No, caro Mauro, democrazia e religione non sono duellanti ma alleate

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No, caro Mauro, democrazia e religione non sono duellanti ma alleate

27 Ottobre 2007

Due giorni fa, in un durissimo editoriale pubblicato sulla prima pagina del quotidiano da lui diretto, Ezio Mauro attaccava il Segretario di Stato Vaticano S.E. Tarcisio Bertone per la sua reazione all’inchiesta condotta per Repubblica da Curzio Maltese sui costi della Chiesa per lo Stato italiano. “Finiamola”, aveva detto il Cardinale. E, lo confessiamo, quella risposta, quanto meno per lo stile, non era parsa la più appropriata neanche a noi, che pure con Curzio Maltese e con il suo quotidiano abbiamo avuto, abbiamo e certamente avremo ancora più d’una ragione di dissenso. Non ci è piaciuta, però, neppure la replica del direttore della Repubblica e, in questo caso, la sostanza ha oscurato anche la forma, certamente non impeccabile.

Oggi, a freddo, proviamo a chiarire, innanzi tutto a noi stessi, le ragioni di un fastidio epidermico al cospetto di quella polemica. Ci siamo chiesti, innanzitutto: può un’istituzione secolare come la Chiesa cattolica essere oggetto di critiche, servizi giornalistici, rappresentazioni più o meno parziali o orientate? Sì, può. Ed è legittimo che un giornalista eserciti la propria libertà di espressione in dissenso rispetto alle norme e convenzioni che regolano i rapporti materiali ed economici tra la Chiesa stessa e lo Stato italiano? E’ indubbiamente legittimo.

E’ tanto legittimo quanto lecito, almeno per il comune lettore, perdere le staffe di fronte alla rappresentazione dominante ai giorni nostri di una Chiesa fatta di evasori fiscali, pedofili, scialacquatori di denaro pubblico, insabbiatori e santi truffatori che comprano sostanze chimiche per farsi venire false stimmate. Ancor prima che falsa, questa rappresentazione è giornalisticamente rozza. Incapace di rappresentare la realtà di un’istituzione imperfetta, come tutte le cose terrene, essa finisce per obliare ad esempio – tanto per fermarsi all’aspetto economico-secolare della disputa – la preziosa funzione suppletiva che la Chiesa svolge rispetto alle politiche sociali e di sostegno ai più deboli, evidentemente insufficienti da parte delle istituzioni pubbliche. O, spostandoci su un altro piano, alla coraggiosa presenza dei cristiani nelle aree più calde della Terra, dove non di rado la testimonianza si fa martirio.

Ma non è questo il punto o, quanto meno, non è soltanto questo. Lo ribadiamo: replicare con fermezza, e magari con un po’ di garbo, da parte di Ezio Mauro non sarebbe stata una sgrammaticatura. Ma il direttore dei Repubblica nell’ultima frase del suo intervento scopre il suo vero intento, che va ben al di là dall’evidenziare gli aspetti formalmente non impeccabili del suo interlocutore. Lo fa laddove – dopo aver ricordato a Bertone gli obblighi che la partecipazione al discorso pubblico comporta – riconduce quanto accaduto alla presunta “sfida perenne e contemporanea tra democrazia e religione”.

No, caro Mauro, a questo punto non comprendiamo più. Democrazia e religione, infatti, non sono duellanti ma alleate. Tocqueville ci ha spiegato in tempi non sospetti quanto sia difficile per una democrazia reggersi in piedi senza la religione. E i regimi totalitari del Novecento,  che hanno posto la distruzione della religione rivelata tra le loro priorità, ce ne hanno fornito la prova.

E’ certamente vero che quest’alleanza necessaria, alla prova della storia, non sempre si è inverata con chiarezza. Ma è altrettanto vero che neppure il più accanito fra i suoi critici può fare a meno di riconoscere che la stessa Chiesa abbia saputo spesso trovare le parole e i modi per scusarsi. E poi, restando sul terreno della storia, che religione e democrazia non siano contrapposte in una sfida perenne, in Italia è ben chiaro almeno dal radiomessaggio del 1942. Se fosse ancora in vita, ad obiettarlo ad Ezio Mauro ci avrebbe pensato, probabilmente prima di noi, il suo collaboratore Pietro Scoppola.