Non è colpa del Risorgimento se dopo 150 anni siamo un paese diviso
07 Novembre 2010
Una Nazione, per dirla con Herder, poggia su tre pilastri: i suoi confini, la lingua materna, l’idea di comunità che esprime. Ma nell’anno dell’unificazione, le grandi potenze non avevano idea di cosa fosse l’Italia e “non più del dieci per cento degli italiani erano italofoni”. Soprattutto, nel momento in cui diventavano liberi gli italiani non riuscirono “a mettere a frutto l’occasione che gli si era aperta”.
Due idee di comunità si scontrano fin dalla nascita della Nazione, una, quella mazziniana, che vede i cittadini come dei “fedeli” e fa della patria una “religione”, l’altra, quella di Cavour, che ha “nei commerci la molla della democrazia”, stabilisce le regole della competizione e ha il suo nume tutelare nella libertà. Lo Stato etico, lo Stato liberale. Questa opposizione è come un fil rouge che segna la nostra Storia: tra la fine del XX secolo e la Grande Guerra, l’idea liberale viene tradita prima dall’emergere del nazionalismo figlio della visione sacrificale cara ai Romantici, poi dal socialismo che sostituisce alla comunità la “classe”, e infine dal fascismo, uno stato autoritario in cui i cittadini tornano ad essere sudditi.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, quando la nascita della Repubblica, la modernizzazione e il boom economico avrebbero potuto creare le condizioni per una educazione liberale, l’antifascismo riscrive un’altra volta la storia del Paese – “un’antistoria” che ha per vittima sempre Cavour. Per cui alla fine il messaggio di Vivarelli è netto, senza fronzoli. In Italia la rivoluzione incompiuta è ancora quella liberale. Quella promessa non si è mai realizzata del tutto. Gli italiani, diceva Giustino Fortunato, sono rimasti “senza disciplina civile perché senza disciplina morale”, e non basta il tintinnio delle manette per averne una, per provare “l’orgoglio di essere onesti”. Colpa della politica che avrebbe dovuto formare il nostro popolo esaltando il merito contro i privilegi, le corporazioni, le caste, e che invece ha deresponsabilizzato l’individuo.
Jacini, Salvemini, Einaudi, questa la genealogia da salvare: “Più volte nel corso dei miei studi ho cercato di mostrare che il liberismo è un’idea di Stato”, eppure siamo un Paese restio ad apprendere la lezione, e per venire a noi, “proprio oggi che le istituzioni sono cosa nostra e che siamo tutti abitanti della stessa città e ne condividiamo la stessa sorte, manca l’orgoglio, manca un legittimo patriottismo”. Manca una società libera da vincoli e legacci, mentre “perdura il carattere corporativo dello Stato”.Insomma, non diamo la colpa ai nostri progenitori se qualcosa è andato storto. Ai Padri Fondatori dobbiamo solo gratitudine. Siamo noi a non aver imparato nulla dal Risorgimento.