Non è detto che la morte di Kim Jong Il segni la fine del “regno” dei Kim

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Non è detto che la morte di Kim Jong Il segni la fine del “regno” dei Kim

20 Dicembre 2011

E’ possibile per lo stato-prigione più impenetrabile del mondo listarsi a lutto? Come potranno essere, nei prossimi dieci giorni, i palazzi di Pyongyang ancora più grigi? Come potranno essere i campi di concentramento che punteggiano la Corea del Nord ancora più tetri? Kim Jong Il, l’“Amato Leader”, é morto all’età di 69 anni e una nazione si stringe nel dolore per la perdita del proprio aguzzino.

Mentre i nordcoreani, vittime del lavaggio del cervello più sistematico mai messo in atto nella storia, vivono con dolore la notizia del decesso, i governi di mezzo mondo reagiscono con paura ed incertezza. La morte di Kim Jong Il apre una transizione di potere che si potrebbe rivelare violenta con il successore designato Kim Jong Un, non ancora in grado di controllare l’immensa architettura militare del regime, e i vertici del Partito Comunista che potrebbero tentare il colpo di stato interno per spezzare la successione familiare. Il tutto mentre l’arsenale atomico e i missili convenzionali nordcoreani restano a disposizione di generali le cui mosse sono imprevedibili.

Kim Jong Il era succeduto al padre, il “Grande Leader” Kim Il Sung, nel 1994. Anche allora, la morte di un Kim aveva sollevato dubbi e timori riguardo l’ascesa al potere dell’erede. Kim Jong Il aveva fatto il suo ingresso sulla scena pubblica solo un anno prima, ma dimostrò concretezza e spietato senso politico. Pur di mantenere la popolazione sotto il suo soffocante controllo, Kim Jong Il si oppose al progetto di limitate riforme economiche e sociali proposto dal Primo Ministro Kang Song-san, che anzi nel 1997 fu rimosso.

Proprio nel 1997, mentre una cifra enorme (tra 1 e 2 milioni) di persone moriva letteralmente di fame, Kim Jong Il orchestrava una purga interna, in perfetto stile comunista. Allo stesso tempo l’“Amato Leader” sfidava il mondo con attacchi terroristici, rapimenti di cittadini stranieri (soprattutto sudcoreani e giapponesi), test missilistici e il rilancio del programma nucleare. La minaccia dell’arma atomica é stata costantemente usata da Kim Jong Il per ottenere aiuti umanitari da Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti, mentre combustibili venivano forniti abbondantemente dalla Cina, che dopo il crollo dell’Unione Sovietica si era parzialmente sostituita a Mosca come grande protettore di Pyongyang in sede internazionale.

Mentre i crimini commessi da Kim Jong Il una volta salito al potere erano sotto gli occhi di tutti, le sue origini erano opache, confuse dai miti che gli organi del Partito Comunista fanno imparare ai nordcoreani sin dall’infanzia. I libri di testo e le televisioni di Pyongyang hanno insegnato che l’“Amato Leader” non sarebbe nato come sembra in Siberia mentre il padre Kim Il Sung era in esilio (durante l’occupazione Giapponese). Kim Jong Il, invece, sarebbe nato in un accampamento segreto di ribelli, sulla montagna sacra chiamata Paektu, legata all’antica mitologia Coreana, con tanto di stella cometa e doppio arcobaleno sopra la tenda.

Questa bizzarra ricostruzione é solo uno dei tanti esempi che mostrano come la dittatura nordcoreana sia un mix di Marxismo e paganesimo arcaico. Basti pensare che i bollettini ufficiali di Pyongyang riportano numerosissimi episodi soprannaturali che hanno come protagonista l’“Amato Leader”, come il suo potere di far calare nebbie fittissime in modo da passare il confine nemico indisturbato. Ora che questo eroe mitologico é morto, la sua figura continuerà a prendere parte al teatrino degli orrori nordcoreano: infatti, la sua guida sarà considerata perpetua, come quella di suo padre prima di lui. Kim Jong Un potrà anche succedere nella catena di comando, ma lo farà nel segno della continuità familiare, e senza ricoprire le cariche del nonno e del padre, che restano immobili nel tempo e nel mito che si ricrea.

Questi tratti arcaici del regime socialista più atroce del mondo non sono solo degni di menzione per soddisfare la nostra curiosità. Al contrario, essi sono la base più sostanziosa su cui poggia il potere dei Kim: anche se ci fosse un gruppo di generali pronti a tentare il colpo di stato, essi rischierebbero una vittoria di Pirro, perché nessuno può sostituire legittimamente i Kim nell’immaginario del popolo. I nordcoreani hanno subito sessan’tanni di violenze disumane, persecuzioni e carestie senza fiatare non solo a causa della condizione eremita in cui si trovano, senza avere idea di cosa sia il mondo oltre il confine ed immaginando i “nemici capitalisti” in condizioni peggiori delle loro, ma anche perché si sono orgogliosamente sentiti parte di un destino e di una leggenda comune: quella incarnata dai Kim.

