Non ci sarà federalismo senza prima correggere la spesa della sanità

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Non ci sarà federalismo senza prima correggere la spesa della sanità

31 Maggio 2010

Con la solita prassi di "buttare tutto in politica" Roberto Formigoni (a proposito, perché il Governatore della Lombardia non è diventato presidente della Conferenza delle Regioni) ha pensato bene di infilare una grossa zeppa negli ingranaggi della manovra, evocando il fantasma del federalismo, nella speranza di poter sventolare, davanti agli occhi della Lega Nord, in funzione anti-decreto, il drappo rosso del rinvio forzoso dei decreti attuativi, a causa del taglio di risorse operato da Giulio Tremonti. Che destino! La settimana scorsa al superministro veniva imputata l’intenzione di effettuare una manovra più severa del necessario proprio per accumulare le disponibilità finanziarie occorrenti alla realizzazione del federalismo.

Ma, diciamoci la verità, al Paese serve il federalismo? Confesso che le invocazioni sul federalismo – assunto e presentato come pietra filosofale del buon governo, del risanamento dei conti pubblici e di una migliore condizione di vita per i cittadini – non mi hanno mai convinto del tutto.

Sarà per via della desinenza, ma certi amici leghisti ricordano mia nonna Virginia, una bracciante agricola socialista, la quale, quando ero bambino nell’immediato dopoguerra, preconizzava che, da uomo, avrei "visto il socialismo" che, a suo avviso, rappresentava la panacea di tutti i mali. Mia nonna, purtroppo non aveva letto quanto, anni prima, aveva scritto profeticamente Filippo Turati (con riferimento alla Grande Guerra) a proposito del "miracolismo postbellico": "La guerra, tra gli altri infiniti bluff, ha prodotto anche il massimalismo, ossia la fede nel miracolo, che il Partito socialista adotta, proprio quando la borghesia, ammaestrata dalle delusioni, sta per guarirne interamente".

Ecco: oggi l’ideologismo della Lega Nord ha prodotto il "miracolismo federalista", insieme a tutta una serie di discutibili ma indiscussi corollari; primo fra tutti, la mistica delle Regioni, autoproclamatesi come l’eccellenza delle istituzioni della Repubblica, mentre – mediamente – la qualità politica ed amministrativa delle istituzioni centrali è sicuramente migliore, nonostante tutto. Se ci sarà un ripensamento sul federalismo, a determinarlo non sarà la manovra (anche se, magari, ne diventerà il pretesto).

Il federalismo fiscale cammina, da sempre, su di una faglia: la gestione della sanità. Fino a quando in tale settore – che assorbe più dell’80% dei bilanci regionali e che è tanto importante per i cittadini – non sarà riportata (anzi, portata) la spesa sotto controllo – le Regioni non accetteranno mai di farsene completamente carico, su ambedue i versanti delle entrate e delle uscite, ma pretenderanno sempre di essere coperte dall’ombrello del bilancio dello Stato.

Questa è la realtà: il resto appartiene soltanto alle schermaglie politiche. E quanto sia lontano quest’obiettivo è sotto gli occhi di tutti, non solo nelle regioni del Centro-Sud. Visto che siamo in argomento è il caso di fare il punto su di un’altra iconoclastia di moda: il "dalli alle Province!". Per fortuna, il Governo ha colto il senso del ridicolo e si è affrettato a cambiare linea sulla soppressione delle Province con meno di 200mila abitanti (un vero e proprio agnello sacrificale alla retorica). Ma il dibattito fino ad ora svolto in proposito ricorda lo strambo comportamento di una persona sovrappeso che, per rientrare nei canoni, progetta di farsi amputare una gamba. Così sarà zoppo ma dimagrito.

Ha un senso un progetto meramente ablativo come quello riguardante la soppressione di tutte le Province? Ha un significato ridisegnare l’architettura istituzionale del Paese, rimovendone un muro – bene o male – portante? Mettiamo il caso che le odiate Province sparissero da domani. Noi ci troveremmo al cospetto di un sistema caratterizzato da Regioni più piccole di un quartiere di una grande città e da una pletora di comuni (alcune migliaia) grandi come il condominio di un palazzone di periferia: tanti Comuni, cellule primarie dello Stato, dove due famiglie, con l’aggiunta di qualche amico, si spartiscono vicendevolmente il ruolo di maggioranza e di opposizione. E dove le relative amministrazioni sono, al massimo, in grado di garantire l’anagrafe.

Certo, il "benaltrismo" non è mai una buona politica. Ma dopo il mostro partorito con la riforma del Titolo V, per favore, risparmiateci altri "salti nel buio".