl intende portare avanti in parlamento la sua riforma del Welfare?
Il Pdl deve avere una forte iniziativa verso gli attori sociali, quella diffusa realtà di associazioni rappresentative della società che, lungi dall’essere perfette, oggi rischiano di essere spazzati via da una sorta di onda di giacobinismo che potrebbe essere accettata dalla comunità.
In che senso?
Nel senso che nella speranza di salvezza dal baratro, i corpi intermedi potrebbero essere visti come agenti di conservazione. Io penso che occorre sollecitare in loro la propensione ai cambiamenti, ad affrontare anche i pericoli dell’impopolarità assumendo obiettivi che se vengono conseguiti, potrebbero portare giovamento alla società.
Qual è la misura per la quale insieme al suo partito si batterà e che nei prossimi mesi vorrebbe vedere approvata dal parlamento?
Credo che dovremmo ripensare lo scalone per le donne, fermo restando l’obiettivo dell’equiparazione. In altre parole, immaginare percorsi graduali per le donne e parlo delle pensioni di vecchiaia.
Torniamo al mercato del lavoro. Articolo 18, che succede secondo lei?
Il governo potrebbe utilmente applicarsi nel chiedere alle parti sociali se intendano riconoscere l’articolo 8 laddove si prevede che esse possano, con accordi aziendali, modificare l’articolo 18. Credo che si dovrebbe ripartire da qui.