Noi al partito unico ci stiamo arrivando, il Pd s’è fermato a metà strada

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Noi al partito unico ci stiamo arrivando, il Pd s’è fermato a metà strada

09 Ottobre 2008

A questo signore toscano di cinquantesette anni Silvio Berlusconi ha affidato le chiavi del partito in un momento storico: la formazione definitiva del Popolo della Libertà. E lui, dottore commercialista cresciuto tra le colline toscane, non si è certo tirato indietro. Forza Italia la vide nascere, l’ha vissuta in una regione difficile e rossa, ed ora che è stato nominato coordinatore nazionale, prendendo il posto che fu di Sandro Bondi, deve traghettare il tutto sulla sponda del Pdl. Un compito impegnativo affascinante e di certo non facile. 

Onorevole Verdini, la definitiva strutturazione della formazione unica è al lavoro, può dirci quale è oggi il grado di maturazione del Pdl?

Insieme agli amici di Alleanza Nazionale e degli altri partiti che hanno scelto di confluire nel Pdl, abbiamo stabilito i tempi di un percorso serrato ed impegnativo, con il gruppo di lavoro per lo Statuto e con il Comitato dei Cento che sovrintenderanno alla fase costitutiva. Dobbiamo ancora decidere la data comune per il Congresso costituente, che si terrà comunque tra gennaio e febbraio del 2009. Il percorso sarà impegnativo perché ci saranno da armonizzare, regione per regione, le reali esigenze territoriali, tenendo conto che il Pdl non dovrà mai essere la semplice sommatoria di Forza Italia e di An, ma dovrà aprirsi sempre di più ad altre forze con l’obiettivo di ricomprendere tutti coloro che non si riconoscono in questa sinistra. Per questo, insieme al coordinatore di An, La Russa, ho invitato tutte le strutture territoriali ad attivarsi, sotto la guida dei coordinatori regionali, per formare in tutte le regioni un coordinamento del Pdl.

Per i piccoli pare che ci sia poco spazio all’orizzonte

Le nuove strutture dovranno rispettare l’intesa stipulata dai partiti prima delle elezioni, cioe’ il 70% a Forza Italia e il 30% ad Alleanza Nazionale. Fermo restando che situazioni particolari regione per regione, potranno, con il nostro consenso, trovare anche diverse intese. Ma ci sarà spazio anche per i partiti o i movimenti minori: chi ha ottenuto eletti, ma anche chi ha una rilevanza territoriale e abbia aderito al Pdl verrà inserito nei coordinamenti regionali, provinciali e comunali, per consentire una rappresentanza ampia di chi, provenendo da esperienze diverse, si riconosce nel nuovo partito.

An, Forza Italia e le altre forze, come la Dc di Rotondi o il movimento di Alessandra Mussolini, avessero, anche prima del terremoto di San Babila, moltissimi punti di incontro, cosa è che vi impegna maggiormente in questa fase: la stesura di un documento unico sui valori del Pdl o la divisione tra quote, percentuali, incarichi tra le diverse anime che sono confluite nel formazione unica?

Partiamo da un presupposto che poi è un fatto compiuto: il Pdl è nato non solo perché lo ha concepito Berlusconi, ma perché è stato battezzato nelle urne il 13 e il 14 aprile da quasi 14 milioni di elettori. Non ha senso continuare a parlare di Fi, di An o di Nuova Dc: siamo tutti Pdl e da qui si deve partire. Certo, ognuno rivendicherà più di quello che verrà ad avere, ma questo rientra nella fisiologia della politica e non mi preoccupa più di tanto, perché alla fine la quadra si trova. Tutti devono sapere che il tempo delle mediazioni estenuanti, degli “stop and go”, dei rinvii perenni e dell’ingovernabilità assurta a regime è finito, appartiene a un passato che non tornerà più. Il Popolo della Libertà è nato per colmare il pericoloso vuoto che si era spalancato sotto la politica italiana, ed è stato l’unica risposta possibile alla confusione e alla frammentazione lasciate in eredità dalla sinistra. E chi ancora oggi parla di questo partito come di una deriva plebiscitaria e populistica, fa una polemica strumentale e sbagliata. Il Pdl è nato infatti nel modo più democratico possibile, cioè dal basso, e non attraverso una fusione a freddo com’è avvenuto a sinistra col Partito Democratico. Il nostro è un partito liberale di massa e nasce dall’incontro della politica con la società civile.

