Non c’è solo l’islamismo nella vittoria di Gul, ma anche il nazionalismo estremista

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Non c’è solo l’islamismo nella vittoria di Gul, ma anche il nazionalismo estremista

30 Agosto 2007

Ankara, 28 agosto 2006. Abdullah Gul, 57 anni, economista di talento e uomo politico di esperienza, vicepremier e ministro degli Esteri del governo Erdogan, è eletto dal parlamento undicesimo presidente della Repubblica di Turchia. Dopo il successo personale ottenuto alle ultime elezioni politiche, Erdogan mette a segno un’altra importante vittoria, riuscendo ad avere la meglio nel braccio di ferro da tempo in atto contro le forze armate e laiche del Paese. Già nella precedente legislatura, Gul era stato proposto dall’Akp alla presidenza, ma il suo cammino verso il Quirinale turco era stato bloccato dall’intervento della Corte costituzionale, che ha ritenuto allora mancante in parlamento il quorum costitutivo richiesto per l’elezione. I deputati del Chp, infatti, optarono per una scelta aventina, mentre la piazza manifestava contro il premier. Costretto a indire consultazioni elettorali anticipate, Erdogan, forte del successo elettorale ottenuto, ha riproposto il nome di Gul, tentando di conquistare anche la più alta carica dello Stato. Dopo le due fumate nere del 20 e del 24 agosto, in cui il candidato dell’Akp ha raccolto rispettivamente 341 e 337 voti, non sufficienti perché necessari i due terzi dei voti parlamentari, il premier è finalmente riuscito nel suo intento. Con 339 voti Gul ha infatti superato abbondantemente la maggioranza semplice richiesta per il terzo scrutinio. Nel palazzo di Ataturk, padre della patria e fervido sostenitore della laicità dello Stato, Gul sarà il primo uomo islamico e sua moglie, Hayrunissa, la prima first lady velata. 

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Il presidente della Commissione europea, Barroso, si è congratulato con il neo capo dello Stato turco, definendo la sua elezione “una opportunità per un impeto nuovo e immediato al processo di adesione all’Ue, attraverso il progresso in vari settori chiave”. Apprezzamenti in tal senso sono stati espressi da molti leader europei, tra cui Romano Prodi e Angela Merkel. Dopo le bocciature dell’ex presidente, Sezer, di vari progetti di riforma, soprattutto in ambito economico, certamente l’Akp avrà un percorso più facile da seguire nell’ammodernamento dello Stato, ma parlare già di adesione all’Europa è prematuro. Le Forze armate turche non hanno presenziato al giuramento e alla vigilia dell’elezione, il capo di Stato maggiore dell’esercito, generale Yasar Buyukanit, ha dichiarato battaglia, ribadendo il suo compito “di proteggere e vegliare sulla democrazia”. Per Gul, che è Capo supremo delle Forze armate, non è un buon inizio, soprattutto se si considera la particolare forza dell’esercito turco, secondo per grandezza nell’Alleanza Atlantica e fautore, negli ultimi 40 anni, di ben quattro colpi di Stato. L’ultimo (28 febbraio 1997), definito postmoderno perché sostituiva all’intervento diretto una denigratoria campagna mediatica, ha mandato a casa il governo dell’islamista Necmettin Erbakan, del quale lo stesso Gul faceva parte.

Abdullah Gul è diffusamente considerato un abile uomo politico, un equilibrista, capace di barcamenarsi tra fede islamica e mondo occidentale, tra Stati Uniti e Iran, tra velo e laicità, e non è un caso che la moglie velata non fosse presente al suo giuramento. Tuttavia, i numeri della sua elezione parlano chiaro. Pur essendo stato eletto coi soli voti del suo partito, Gul è oggi in debito con l’estrema destra nazionalista del Mhp di Devlet Bahceli. Assente nella precedente legislatura, il Mhp, considerato vicino ai Lupi Grigi, ha votato nei due primi turni un proprio candidato di bandiera, ma con la sua semplice presenza in aula ha garantito a Gul che ci fosse il numero legale. Quello stesso numero legale che nelle elezioni di aprile e maggio era stato considerato mancante dalla Corte costituzionale. In questo modo l’asse politico che sorregge l’esecutivo risulta più spostato verso posizioni integraliste, sebbene durante il giuramento di fedeltà alla Repubblica laica e democratica di Turchia, Gul abbia dichiarato: “Difenderò tutti i principi della costituzione, inclusa la laicità che è anche una regola necessaria per la pace sociale”.

L’avvento del Gul liberista in economia è certamente un buon segnale per lo sviluppo del paese e per l’ulteriore avvicinamento del sistema economico turco alle economie occidentale. Il passato politico del Gul fondamentalista, militante nel partito del Benessere prima e della Virtù poi, sembra al contrario allontanare la Turchia dalla laicità degli Stati occidentali. Il pericolo è ancora maggiore alla luce della nuova alleanza politica stretta con il partito del Mhp.