Non è per decreto legge che canteremo “Fratelli d’Italia”

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Non è per decreto legge che canteremo “Fratelli d’Italia”

14 Giugno 2010

Se addirittura i finiani di FareFuturo, depositari della più trita e contrita retorica patriottarda, hanno liquidato la polemica sull’inno di Mameli snobbato dal leghista Luca Zaia, significa davvero che siamo davanti a una delle solite polemicuzze destinate a pompare qualche titolo di giornale prima delle sospirate ferie d’agosto. Per un mese da oggi, il magazine di FareFuturo ha giurato di non proferire più verbo sulle sparate leghiste, ma che la polemica sull’inno di Mameli fosse a uso e abuso della stampa lo si era già capito dall’atteggiamento dello stesso Zaia e dalle reazioni del Pd.

Il primo non ha certo la stoffa dell’eversore, com’era quella della Lega ancestrale, spavalda e in odor di secessione: si tratta piuttosto di un federalista della nuova leva, perbene e in doppiopetto, il quale, dopo l’inconveniente occorso durante l’inaugurazione di una scuola nel trevigiano, si è affrettato a smentire quanto riportato dai giornali, spiegando che lui, in quel momento climatico, addirittura stringeva in mano il tricolore. Per non dire dei giovani delfini democratici che hanno accusato Zaia di sovversione dimenticando cosa ci facevano i comunisti col tricolore, quando ‘nazionalismo’ era considerata una parolaccia e se proprio si doveva intonare un coro era Aja Ljublju SSSR.

Ma non è finita qui. Turbato dall’accaduto, il ministro della difesa Ignazio La Russa ha proposto di votare un decreto legge che imponga e regoli il canto dell’inno nazionale. Ci chiediamo quali sarebbero i commi di questa fantomatica legge: punire con una multa i trasgressori che non sanno andare oltre il fatidico "l’Italia tremò"? Definire il tono e il timbro dei vocalizzi manco fosse una direttiva sulle lampadine di Bruxelles? Oppure tenere in panchina gli azzurri se stasera non biascicheranno almeno un verso di fronte alle telecamere di tutto il mondo?

A noi pare che costringere qualcuno a fare qualcosa che non sente di fare, come cantare “Fratelli d’Italia”, sia solo un modo per ottenere l’effetto opposto, e cioè far disamorare ancora maggiormente gli italiani dal loro inno nazionale. Per spingerli a intonarlo con una mano sul cuore, come fanno i francesi o gli americani, non servono decreti legge. Piuttosto, una battaglia culturale che dia il senso della identità italiana a 150 anni dalla nascita della Nazione. Ma su questo versante, quello delle radici storiche, ci sembra che le nostre forze politiche siano ancora in deficit con il Paese, soprattutto con quella parte della cittadinanza che nell’Italia unita non si riconosce più. E non saranno certo quattro strofe a risolvere le cose.