Non basta essere poveri per occupare una casa
01 Ottobre 2007
“La proprietà
privata è un furto! L’espropriazione di beni altrui da parte di chi ne ha
bisogno è legittima!”. Erano ormai anni che dalla discussione pubblica del
nostro Paese mancavano affermazioni simili, che pure hanno allietato alcune
delle migliori menti degli anni sessanta e settanta. E francamente cominciavamo
a sentire un po’ di nostalgia. Diamine se i comunisti veri, quelli duri e puri,
si estinguono rischiamo di annoiarci. Polemizzare con i teorici del glorioso
nascituro Partito democratico va bene, ma scazzarsi con un marxista-leninista, quartinternazionalista è tutta un’altra cosa.
Per fortuna però ci ha pensato la Cassazione che con
una sentenza un po’ a sorpresa ha rimesso in circolo, con tanto di patente di
legittimità giuridica, la tesi dell’esproprio come strumento di risarcimento
sociale. La tesi della Suprema Corte è semplice, affascinante quanto
tecnicamente sbagliata e politicamente aberrante. La Corte ha assolto
dal reato di occupazione abusiva una signora che si era insediata in un
immobile dello IACP. Ad avviso della Corte lo stato di indigenza
dell’occupante, la mancanza della disponibilità di un altro alloggio, il
diritto costituzionale ad un’abitazione, integrano gli estremi dello stato di
necessità che, codice penale alla mano, costituisce causa di giustificazione in
caso di commissione di fatti che, altrimenti costituirebbero un reato. In
realtà come gli studenti di giurisprudenza studiano al secondo anno del corso
di laurea, lo stato di necessità rilevante come scriminante penale è costituito
da un pericolo grave, attuale e non altrimenti evitabile. Se rubo una macchina
per sfuggire ad un’aggressione di malviventi non sono punibile, se rubo una
macchina perché ne ho bisogno e non ho i soldi per comprarla commetto puramente
e semplicemente un furto anche se il diritto alla circolazione è un diritto
fondamentale quanto quello all’abitazione!.
Del resto
ammettere che lo stato di indigenza, l’estremo stato di bisogno possa di per sé
integrare lo stato di necessità che rende fatti di reato non punibili
porterebbe a conseguenze aberranti. Sarebbero legittimi, purché commessi da
soggetti in tale stato, non solo atti di occupazioni abusive ma anche tutti gli
altri reati a scopo economico: furti, rapine, estorsioni, rapimenti … Ma naturalmente
la Corte ama giocare con la rivoluzione ma non ha il coraggio di percorrere
fino in fondo la strada intrapresa. E così si limita a mandare assolto
l’occupante di una casa di un ente pubblico, quasi a voler attenuare le
conseguenze della propria decisione. In realtà dal punto di vista astratto la
fattispecie, nella prospettiva della giustizia liberale, è ancora più grave:
occupare abusivamente un alloggio popolare vuol dire sottrarlo a qualcuno che
probabilmente ne aveva maggiore titolo. Più che di risarcimento sociale si
tratta piuttosto di una guerra fra poveri, nella quale vince quello più scaltro
e più violento.
Nel comune
sentire però il caso crea meno scalpore; si fosse trattato di un immobile di
proprietà di un privato cittadino forse nemmeno il ministro Ferrero avrebbe
avuto il coraggio di applaudire. La ragione di questa diversa sensibilità non è
del tutto chiara. Forse siamo così abituati alla cattiva gestione del
patrimonio immobiliare pubblico (affittopoli e svendopoli a parte) che un’occupazione
abusiva di un alloggio popolare non ci sembra poi così grave. O forse, ma
questo sarebbe troppo bello dal punto di vista di un liberale, siamo ormai
tutti convinti che (ribaltando Marx) la proprietà pubblica sia un furto e
pertanto riteniamo l’occupazione abusiva di un immobile pubblico sia un atto di
risarcimento della società civile, depredata da un onnivoro Stato fiscale e
proprietario.