La certezza è che il partito unico già fosse presente da tempo nelle intenzioni degli elettori. L´impressione che se non fosse stato per lo shock del predellino oggi si starebbe ancora in una fase di elaborazione teorica, lontana da quella attuale. Insomma se non fosse per la lucida follia con la quale Berlusconi ha inseguito il progetto non staremmo qui. Concorda?

Berlusconi è un leader straordinario e imprevedibile, che esce fuori da ogni schema politico tradizionale. Ma l’idea del grande partito dei moderati era in gestazione da tempo. A dicembre in piazza San Babila il presidente colse l’attimo giusto per dare un annuncio che da un po’ di tempo in realtà aspettavamo. La raccolta di firme contro il governo Prodi era andata al di là delle aspettative più ottimistiche, con quasi otto milioni di italiani che avevano affollato in tutte le piazze del Paese i gazebo di Forza Italia. Berlusconi capì che non c’era più da aspettare, che quello era il momento più opportuno per sparigliare il tavolo della vecchia politica. La rivoluzione dei gazebo, insomma, era stata il prologo della rivoluzione del predellino. E’ vero: ancora una volta Berlusconi ha visto più avanti di tutti, ma questo non può sorprendere, perché la sua sintonia con il comune sentire degli italiani e con la modernità della politica sono uniche. Come non può sorprendere che la nomenklatura del partito in un primo momento abbia avuto una reazione corporativa, difensiva, perché il nuovo per molti rappresenta sempre un salto nel buio che mette a rischio le rendite di posizione acquisite con anni di impegno e di lavoro. Ma Berlusconi ha il pregio di pensare sempre in grande, e quando si vivono grandi trasformazioni politiche come quella attuale non c’è spazio per piccoli interessi di bottega o per il basso cabotaggio.

Ritiene che la scomparsa delle ali estreme dal Parlamento contribuisca a quel cammino di crescita e maturazione politica che condurrà ad un bipartitismo futuro?

La tanto vituperata legge elettorale in vigore ha prodotto una semplificazione senza precedenti, e dunque si è dimostrato che una legge funziona quando la politica compie scelte coraggiose, com’è avvenuto nell’ultima campagna elettorale. Ritengo che la scomparsa delle ali estreme dal Parlamento non sia una diminuzione di democrazia, ma, molto più semplicemente, l’approdo a una democrazia più moderna e funzionante, sul modello dei grandi Paesi occidentali. E indietro non si torna. Berlusconi ha sempre perseguito due grandi obiettivi: il primo è quello di modernizzare l’Italia, il secondo di creare una democrazia fondata sull’alternanza di governo fra due grandi schieramenti. O meglio, come in Europa, fra un grande partito socialista e un grande partito popolare. La trasformazione dal bipolarismo al bipartitismo è già in atto, e in futuro ci saranno sempre meno spazi per un centrismo terzista che intenda porsi come ago politico della bilancia della politica italiana. Gli elettori hanno fatto scelte chiare grazie anche – bisogna riconoscerlo – all’intuizione di Veltroni, il quale però dovrebbe avere il coraggio di andare avanti e di essere coerente, anziché impaludarsi nelle ambiguità di chi resta a metà del guado. Veltroni, purtroppo, non si sta dimostrando all’altezza della sua intuizione. Non è mio costume occuparmi degli affari altrui, ma è difficile non vedere che nel Partito Democratico, che era nato con l’ambizione di modernizzare la politica, è in atto una sorta di congresso permanente, con le correnti che si moltiplicano e la linea politica che appare sempre più confusa.