I libri di testo nordcoreani sono quelli scritti dall’“Amato Leader”; in ogni piazza, ufficio, abitazione campeggiano i ritratti di Kim Il Sung e Kim Jong Il. Non a caso, nel momento più delicato, all’annuncio della morte del dittatore, la TV di stato ha immediatamente precisato che “noi dobbiamo combattere con ancor più convinzione, dietro la guida del compagno Kim Jong Un, per risolvere la crisi odierna ed ottenere un’altra grande vittoria per la rivoluzione”. Del resto, la macchina propagandistica nordcoreana era già all’opera da un paio di anni per inaugurare il terzo culto della personalità nella famiglia Kim. Insomma, nessuno ai vertici del regime può pensare di fare a meno di Kim Jong Un.

Eppure, questo non significa che i rischi di instabilità non esistano. Per afferrare con decisione il potere e per dare un messaggio di riscossa alla popolazione, Kim Jong Un potrebbe decidere di lanciare una serie di attacchi militari contro gli odiati vicini: la Corea del Sud ed il Giappone. Infatti sia il presidente sudcoreano Lee Myung-bak sia il primo ministro nipponico Yoshihiko Noda hanno presieduto riunioni di emergenza dei rispettivi consigli di sicurezza nazionale subito dopo aver appreso la notizia del decesso di Kim Jong Il. La Corea del Sud, in particolare, ha già pagato un alto prezzo in vite umane negli ultimi due anni a causa dei vigliacchi attacchi nordcoreani (46 soldati uccisi nell’affondamento di una navetta, un soldato ed un civile uccisi nel bombardamento di un’isola, e decine di morti a seguito dell’apertura improvvisa di dighe a nord del confine).

Anche gli altri componenti del Gruppo dei Sei, il tavolo diplomatico che avrebbe dovuto trovare un accordo per porre fine al programma atomico dello stato comunista, sono in fibrillazione. La Russia e soprattutto la Cina temono che nel caso in cui qualche gerarca del Partito Comunista nordcoreano tenti il colpo di stato il caos ed il collasso del regime che seguirebbero potrebbero portare ondate di profughi a varcare i loro confini. Gli Stati Uniti temono che gli alleati democratici della regione (Sud Corea e Giappone) possano ricevere attacchi militari da schegge impazzite del regime di Pyongyang.

Mentre tutti i servizi segreti del mondo si danno da fare, la personalità di Kim Jong Un resta un’incognita. Non si conosce nemmeno la data di nascita dell’erede designato, figuriamoci i suoi tratti psicologici, i suoi legami con l’elite del partito, la sua opinione sui campi di concentramento, o le sue idee in tema di riforme. Le poche cose certe sono che Kim Jong Un ha tra i 25 e i 30 anni, che é stato da poco individuato come erede e che solo dal 2010 ha iniziato a seguire il padre nella sua attivita’ di governo. Nel settembre di quell’anno il defunto leader lo aveva nominato generale, dopo il suo rientro da studi universitari all’estero sotto falso nome, probabilmente in Svizzera.

Secondo alcuni giornali di Seoul, lo zio acquisito Jang Song-Thaek, potente ufficiale nella gerarchia del regime, dovrebbe proteggere l’ascesa al potere del giovane Kim Jong Un. Di sicuro, la morte di Kim Jong Il, avvenuta sabato scorso e tenuta segreta per 36 ore, provocherà almeno riassestamenti nelle alleanze tra generali e nei vari organi amministrativi della Corea del Nord. Addirittura c’é chi ha suggerito che la morte del dittatore non sia avvenuta per cause naturali. A Seoul, alcuni deputati del Grand National Party hanno ipotizzato che alcuni generali nordcoreani caduti in disgrazia e che recentemente avevano dovuto lasciare i propri incarichi in organi di governo avrebbero organizzato una vendetta contro Kim Jong Il.

Certo é che l’“Amato Leader” aveva già sofferto un infarto nel 2008 e la notizia della sua morte, avvenuta per arresto cardiaco mentre si trovava in viaggio sul suo treno personale, non sembra particolarmente sospetta. Ma la verità nel mondo del socialismo reale nordcoreano é sempre qualcosa di sfuggevole, e ciò che davvero é accaduto, così come ciò che nei prossimi mesi accadrà, resta avvolto nel mistero.