Non c’è solo Rignano:  la tragica storia  di don Govoni

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Non c’è solo Rignano: la tragica storia di don Govoni

12 Maggio 2007

Quando si parla di inchieste sulla pedofilia l’errore giudiziario sta diventando la regola più che l’eccezione. Tanto che ormai le vittime si sono organizzate per fare conoscere le proprie terribili storie anche attraverso un sito internet (http://www.falsiabusi.it)  pieno zeppo di documenti in cui vengono fuori gli assurdi metodi di induzione al ricordo dei bambini da parte di assistenti sociali e psicologi.

Per non parlare del conflitto di interessi di molti operatori del settore. Che spesso fanno da consulenti per i pm e contemporaneamente dirigono le varie “case del fanciullo” in cui vengono mandati i figli minori di un genitore accusato a torto o a ragione di pedofilia. E siccome si tratta di strutture convenzionate con la regione, a pagamento, molto lauto per giunta e commisurato a ogni infante ricoverato, ci si può immaginare con che piede partano certe inchieste.

I casi universalmente più famosi furono quelli del pm Forno a Milano che accusò un padre di avere violentato il figlio di un anno basandosi su perizie superficiali sull’ano del ragazzino che poi si scoprì soffrire di un tumore congenito al retto del quale morì. Il padre fu trattato da mostro e sbattuto in galera e ovviamente nessuno lo risarcì come nessun magistrato pagò.  

Ancora prima c’era stato il caso, con risvolti grotteschi, di  Marco Dimitri, accusato di avere avuto riti satanico pedofili con bambini di un anno sulla base della testimonianza di una spogliarellista che cercava di vendere un servizio osè  a un giornale per soli uomini. Caratterizzandosi come la strega dei Castelli Romani. La donna in aula venne in lacrime a dire che si era inventata tutto per farsi pubblicità. Clamoroso anche il caso di quella figlia che si inventò a  otto anni una violenza subita dal padre e che poi chiese la grazia a Ciampi per il proprio genitore ingiustamente calunniato. E’ esperienza di tutti i giorni, tra gli avvocati che si occupano di queste delicate inchieste, che spesso  le madri inducono i figli a denunziare violenze per ottenere l’affidamento in cause di divorzio o separazione. 

La storia  più drammatica fu la vicenda umana di don Giorgio Govoni a Finale Emilia. Govoni era un sacerdote che morì di crepacuore il 19 maggio 2000 dopo anni di indagini che non avevano portato a nulla.

E ogni 19 maggio, dopo quello in cui il cuore del povero don Giorgio Govoni non resse più alle infamanti accuse di essere un pedofilo e un “sacerdote satanico”, tutti i fedeli della Bassa Modenese, da Mirandola, a S. Felice e Finale Emilia, passando per San Biagio e Massa Finalese, celebrano una sorta di festa del santo patrono. E qualcuno ora ne sta già chiedendo la beatificazione.

Una sorta di  martire della giustizia all’italiana.

E delle inchieste sulla pedofilia che spesso portano i pm di provincia in prima pagina. Inchieste ed errori giudiziari tornati alla ribalta dopo i fatti di Rignano Flaminio. Episodi di isterie collettive assecondati dalla magistratura e dagli inquirenti, salvo poi piangere sul latte versato quando si verificano suicidi o morti di crepacuore.

Il caso del sacerdote Giorgio Govoni è stato il precursore di questo tipo di  inchieste. Per chi conosce un po’ il vissuto  di questi paesini del basso modenese, la loro realtà è sempre stata quella di  mondi separati: nel territorio di quattro comuni adiacenti, all’epoca delle accuse di pedofilia contro questo sacerdote, esistevano ben quattro ospedali.

Finale Emilia ha sempre gravitato su Ferrara, possedimento estense, mentre Mirandola, fu a lungo di proprietà della famiglia del famoso Pico. Anche dal punto di vista ecclesiastico, Mirandola e S. Felice – Finale appartengono a diocesi diverse.

Le frequentazioni degli abitanti di Massa Finalese verso Mirandola sono cominciate solo quando, in quel luogo, è stato aperto un supermercato COOP, e quando sono stati accentrati i servizi sanitari a Mirandola.

