Non è la legge che impedisce agli italiani di prendere il Nobel

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Non è la legge che impedisce agli italiani di prendere il Nobel

Caro Oscar
Giannino,

abbiamo letto
su Libero il suo commento al Premio Nobel sulla Medicina assegnato a Mario
Capecchi. Come sempre, le sue ragioni sono argomentate, il tono disponibile al
dialogo, il che non è comune nel dibattito italiano, specie quando si toccano
argomenti di bioetica e biopolitica.

Proviamo
allora a risponderle, almeno su qualche punto. Cominciamo dalla fine del suo
intervento: “Pensateci,
oggi che leggerete del Nobel Capecchi. La sua ricerca sconfina nel tabù, da
noi”.

Non è vero.

La verità è quella che anche lei ha scritto all’inizio del
suo articolo: “Capecchi ha lavorato sulle cellule staminali embrionali dei
roditori”. Embrioni di topi, dunque, non di uomini; perché per lo studio di
malattie umane la ricerca sui modelli animali è quella più promettente e più
fruttuosa. Se così non fosse il prof. Capecchi, che non ha vincoli normativi
negli Usa, si sarebbe indirizzato verso gli studi sulle staminali embrionali
umane. Non l’ha fatto perché, semplicemente, non conviene dal punto di vista
scientifico.

La sua ricerca non sconfina in alcun tabù, e si potrebbe
tranquillamente condurre anche in Italia. Il Prof. Capecchi ha messo a punto
una tecnica per produrre topolini transgenici, che viene usata praticamente in
tutto il mondo. Ma è una procedura che non si può trasferire sugli esseri
umani. Si preleva una cellula staminale embrionale del topo, si modifica
geneticamente, e poi si inserisce in embrioni di topo ai primissimi stadi di
sviluppo. Inseriti in un topo-incubatrice, questi embrioni daranno origine a
una nidiata di topolini che, accoppiati selettivamente fra loro, faranno
nascere topi con la modifica genetica voluta dal ricercatore. Solo in questa
fase se ne può osservare lo sviluppo per verificare le conseguenza della
modifica introdotta.

Impossibile fare la stessa cosa sugli uomini, a meno di non
voler creare gruppi di uomini cavia geneticamente modificati, previo opportuno
accoppiamento.

Capecchi e colleghi hanno vinto questo premio Nobel perché
hanno scommesso sui modelli animali per lo studio di malattie umane, e non
sulle cellule embrionali umane. Un Nobel che conferma insomma quanto da noi
sostenuto – dati alla mano – durante tutta la campagna referendaria: la ricerca
scientifica ha strade più promettenti rispetto a quelle che vorrebbero
distruggere gli embrioni umani.

Veniamo alla richiesta di usare gli embrioni
“soprannumerari” per la ricerca scientifica. A parte il fatto che, se un
embrione umano è “qualcuno”, e non “qualcosa”, il fatto che sia soprannumerario
non lo rende meno “qualcuno” di un altro embrione che non è “in più” (rispetto
a che? Anche qui ci sarebbe da discutere: chi decide chi è in più rispetto ad
altri suoi simili?)

Ma anche qui va sfatato un mito: gli embrioni crioconservati
sono poco appetibili per la ricerca. Servono a 
poco e comunque non bastano. Gli scienziati cercano embrioni freschi,
sani e abbondanti.

Lo spiegava bene, ad esempio, un lungo
ed interessante articolo di Nancy Gibbs, su Time Magazine del 30 luglio 2006:

“gli scienziati ammettono che andando
avanti c’è bisogno di una quantità molto più ampia di embrioni freschi e sani,
rispetto a quelli che le cliniche per la fertilità potranno fornire. […] Oggi ci sono solamente 21 linee cellulari utilizzabili, il
che limita la diversità genetica. Sono linee vecchie, così non si sviluppano
molto bene, e per le colture in cui sono state fatte crescere sono stati
utilizzati metodi datati. Ma soprattutto, i cromosomi nel tempo sono soggetti a
sottili cambiamenti, compromettendo la capacità delle cellule a rimanere
“normali”. […]Uno studio ha stimato che, nella migliore delle ipotesi, circa
duecento linee cellulari potrebbero essere derivate dagli embrioni
sovrannumerari abbandonati, ottenuti da trattamenti di fecondazione in vitro,
che tendono ad essere più deboli di quelli impiantati nelle pazienti. Il fatto
che provengano da coppie infertili può significare che non sono tipici, e i
processi di congelamento e scongelamento sono pesanti per cellule delicate”.
Curt Civin, ricercatore sul cancro alla John Hopkins  […]ha dichiarato : “Vogliamo studiare cellule
normali. Stiamo lavorando con la versione 1.0. Vorrei la versione 3.3”.[…].

La verità è che la ricerca – perfettamente infruttuosa
finora ai fini terapeutici – nel settore delle staminali embrionali ha bisogno
di %E2