Non c’è riforma sul welfare che tenga senza giustizia del lavoro

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Non c’è riforma sul welfare che tenga senza giustizia del lavoro

Sul protocollo Welfare la maggioranza ed il Governo
sono riusciti ad offrire il peggior spettacolo di se stessi, dal
chiacchieratissimo referendum sindacale, alle promesse disattese un po’ in
tutte le direzioni, sino al voto di fiducia per tentare di non aprire
l’ennesima crisi politica.

Ha avuto la meglio Dini
secondo molti, perché il testo finale dell’accordo rispecchia in sostanza
quello della prima stesura e così i centristi di area liberaldemocratica,
avrebbero dimostrato di essere in grado di resistere all’urto della sinistra
radicale.

In realtà il peso delle
proteste di Rifondazione Comunista, Sinistra Democratica, Socialisti e
Comunisti Italiani ha lasciato segni profondissimi sul tenore del provvedimento
sottoposto al Parlamento e se adesso la così detta Cosa Rossa continua a
lamentarsi è solo perché non ha intenzione di far dimenticare nemmeno per un
istante alla compagine di Governo che il suo sostegno è assolutamente
indispensabile per tirare avanti. In sostanza la sinistra radicale non fa altro
che aprirsi la strada ai futuri condizionamenti che imporrà a questo Esecutivo
fino a quando starà in piedi.

Di certo dall’intera vicenda
esce, se possibile, ancora più indebolita la figura del Premier. Non passa giorno infatti in cui Romano Prodi, già
esautorato dagli incontri di Veltroni con i vari capi partito di destra e
sinistra, non debba incassare durissimi colpi dai propri alleati. Ora è il
turno dei Socialisti, che dopo Dini, Mastella e Giordano, hanno a loro volto
avvertito di avere le mani libere,%0D
perché il Governo avrebbe disatteso la promessa di introdurre una misura sulla flex security, cioè di prevedere
un’indennità di disoccupazione per i giovani precari.

La cosa più sconcertante è che
mentre la maggioranza esibisce tutta la sua litigiosità su uno dei temi centrali
dell’intera azione di Governo, non trova il tempo per riflettere su una
circostanza assolutamente fondamentale: l’attuale stato di dissesto in cui
versa il sistema del processo del lavoro rende del tutto inutile qualsiasi
riforma sul welfare, a prescindere da
quali siano i suoi effettivi contenuti.

A cosa serve infatti prevedere
per il lavoratore dei nuovi diritti, quale che sia la loro portata, se in
Italia non esiste una Giustizia che gli permetta poi di vederseli riconosciuti?

Immaginiamo una situazione
molto ricorrente, in grado di mettere d’accordo addirittura Dini e Bordon con
Giordano e Migliore: quella di un call
center
che assume i suoi dipendenti come co.co.pro.

In realtà è chiaro che si
tratta di un rapporto di lavoro subordinato, ma con questo espediente il datore
di lavoro riesce senza problemi ad evitare di dover riconoscere al lavoratore
tutta una serie di dispendiose tutele.

Al dipendente ingiustamente
licenziato, che volesse effettivamente conseguire ciò che gli spetta non
resterebbe che proporre un ricorso al Giudice del Lavoro, che tuttavia, nella
stragrande maggioranza dei Tribunali Italiani, fisserebbe la prima udienza dopo
non meno di sette mesi.

Il giudizio proseguirebbe poi
con almeno altre tre udienze istruttorie, per ascoltare i testimoni,
distanziate l’una dall’atra ancora una volta di almeno sette mesi. Il Giudice
rinvierebbe poi la causa per la discussione e, in questo caso, i mesi da
attendere quasi raddoppiano, perché ne passano circa tredici prima di poter
esporre le conclusioni al Tribunale.

In totale, dal ricorso alla
sentenza, nella migliore delle ipotesi trascorrono non meno di quarantuno mesi,
cioè circa tre anni e mezzo e nel frattempo il lavoratore, dipendente o
co.co.pro. che sia, sopporta i costi del giudizio, senza più il posto di lavoro
e con le ben note difficoltà dei nostri tempi a trovarne un altro.

Se riesce a passare attraverso
questa estenuante battaglia, il lavoratore otterrà probabilmente un
risarcimento o magari riavrà il proprio posto di lavoro, a meno che il call center , come spesso accade, nel
frattempo non sia stato chiuso o sia andato fallito.

Ma dove può trovare un
cittadino le risorse per affrontare un percorso del genere? Come può riuscire a
sopravvivere ai tempi biblici della sua causa, dopo aver perso anche il suo
stipendio?

In realtà il processo del
lavoro in Italia è lo specchio di come il servizio Giustizia sia negato ai
cittadini, perché lo Stato non riesce a fornire ai soggetti più deboli nemmeno
il livello minimo di tutela di cui hanno bisogno.

Per quale motivo allora i
partiti della maggioranza sembrano così accaniti nel portare avanti le loro
battaglie sul welfare?

La sensazione è che lo facciano solo per ingannare i
propri elettori, perché sanno benissimo che al lavoratore non serve a nulla
vedersi riconosciuto un diritto se poi, per farlo valere in giudizio, dovrà
affrontare un processo che gli porterà via la dignità.