La vicenda di don Giorgio Govoni nasce in questo contesto: una realtà precedentemente agricola, che, negli anni 60-70, vede un notevole sviluppo anche industriale, con i primi fenomeni di immigrazione e di disagio sociale.

Don Giorgio Govoni aveva passato quasi tutta la sua vita in queste zone ed  era stato per parecchi anni un camionista. Una sorta di moderno prete-operaio che aveva fondato un’associazione di volontariato, chiamata “Il Porto”,  e che si era interessato di centinaia di famiglie in situazioni di disagio. 

Tra esse quella di D. che aveva coinvolto la propria famiglia denunciando il padre per pedofilia.

Nel 1994, don Giorgio Govoni iniziò ad interessarsi della famiglia di D. scontrandosi spesso con i servizi sociali. Questi ultimi gli rimproveravano persino l’aiuto che don Giorgio dava alla famiglia nella gestione della vita quotidiana: sostenevano che la famiglia dovesse gestirsi da sola.

Quando il bambino venne messo in istituto a Reggio Emilia, i volontari di Don Giorgio aiutarono la famiglia sia procurandole un’autovettura, per andare a trovare il figlio, sia per le altre necessità, cibo e alloggio.  Queste circostanze diventano, per il Tribunale di Modena, non opere di carità cristiana ma il compenso alla famiglia per ciò che sarebbe accaduto nei fantomatici “cimiteri” dove si praticavano la pedofilia e il satanismo.

Al Cenacolo Francescano D. rimase per quasi un anno e mezzo, finché si trovò una  famiglia, cui affidarlo.

Il bambino rientrava di tanto in tanto in famiglia e cominciava anche ad essere seguito da una tirocinante psicologa, la dottoressa Valeria Donati, che poi sarà assunta dall’ASL locale. Quando D. iniziò a parlare  di abusi subiti in famiglia l’anno prima, era l’aprile 1997, sarà lei ad interrogarlo per decine di volte, così come avrebbe fatto  poi l’affidataria a casa subito dopo gli interrogatori della strizzacervelli.

Dopo un numero imprecisato di colloqui (la psicologa ha dichiarato di aver distrutto gli appunti  e non è stata tenuta la cartella clinica per nessuno dei bambini, altra analogia con gli abusi di Rignano , dove non esiste traccia degli interrogatori dei bimbi con la psicologa) D. parlò un bel giorno di una persona, un “Giorgio” descritto come un “sindaco” che indossava “una tunica”. L’affidataria gli chiese se questo Giorgio non fosse un “prete”, visto che D. aveva detto di conoscere un prete di Massa Finalese, e D. disse che “questo Giorgio è un prete”.

Di suo  la Donati aggiunse che “uno dei preti di Massa Finalese si chiama infatti don Giorgio ed è il sacerdote che segue (a livello assistenziale) la famiglia G. da anni”. Per la cronaca don Govoni non esercitava a Massa Finalese da quasi venti anni. 

D. invece aveva ripetuto più volte la parola “sindaco” riferendosi a questo  “Giorgio”, ma dicendo che si stava confondendo e gli veniva da dire “medico”, ma che nemmeno questa era la parola giusta e che forse si confondeva “perché conosceva due persone di nome Giorgio.”

Si orientano le ricerche su don Giorgio Govoni, di cui vengono intercettate le telefonate senza alcun esito.

Intanto la psicologa e l’affidataria continuavano negli interrogatori del bambino e cominciarono ad uscire incredibili racconti di riti nei cimiteri con uccisioni di animali e violenze sui bambini. Fu anche descritto  un cimitero che si cercò invano per mesi .

Dopo qualche settimana, una strana fuga di notizie portò sui giornali l’indiscrezione che nei racconti di D. era coinvolto un prete e che si sarebbe trattato di don Giorgio, il quale si presentò subito  al pm Claudiani per spiegare di aver solo aiutato una famiglia in difficoltà e di essersi, per questo motivo, scontrato in più occasioni con l’USL, che (dopo l’arresto del padre e del fratello di D.) aveva anche cercato di impedirgli di continuare ad aiutare la famiglia, al punto di essere convocato dal servizio che gli chiedeva un “atteggiamento di durezza”.

