Non basta applaudire i successi di Monti, la politica faccia le riforme istituzionali

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Non basta applaudire i successi di Monti, la politica faccia le riforme istituzionali

27 Febbraio 2012

Ha ragione Giuliano Ferrara (cfr. il suo articolo "Ecco il grande sbaglio della sinistra sul Cav.", Il Giornale – 26 febbraio 2012), per spiegare la ragione dell’appoggio sempre più convinto che Berlusconi sta dando al governo tecnico presieduto da Monti servono a poco le dietrologie giudiziarie (come piace ai gossippari politically correct di Repubblica), ma occorre guardare alla sostanza politica delle cose. Il governo Monti è riuscito a fare la riforma delle pensioni che il primo governo Berlusconi aveva proposto nell’oramai lontano 1994 e che fu affossata dalla manovra di accerchiamento congiunta dei sindacati, della sinistra trogloditica e della Lega di Bossi (che in quanto a trogloditismo può dare lezioni a tutti).

Adesso il ministro Fornero si accinge a varare quella riforma del mercato del lavoro che il secondo governo Berlusconi aveva messo in agenda nel 2001, e che per tutto il corso della XIV legislatura fu al centro di un estenuante e infruttuoso braccio di ferro. In sostanza, l’apprezzamento che l’imprenditore milanese manifesta in modo netto nei confronti dell’esecutivo Monti si spiega anzitutto con il vedere finalmente realizzati alcuni obiettivi importanti. Obiettivi che costituivano parte programmatica sostanziale della sua discesa in campo: misure di ammodernamento dell’economia in grado di far crescere il paese sotto il profilo politico e anche sotto quello civile. Misure, vale la pena di ricordarlo, che non appartengono all’ideologia ultraliberista (la si chiami "mercatista" o "anarcocapitalista") ma che si ascrivono più pianamente al buon senso liberale.

Fissato questo quadro generale, occorre svolgere un altro pezzo di ragionamento, senza soffermarsi, come fa Ferrara, sui ritardi culturali della sinistra. Su quel versante politico, infatti, i danni provocati dall’egemonia del salottismo radical-chic sono troppo evidenti per ogni ulteriore commento. Occorre chiedersi, invece, perché le riforme liberali di buon senso non siano state realizzate da governi legittimati direttamente dal voto popolare (e forti di non trascurabili maggioranze in parlamento), ma vengano fatte da un esecutivo tecnico, di emanazione presidenziale (sostenuto in parlamento da una maggioranza di emergenza nazionale). Schematizzando al massimo la questione, di questa curiosa circostanza sono possibili due linee di lettura. Una prima scuola di pensiero riporta l’insuccesso dei governi elettivi a una ragione che possiamo definire antropologica. L’italiano è l’uomo del Guicciardini, chiuso egoisticamente nell’orizzonte ristretto del proprio "particulare", incapace di farsi carico dell’interesse comune. Da questo difetto genetico deriverebbe il carattere selvaggiamente corporativo della nostra società e la sua strutturale impossibilità ad essere gestita con mezzi ordinari e con procedure democratiche. In una simile situazione culturale e sociale dover raccogliere il consenso significa condannarsi all’immobilità.

Una seconda scuola di pensiero riporta l’insuccesso dei governi elettivi a un fattore istituzionale. Gli esecutivi legittimati dal voto popolare non dispongono dei mezzi costituzionali adeguati per perseguire gli obiettivi che si sono dati. Il loro insuccesso, perciò, non dipende da un’insufficienza genetica della pianta umana italica, ma dal non aver predisposto le necessarie modifiche a una costituzione nata in un’altra epoca storica e afflitta da una sindrome perfettamente comprensibile in un paese appena uscito da una dittatura: il cosiddetto complesso del tiranno. Personalmente, pur non sottovalutando la vischiosità del tessuto connettivo della società italiana, propendo per questa seconda spiegazione.

Se le cose stanno così, però, non basta compiacersi dei successi programmatici del governo in carica, ma occorre darsi da fare per realizzare quel minimo di revisione istituzionale (regolamenti parlamentari, poteri del premier, superamento del bicameralismo simmetrico) che tornerà utile in futuro quando, passata l’emergenza, si dovrà necessariamente tornare alle procedure democratiche.