No, non può finire tutto nel pantano di un governicchio. Subito al voto
10 Novembre 2011
No, non può finire così. Nelle sabbie mobili della tecnocrazia vestita da politica e propagandata come unica medicina per la cura-Italia (cura da cavallo). Dai poteri forti nostrani con la benedizione di via Solferino e da quelli di un’Europa (politica) mai nata e oggi in mano ai Merkozy.
Non può finire così, con la politica che si piega agli pseudo-messìa di turno, che abdica al suo ruolo e si fa prigioniera nel recinto di una presenza che sarà solo una residua, marginale testimonianza. Uno zuccherino per addolcire l’amaro che ci aspetta. O peggio, costretta alla complicità di chi in nome e per conto delle strombazzate qualità ‘salvifiche’ di un esecutivo tecnico-politico (ma dove si è visto mai?) sospende, congela, sterilizza la libertà di scegliere degli elettori. Un frullatore dove si dosa tutto e il suo contrario col misurino di un compromesso al ribasso per i partiti che ci staranno. Lo schema accreditato in queste ore dice già molte cose. Ci stanno scommettendo in tanti, a destra come a sinistra, proprio nel giorno in cui il Prof. Monti, ancor prima di ricevere l’incarico, parla già da premier (“l’Italia ha un lavoro enorme da fare”) e in serata sale al Colle da Napolitano: Gianni Letta (Pdl) ed Enrico Letta (Pd) vicepremier, Saccomanni (dunque Draghi) all’Economia, Giuliano Amato (sic) all’Interno, Pietro Ichino al Welfare, Bini Smaghi alle Attività Produttive (guarda caso proprio oggi ha annunciato che lascerà il board della Bce per un incarico ad Harvard ma c’è da ritenere che invece del volo per gli Usa prenderà quello per Roma). Ancora: Frattini, Gelmini, Nitto Palma. Ci manca solo ‘cappuccetto rosso’ e ‘cenerentola’…
No, non può finire così. E Berlusconi non può consegnare a Bersani e Casini il bipolarismo, ancorchè imperfetto, una delle grandi innovazioni della politica post-tangentopoli, forse l’unica vera ‘rivoluzione liberale’ compiuta in vent’anni di berlusconismo. Quella che più di altre resterà agli atti della seconda Repubblica che oggi sta per scolorire in un qualcosa di informe e innaturale, riportando il paese indietro di trent’anni. Perché dopo il governo Monti, niente sarà più come prima.
C’è di più: se il Pdl accetterà di sostenere una roba del genere, si condannerà a una dissoluzione pressoché certa. Indubbiamente, il governo Monti può nascere col placet del Pdl (quello ufficiale non i suoi derivati già pronti a fare gruppi parlamentari autonomi per santificarne la nascita) solo se c’è un accordo bipartisan sulle cose da fare, cioè applicazione alla lettera della lettera Ue-Bce-Fmi, ma rischia di doverci stare pagando un prezzo troppo alto.
Da un lato pagherà il ‘peso’ di misure lacrime e sangue che i tecnocrati di turno faranno digerire al paese magari con un supplemento di rigore, rigore, rigore, sventolando lo spettro del default (come da giorni stanno sostenendo i soloni benpensanti dei salotti che contano, compreso il ‘cerchio magico’ confindustriale) e propalando la super-bufala che l’Italia finirà come la Grecia (puro terrorismo psicologico ma che sull’italiano medio ha un effetto sicuro). Dall’altro, spezzerà per sempre l’asse strategico con la Lega che si è già collocata all’opposizione del governo Monti, col rischio – concreto – non solo di perdere altri pezzi per strada come, ad esempio, buona parte degli ex-An che vogliono elezioni a febbraio e in queste ore minacciano di andarsene per conto proprio.
Ma soprattutto rinuncerà alla sua mission: portare il berlusconismo nel partito dei moderati, in quel Ppe italiano che Berlusconi teorizzò nel ’94 e che oggi Alfano indica come obiettivo sul quale lavorare da qui al 2013. Perché è già chiaro che all’ombra del governo Monti, nei prossimi sei mesi-un anno, Casini si prenderà (gratis) uno ad uno i pidiellini intestandosi la leadership di quel partito pensato e voluto dal Cav. Insomma, una campagna acquisti a costo zero per Pierferdy che in questi vent’anni prima ha beneficiato della stagione berlusconiana, poi l’ha rinnegata e ora se la ritroverebbe addirittura servita su un piatto d’argento come patrimonio elettorale. Che senso ha ipotecare la fiducia di un elettorato che nel berlusconismo ha creduto e continua a credere che possa e debba sopravvivere anche dopo Berlusconi? E nonostante i tanti errori che il Cav. in questi anni ha sicuramente commesso.
No, non può finire così. Molto meglio votare a febbraio. Primo perché niente e nessuno, ancorchè investito di un’aura salvifica, può entrare a Palazzo Chigi senza passare dalle urne (la prima Repubblica è finita anche per i ribaltoni che l’hanno attraversata) ed è giusto che gli elettori dopo due anni e mezzo di governo Berlusconi scelgano liberamente e democraticamente chi dovrà guidare l’Italia nei prossimi mesi e su cosa dovrà farlo.
Secondo, perché è meglio affrontare le ‘forche Caudine’ di un voto che per il centrodestra si tradurrà quasi certamente in una sconfitta, ma che consentirà al Pdl di resettare tutte le incrostazioni, i personalismi, i correntismi che in questi ultimi due anni ne hanno rallentato la spinta propulsiva. Meglio una sconfitta a febbraio ma con la certezza di un partito che ha già consolidato al suo interno una classe dirigente in grado di guardare avanti, pronta a fare una traversata nel deserto e a riorganizzarsi puntando su poche cose ma chiare: meritocrazia, regole, partecipazione, partito dei moderati. Questo è il compito del Pdl, non può essere la vittoria di Casini e di tutto quel mondo catto-comunista che oggi ‘benedice’ il governo Monti.
Certo, la crisi economica impone scelte difficili e le impone adesso. E in questo senso tutti, partiti compresi, sono chiamati a fare la loro parte. In gioco c’è l’Italia. Ma proprio per questo, l’Italia ha il diritto di scegliere. Nelle urne.