Non è un paese per bambini (se malati)
10 Giugno 2017
Nelle ore in cui l’Inghilterra è intenta ancora a pulire il sangue dell’odio islamico dai suoi marciapiedi in una battaglia oscura, e silenziata, c’è un altro fronte, altrettanto oscuro, in cui si combatte una battaglia difficile e funesta. Da una parte lo Stato che si è coperto le spalle con leggi colpevoli, organi di giustizia in doppio petto e la solita comunità scientifica, dall’altra, un bambino di dieci mesi, Charlie Gard. Il caso è quello del bimbo colpito da una rara malattia genetica, la deplezione del Dna mitocondriale, che impedendo alle cellule di rigenerarsi, indebolisce sia la muscolatura sia il sistema nervoso. Charlie è una delle 16 persone nel mondo che ne sono affette. E non sembra esistere una cura in grado di evitare l’epilogo più tragico. La morte.
Per questo i medici pensano che occorra interrompere la vita di Charlie staccando i macchinari che gli permettono di sopravvivere. E non importa se i genitori non sono d’accordo. Connie Yates e Chris Gard volevano portare il piccolo negli Stati Uniti per sottoporlo a un trattamento sperimentale, un ultimo disperato tentativo per salvare la vita al figlio. Ma secondo i medici del Great Ormond Street Hospital, sentiti dal giudice, il bambino non ha speranze di vita, la cura cui sarebbe sottoposto negli Stati Uniti è solo sperimentale e non gli porterebbe benefici. Si tratterebbe, ha detto in tribunale lo staff dell’ospedale, solo “di prolungare il processo di morte“. Quindi va bene così.
A nulla è valsa l’opposizione degli avvocati difensori della famiglia che, al contrario, ritenevano – e speravano – che la giustizia britannica avrebbe dovuto dare un’ultima possibilità al piccolo. E dimostrando che il ruolo di genitori non conta proprio più niente. Per il viaggio della speranza mamma e papà avevano raccolto fondi – oltre un milione di sterline – con il crowdfounding e grazie alla solidarietà di migliaia di persone in tutto il mondo. Ma niente ha fermato le tremende e inequivocabili parole dei medici. “Non è etico tenere in vita il bambino”, continuano a dichiarare. Il piccolo “deve morire con dignità”, rincarano i giudici, come se non bastasse, con ben due sentenze.
La mamma e il papà del piccolo Charlie da mesi gridano al mondo, mentre non lasciano il capezzale del figlio neanche per un minuto, che è vivo. Li riconosce, risponde agli stimoli. Quella piccola e esile vita, è vita e merita una possibilità. Niente, di questi tempi la realtà dei fatti conta poco. Il padre, Chris, alla lettura della prima sentenza, prima di scoppiare in un pianto insieme alla moglie, aveva urlato un commovente “no” mentre restava appeso con le unghie e con i denti all’appello. Ma anche quella speranza è planata nel vuoto.
I genitori e Charlie sono letteralmente ostaggio dell’ospedale, che facendosi forte del verdetto giuridico, ha impedito loro il trasferimento negli Stati Uniti perché l’intenzione è una: bisogna staccare la spina, fine della storia. Il messaggio deve essere chiaro e universale. Sebbene si confidi nel miracolo. Siamo al cospetto di una orribile situazione che, però, non è altro che l’ovvia e naturale conseguenza di qualsiasi legge sull’eutanasia. Se ci si arroga il diritto di legiferare sulla vita e sulla morte è allora scontato che anche una mamma e un papà non possono più nulla di fronte all’arroganza di chi vuole stabilire l’inizio o la fine anche di una bambino di pochi mesi. Se è morto il senso del vivere e del morire, allora anche una creatura che giace inerme in un letto d’ospedale può essere eliminata.
Da ieri, comunque, il Regno Unito non è più un posto sicuro per i bambini, specie se malati. Nel pomeriggio di giovedì, in un’udienza di emergenza – giusto una manciata di minuti – tre giudici della Corte Suprema (quella in cui speravano i genitori di Charlie) hanno confermato la condanna a morte. Vogliono che il respiratore venga staccato. Se ne è già discusso abbastanza. “Come possono farci questo? Stanno mentendo. Perché non dicono la verità?”, ha detto la mamma con la voce rotta dal pianto subito dopo la decisione della Corte Suprema, che è arrivata addirittura a negare lo svolgimento di un’udienza completa per non rivedere meglio il caso del piccolo.
Tre corti su tre. Tre pareri uniformi, e di una rapidità che rende ancora più unico il quadro già inquietante, hanno sentenziato che è nell’interesse del bambino morire. Quale genere di interesse sta nel rifiuto di dare qualsiasi possibilità di sopravvivenza? La Corte Suprema ha chiesto ieri ai dottori di continuare a dare il supporto vitale a Charlie per altre 24 ore. Che sarebbero scadute alle 17,00 (ora inglese) di venerdì, quando la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha imposto che le cure vitali devono continuare fino a martedì 13 giugno. Solo allora si saprà il destino del piccolo. E intanto i genitori hanno tirato un altro respito di sollievo.
Il caso di Charlie assomiglia a quello, anch’esso recente, della piccola Marwa in Francia, salvata dai genitori che hanno fatto ricorso contro la decisione dei medici di ucciderla, riuscendo a spuntarla – loro sì – al secondo grado di giudizio. Perché non è solo la Gran Bretagna a non essere un posto per bambini, ma tutti i Paesi in cui si stanno approvando leggi contro vita e famiglia: manovrare un individuo isolato è più facile, si sa. Come in Italia. Dove se il Parlamento finirà con l’approvare il disegno di legge sulle ‘Disposizioni anticipate di trattamento’ (fa paura nominare l’eutanasia che finirebbe con l’essere legalizzata?) verrà introdotta sia l’eutanasia consensuale sia quella non consensuale: se il fiduciario e il tutore dovessero essere d’accordo sulla volontà di dare la morte al paziente non ci sarebbe neanche bisogno di ricorrere ai giudici, perché l’atto eutanasico sarebbe considerato del tutto legale. E allora la libertà falsa, quella senza limiti, sarà calata dall’alto dalla mano lunga del pensiero dominante. Con tanti saluti alla dignità che deriva dall’esser persone, malate o meno.
Don’t take my sunshine away, “non portarmi via la mia luce del sole”, sono queste le parole che ritornano in alcuni dei tantissimi video che sono stati dedicati in questi mesi al piccolo Charlie. Spesso i filmati terminano con un primo piano degli occhi chiari, splendenti, vivi del bimbo. Una luce che esiste e che hanno deciso di spegnere. Per legge.
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