Non c’è solo tradizione nella cucina abruzzese ma anche tanta passione
30 Gennaio 2011
Negli articoli recenti su Niko Romito, giovane rampante protagonista dell’arte culinaria abruzzese, non può non colpire una sua espressione emblematica: “quello che finisce nella mia bocca diventerà parte del mio corpo”. Perché il suo credo è quello di dar vita ad una cucina “semplice ma allo stesso tempo curatissima, che utilizza ingredienti genuini ma di alta qualità”.
Questa espressione rievoca una famosa metafora culinaria espressa dal filosofo tedesco Ludwig Feuerbach nel 1862, anch’egli per passione personale, particolarmente attento alla sfera gastronomica: “noi siamo ciò che mangiamo”.
La coincidenza tra l’essere ed il mangiare, che simboleggia l’importanza di ciò che il nostro corpo ingerisce e della qualità degli alimenti di cui ci cibiamo, si ripropone anche nel pensiero dello chef abruzzese e nel suo modo di concepire l’ars culinaria.
Niko Romito, 35enne di Rivisondoli (l’Aquila), è riuscito a raggiungere degli obiettivi molto ambiziosi nel giro di soli dieci anni di carriera nel settore gastronomico, ottenendo riconoscimenti importanti a livello regionale, nazionale ed internazionale, con le sue due stelle sulla guida Michelin, tre forchette su quella del Gambero Rosso ed il punteggio di 18,5/20 sulla classifica dell’Espresso, ed il suo esordio sul palcoscenico di EATALY, manifestazione tenutasi lo scorso ottobre nella Grande Mela. In America si voleva celebrare la “nuova cuisine italiana”, attraverso la presentazione di una cucina dinamica che segna un’evoluzione dalle specialità tradizionali del passato (cucina definita “figurativa”) al cosiddetto “astrattismo” di piatti all’avanguardia, che utilizzano ingredienti minimal. L’obiettivo di questo evento, infatti,inaugurato a New York, era di lanciare il “made in Italy” anche nel settore gastronomico specializzato, perché, come riconosce Romito, la mentalità concorrenziale è determinante in era di globalizzazione e non può essere circoscritta solo al contesto locale, ma va proiettata su scala internazionale, entrando in competizione con gli chef dei più rinomati ristoranti europei e non solo.
E’ per pura passione ed estro che egli crea i suoi “capolavori”, dai nomi estremamente originali: “assoluto di cipolla, parmigiano e zafferano”, “infuso di capra, dragoncello e lamponi”, “espressione croccante di lingua”, solo per citarne alcuni presenti sul menù del suo ristorante "REALE" a Rivisondoli.
Romito non solo crea ex novo, ma ha anche l’abilità di ri-concepire ricette tradizionali, rielaborandole in chiave moderna per accentuarne maggiormente i sapori. Basti pensare al suo “pancotto scomposto”, piatto di base che utilizza ingredienti provenienti esclusivamente dalla nostra regione. A questo proposito Romito è grande fautore dell’utilizzazione di materie prime locali di cui l’Abruzzo è ricco. Pensiamo ai formaggi, al miele, all’olio d’oliva, che sono di ottima qualità, ed è riuscito a realizzare perfettamente il connubio fra cucina contemporanea e regionalità.
Egli sottolinea l’importanza di diffondere la mentalità di usufruire di prodotti regionali nell’ambito della ristorazione a tutti i livelli, constatando che purtroppo il 90% dei ristoratori locali non usa prodotti autoctoni, bensì alimenti che prima di arrivare nei nostri piatti hanno fatto, praticamente, il giro del mondo.
Il progetto di catalizzare lo sviluppo gastronomico regionale è concepito dallo chef quale strumento di grande crescita su molteplici piani: economico, sociale e culturale e a tal proposito egli ha ideato il primo centro di alta formazione gastronomica situato in un monastero del Cinquecento a Castel di Sangro per formare un equipe di chef specializzati che possano spaziare in campo nazionale, diffondendo i valori sani e genuini della cucina abruzzese e i prodotti tipici regionali.
Niko Romito è stato protagonista di esperienze eclettiche, che spaziano dalla pubblicazione di un libro intitolato “Semplicità Reale” (Giunti editore), d’impronta autobiografica, sull’excursus della sua vita, sul suo iter formativo, con una sezione dedicata alle sue “eccellenze gastronomiche”- ricette preziose, alla partecipazione, con George Clooney al film “The American”, ambientato a Castel del Monte.
L’esperienza più importante per la sua carriera è stata indubbiamente la creazione del menù per il G8, compito che ha richiesto un duplice impegno: il puntuale rispetto di protocolli predefiniti e la capacità di coniugare gusti, mentalità e tradizioni religiose e culturali molto differenti fra loro, ma Romito l’ha assolto egregiamente interpretandolo alla luce del suo motto: “cucina semplice ma curatissima”. “Ho utilizzato solo prodotti tipici locali,” sostiene lo chef. Per citare un esempio, “al pranzo delle First Ladies ho proposto un piatto a base di baccalà, che con la mia tecnica e conoscenza ho trasformato in una pietanza intensa, raffinata e dal sapore elegante”. La sua concezione di cucina semplice non va tuttavia fraintesa poiché, pur essendo semplice, la cucina d’autore è concepita come una cucina di ricerca, di cultura, insomma come una vera e propria arte. Così come un quadro si basa sull’armonia di colori e sulle sfumature, allo stesso modo un piatto presenta le sue particolari sfumature di sapori, frutto di uno studio complesso ed approfondito, in cui elemento determinante è la selezione accurata delle materie prime.
L’eccellente chef abruzzese, la cui massima aspirazione è quella di ideare un menù ad hoc per il Pontefice Benedetto XVI, sarebbe riuscito con la sua cuisine semplice e curata a soddisfare persino il palato del saggio Seneca, a suo tempo rinomato estimatore della cucina semplice, buona e genuina. “Per il Pontefice penserei ad una cucina pulita, fatta di brodi di colori chiari, di distillati eleganti visivamente, quasi eterei; a dei piatti a cucchiaio, leggeri ma dal sapore intenso, ad esempio creerei un tortello in bianco con ricotta di pecora spolverato da un velo di pecorino nostrano, dando così vita ad uno scenografico cromatismo bianco dal gusto persistente ed intenso”.
“Il gusto riconoscibile, l’unicità dei sapori e la semplicità” sono secondo Romito i tre fattori che rendono riconoscibile all’estero l’unicità della cucina abruzzese. Alla domanda se sia più determinante per la buona riuscita di un piatto l’estro e l’originalità o piuttosto l’attenersi alle regole della tradizione senza modificare le ricette originali, egli afferma che è necessario distinguere due fasi nella nostra realtà culinaria locale: la prima, dominata dal retaggio della tradizione, incentrata sull’idea che “la buona cucina nasce in famiglia”, e quella attuale, inaugurata da sei o sette anni, in cui la generazione dei trentenni manifesta una forte spinta verso l’innovazione. Per lui, la chiave del successo risiede nel giusto equilibrio fra le due mentalità e nella realizzazione di una mediazione tra tradizione ed innovazione.
Il binomio essere-mangiare è già presente nel pensiero filosofico di grandi teorici della storia. Che cosa ad esempio preparerebbe per Platone, sapendolo ghiotto di olive e fichi secchi? “Gli proporrei un pane classico il cui impasto combinerebbe due note contrastanti e molto diverse fra loro: la nota dolce dei fichi secchi e quella salata delle olive, creando così una melodia di dolcezza e sapidità”.