A poco a poco i racconti di quei bimbi che avrebbero partecipato alle orge sataniche nei cimiteri avrebbero assunto nel tempo  aspetti macabri con l’uccisione di numerosi minori, ma senza che sia mai stato contestato a nessuno il reato di omicidio (anche perché mancavano i cadaveri), che avrebbe comportato la competenza della Corte d’Assise, forse meno incline a credere ai teoremi accusatori senza riscontri.

Venne, quindi, svolto (in fretta e furia) un primo processo al termine del quale i genitori ed il fratello di D., assieme ad altre quattro persone, furono condannate per gli abusi. Nel frattempo, però, la mamma imputata di una bambina si era già suicidata e, di lì a poco, un altro imputato sarebbe morto  di infarto, dopo avere attuato una specie di sciopero delle medicine in carcere.

Al primo processo don Giorgio venne sentito solo come indagato per reato connesso, e fornì ancora una volta i chiarimenti sui rapporti con la famiglia G. La sentenza ritenne credibili tutti i racconti di D., condannando tutti gli imputati e sostanzialmente  anche don Giorgio, senza che lo fosse ancora formalmente.

L’appello invece assolse, nel luglio 2000, tutti gli imputati per i reati commessi su altri bambini, confermando solo la condanna per gli abusi in ambito familiare. La Cassazione, nel settembre 2000, confermò la sentenza. Intanto altri bambini avevano cominciato a chiamare in causa don Giorgio per i riti nei cimiteri. Uno di questi affermò che venivano uccisi cinque bambini per tre sere alla settimana. Assieme a don Giorgio furono chiamati in causa anche gli altri sacerdoti che lo difendevano.

Nell’estate 1999 iniziava nel frattempo il secondo processo, in cui don Giorgio era, finalmente, imputato. Fu subito costretto a ricusare (assieme ad altri imputati) due dei giudici che pretendevano di svolgere anche questo processo, dopo averlo sostanzialmente già condannato nella sentenza relativa al troncone di indagini precedente nel cui processo erano stati giudici.

La Corte d’Appello non poté che accogliere la richiesta.

Durante il processo, solo a fatica la difesa riuscì a far effettuare una nuova perizia sulle fotografie raccolte dai consulenti del PM, Bruni e Maggioni (che diventeranno celebri per un’altra storia simile), a proposito degli abusi sui bambini. I periti non poterono che ammettere che non era stata descritta la reale situazione anatomica dei bambini visitati. Nonostante questo, il PM chiese la condanna di tutti gli imputati e per don Giorgio la pena di quattordici anni di carcere. Il giorno seguente don Giorgio, era appunto il 19 maggio 2000, dopo aver ancora una volta proclamata la sua innocenza, morì d’infarto nello studio del suo avvocato. Prima che il suo avvocato potesse pronunziare l’arringa in suo favore per dimostrarne l’innocenza.

La sentenza parlava di “non luogo a procedere per morte del reo”, mentre quasi tutti i coimputati vennero condannati per tutti i reati ascritti.

A Mantova intanto proseguivano le indagini per fatti i denunciati da D. che aveva coinvolto anche un conte ed il Vescovo di Crema.

 La locale procura però chiese l’immediata archiviazione.

 A quel punto anche l’avvocato dei genitori di D. chiese la revisione del primo processo.

A fine giugno 2001 a Bologna si svolse il processo di appello per il secondo troncone di indagini scaturite dalle rivelazioni di D., al termine del quale più di metà degli imputati furono assolti “perché il fatto non sussiste” o per “non aver commesso il fatto”. Tra essi i genitori ed il fratello di D. Agli altri condannati vennero notevolmente ridotte le pene.

 I racconti dei bambini sui cimiteri furono ritenuti, a quanto si lesse nel dispositivo della sentenza, inesistenti, mentre pochi giorni dopo, il 24 luglio del 2001, i genitori di D. furono scarcerati dalla Corte d’Appello di Ancona in attesa del processo di revisione.

Per don Govoni i propri parrocchiani iniziarono invece a chiedere da allora la beatificazione.