Secondo lei nel documento finale del Pdl che ne illustrerà i valori condivisi, l´argomento sull´antifascismo verrà trattato o , dopo il giudizio di Fini, lo si considererà superfluo? Glielo chiedo perché c´è un rischio: se non lo si inserisce si presta il fianco a critiche da sinistra, se lo si mette potrebbe esserci più di un mal di pancia tra gli storici militanti di Alleanza Nazionale.

Il Pdl è un partito che guarda al futuro e si riconosce nelle radici del Partito Popolare Europeo, che dopo l’ingresso di Forza Italia ha allargato i suoi confini di polo moderato del Vecchio Continente con l’inclusione di filoni del pensiero liberale e del laicismo moderato. La missione del Pdl è quella di modernizzare l’Italia, e non c’è dunque spazio per le nostalgie. D’altra parte, il presidente Fini ha ripetuto, anche recentemente, parole chiare e inequivocabili: "La destra politica italiana e a maggior ragione i giovani devono senza ambiguità dire alto e forte che si riconoscono in alcuni valori della nostra Costituzione, come libertà, uguaglianza e solidarietà o giustizia sociale. Sono tre valori che hanno guidato il cammino politico e ribadire che la destra vi si riconosce è un atto doveroso. Se in Italia non è stato così agevole, è perché non c’è stata una destra in grado di dire che ci riconosciamo in pieno nei valori antifascisti".  Chi è democratico e si riconosce nei valori della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale è dunque anche antifascista. E poi ha giustamente aggiunto che essere antifascista non significa automaticamente essere democratico, perché in Italia c’è stato un antifascismo comunista che per anni ha lavorato per instaurare anche in Italia la dittatura del proletariato. Ma, ripeto, il Pdl è nato per guardare avanti, ed è assolutamente chiaro che la condanna di tutti i totalitarismi, e quindi anche l’antifascismo, fanno parte integrante del suo Dna.

Gli elettori erano più avanti dei politici perché manifestavano la volontà di un partito unico di centrodestra da tempo. Poi dirigenti nazionali ed eletti alla Camera e Senato hanno seguito il loro volere. Ora ci sono da affrontare gli oltre ottomila gruppi comunali, i cento provinciali con relativi coordinatori. Il suo collega Gasparri l´ha definita " una prevedibile fatica necessaria".

Definizione direi perfetta. Dovremo lavorare molto, ma questo non ci spaventa. Partiamo da un dato di fondo: la democrazia esistente nei partiti oggi è molto diversa da quella della Prima Repubblica, in cui c’erano le correnti organizzate, che si correlavano alle preferenze e che avevano un rigido sistema finanziario. Il Pdl è nato per superare definitivamente proprio il sistema delle correnti, e in entrambi i principali partiti che lo costituiscono c’è una fortissima vocazione presidenzialista. Certo, l’operazione più complessa che va compiuta è quella di unificare le strutture politico-partitiche a livello territoriale. Ma molto è già stato costruito nel passato. Forza Italia, ad esempio, al di là di quello che si racconta ha fatto 4000 congressi, eleggendo i propri coordinatori e delegando al presidente le nomine regionali. Anche An è un partito che si riconosce nella forte leadership di Fini. Nascendo su queste basi, dunque, il Pdl e il suo statuto non possono che ricalcare il modello presidenziale, che è la forma della democrazia moderna. E la svolta verso la modernità è arrivata con le elezioni del 13 e 14 aprile che hanno segnato una svolta profonda nel Paese. Per due ordini di motivi. Il primo è ovviamente rappresentato dalle dimensioni del successo del Pdl e della Lega. Il secondo è dato dall’affermazione nettissima di un bipolarismo semplificato, che è stata la vera novità di questa elezione. Due fenomeni che una classe dirigente avveduta deve favorire e potenziare, superando difficoltà e contingenze che non possono frenare una svolta politica che cambierà nel profondo la storia del Paese.