Nome giusto, svolta inevitabile
03 Dicembre 2007
di Enzo Sara
Ok, il nome è giusto. Chi
guarda con interesse, speranza e convinzione alla recente svolta e alla nuova
iniziativa di Silvio Berlusconi non può che accogliere con soddisfazione
l’orientamento (emerso ai gazebo durante il weekend) di definire “Popolo
della Libertà” il nascente soggetto politico. Per un cumulo di ragioni. La
prima, non necessariamente in ordine di importanza, è che inserire la parola
“partito” nella denominazione e nel logo darebbe l’impressione di un
piccolo passo indietro rispetto a quel dirompente, avveniristico e perfino
azzardato “Forza Italia”, che fu scelto nel ‘ 94 e che negli anni
successivi ha funzionato al di là di ogni più rosea previsione.
Ma c’è un altro aspetto, solo
all’apparenza secondario, di cui tenere conto. Il marchio “Popolo
della Libertà” porta con sé la conseguenza inevitabile e quasi automatica
di definirne – nella forma discorsiva e nelle sintesi giornalistiche – i
parlamentari e i militanti come “popolari per la Libertà”, il che ha
un effetto positivo di non trascurabile rilievo. La nuova forza politica
berlusconiana, infatti, si porrà immediatamente in posizione di vantaggio
rispetto al Pd veltroniano: mentre quest’ultimo appare destinato sullo scenario
europeo a confluire presto o tardi nel PSE eppure non può farlo senza scatenare
malumori nell’elettorato post-democristiano (con i conseguenti rischi di
smottamenti ed erosioni), il movimento guidato dal Cavaliere conferma e
rafforza fin da subito la propria adesione al PPE e la propria
naturale collocazione a livello europeo. Senza alcun rischio, peraltro, che
quel richiamo al popolarismo assuma un sapore troppo forte ed esclusivo di
“vecchia Dc”, perché sarebbe accompagnato e bilanciato dal riferimento
al liberalismo.
E qui giungiamo a quello che è
forse il motivo fondamentale per cui il nome “Popolo della Libertà”
si lascia preferire e si mostra il più appropriato. Nel solco dell’esperienza
di Forza Italia, recependo e ampliando proprio quella straordinaria intuizione,
Berlusconi può-vuole-deve privilegiare il rapporto diretto con i cittadini
anteponendolo alle trattative e alle mediazioni con i partiti. Come e più che
nel ‘ 94, in altri termini, si dà vita e si propone sul panorama politico nazionale
un’idea di rinnovamento e un grande contenitore in grado di raccogliere e
comprendere elettori cattolici, liberali, conservatori, socialisti,
post-missini.
Un’annotazione, a questo
proposito, s’ impone. Contrariamente a quanto troppo spesso sembra emergere
dalle cronache politiche e da certe prese di posizione di questi giorni,
la “rivoluzione del predellino” non è stata una trovata estemporanea
di Berlusconi o una sorta di dispetto agli alleati. Al contrario, il leader di
Arcore si è visto costretto a forzare la mano e ad accelerare i tempi
della svolta proprio in considerazione dell’atteggiamento assunto da altri
partiti. Quell’Udc che un anno fa si chiamò fuori dalla manifestazione del
popolo di centrodestra in piazza San Giovanni e poi si smarcò
progressivamente dalla Casa delle Libertà non può, ora, ergersi a vittima del
reato di lesa unità. E quel Fini che, all’indomani della presunta
“spallata fallita”, indirizzava al Corriere della Sera una lettera
con cui si avviava una sorta di processo politico e di attacco alla leadership
di Berlusconi non può, adesso, sentirsi credibile quando rimprovera al
Cavaliere di aver voluto disgregare la coalizione.
La verità è che tutti, su un
versante e sull’altro, sono stati ancora una volta spiazzati dalla mossa
scaltra e audace di Berlusconi. Il quale, non a caso, si ritrova più che
mai al centro della scena politica. E ci resterà, con qualunque legge
elettorale si vada al voto per le prossime politiche. Prevarrà il Vassallum o
comunque il modello scaturito dall’accordo tentato in questi giorni? Berlusconi
svolgerà un ruolo fondamentale, avendo chance più che concrete di vedere il suo
Popolo delle Libertà come partito di maggioranza relativa. Si andrà al
referendum e quindi all’assegnazione del premio di maggioranza assegnato al
primo partito della coalizione vincente? Berlusconi sarà in posizione di forza,
anche nell’ambito di questa ottica. Il governo cadrà prima e si voterà con
l’attuale sistema? Berlusconi resterà – in assenza di sue scelte di segno diverso
– il naturale candidato premier per un centrodestra che non avrà
alternative e dovrà adeguarsi alla ferrea logica dei numeri e del peso
elettorale di ciascun partito. Sembra, dunque, difficile confutare che, anche
in una contingenza difficile e dopo una battaglia persa in Parlamento, il
Cavaliere si sia confermato leader di razza o comunque protagonista autentico
in mezzo a troppi comprimari.